LA VISTA Nell’universo sensoriale dell’uomo la vista rappresenta il senso principale e il più immediato. Si stima che attraverso di esso, dall’ambiente esterno, giungano al cervello oltre l’85 per cento delle informazioni. Quasi tutte le nostre decisioni coscienti e gran parte delle azioni riflesse si basano su ciò che vediamo. Basti pensare al nostro comportamento quando siamo alla guida di un veicolo. Questo senso si è, così, sviluppato a scapito di altri, ad esempio l’olfatto, influenzando l’area cerebrale riservata, che risulta più ampia rispetto a quelle attivate dagli altri sensi. L’apparato visivo può essere paragonato a una telecamera in grado di effettuare un percorso recettivo rapidissimo. È composto da: occhi, nervi ottici, chiasma ottico, mesencefalo e corteccia cerebrale occipitale, elementi che permettono di identificare i particolari specifici di un oggetto, il suo movimento, la forma, la distanza e i colori. Come accade in una fotocamera, i raggi luminosi sono modulati dal diaframma pupillare; attraversando il diottro oculare – un sistema dinamico di due lenti trasparenti (cornea e cristallino) – raggiungono la retina, dove vengono messi a fuoco. La retina è una membrana pluristratificata neuro-sensibile, situata a livello del fondo oculare, che trasforma i potenziali elettrici attivati dalla luce in stimoli nervosi grazie ai coni e ai bastoncelli. Questi sono due tipi di cellule fotorecettoriali, altamente specializzate e dotate di particolari pigmenti fotochimici in grado di trasdurre i messaggi luminosi in messaggi visivi. I , circa 6-7 milioni per occhio, sono presenti soprattutto al centro della retina e in particolare a livello maculare, mentre i 120 milioni di bastoncelli sono posizionati in gran parte nella retina equatoriale e periferica. coni Ai coni è affidato il riconoscimento dei colori: a loro si deve la capacità di individuare un numero elevatissimo di tonalità e sfumature. Sono inoltre deputati alla visione diurna, alla visione angolare e alla visione distinta dei dettagli più fini. Nell’uomo i coni sono di tre tipi, differenti per numero, sede e gamma di sensibilità cromatica: i coni S, con massima sensibilità per il colore blu violetto, i coni M con massima sensibilità per il verde e i coni L, collocati nella fovea, cioè nella retina centrale più sensibile ed evoluta, per il rosso. Ciò spiega perché siamo particolarmente abili nel differenziare le sfumature di questo colore. I sono quattrocento volte più sensibili alla luce rispetto ai coni; non sono recettivi ai colori, ma risultano più sensibili alle basse luminanze e al movimento, e si attivano soprattutto nella visione crepuscolare, al buio e in quella periferica. bastoncelli Quindi, tonalità e sfumature cromatiche di una sostanza o di un liquido, come il vino, sono il risultato di impulsi riservati ai coni, mentre è grazie alla collaborazione sinergica tra coni e bastoncelli che, nella degustazione, siamo in grado di identificare e confrontare gli altri parametri visivi, come trasparenza, limpidezza, luminosità, intensità cromatica, consistenza ed effervescenza. Può sembrare tutto molto semplice, ma vedere e riconoscere sono il risultato di un processo molto elaborato che si realizza in parte a livello oculare, in parte a livello cerebrale. La fisica ha dimostrato che i “colori visibili” sono un aspetto dell’energia radiante, corrispondono alle radiazioni luminose comprese tra i 380 e i 700 nanometri circa e costituiscono solo una minima quota delle onde elettromagnetiche presenti in natura. Anche se queste possono essere identificate e misurate con tecniche analitiche molto precise, come colorimetria e spettrofotometria, riconoscere un colore è un fenomeno diverso e molto complesso. I colori, infatti, non sono una componente esclusiva dell’oggetto illuminato, bensì una percezione sensoriale che appartiene all’uomo. Che cosa succede quando un calice di vino viene illuminato con un fascio di luce bianca pancromatica, cioè sensibile a tutte le lunghezze d’onda visibili dall’occhio umano? In base alla sua composizione, alcol, acidi, tannini e altro, il vino “seleziona” quali frequenze elettromagnetiche assorbire e quali riflettere o trasmettere ai nostri occhi: si potrebbe dire che ogni vino fa una “scelta di trasmittanza” inviando alla nostra retina tutti i colori, cioè le frequenze luminose “selezionate e non assorbite” in base alle caratteristiche del vitigno, al tipo di antociani, al pH, alla modalità di maturazione e allo stadio evolutivo, ecc. In conclusione, la percezione visiva non è la semplice registrazione di singole frequenze d’onda, ma la sintesi complessa di tre elementi: gli stimoli periferici inviati alla retina dal contesto esterno; una forte componente cognitiva nell’associarne un significato; l’elaborato di esperienze vissute e di ricordi “archiviati” nella memoria sensoriale. Il coinvolgimento del cervello nel costruire, durante la degustazione, quella che le neuroscienze definiscono “immagine sensoriale visiva” spiega come, anche nella fase visiva dell’analisi sensoriale, sia determinante la soggettività, intesa come e formazione del degustatore, caratteristica preziosa e comune a tutte le esperienze sensoriali, uditive, visive, olfattive, gustative e tattili. esperienza L’ESAME VISIVO La fase visiva della degustazione rappresenta il racconto cromatico e fisico di ciò che si vede nel calice, riassumibile come l’ . aspetto del vino La luminosità ambientale, basilare nel condizionare la capacità e l’acutezza visiva e cromatica, permette di esaminare correttamente nel calice: limpidezza, trasparenza, tonalità, saturazione, sfumature, consistenza e, in alcune occasioni, l’effervescenza. L’ideale sarebbe illuminare il vino con un tipo di luce pancromatica, che includa tutte le radiazioni dello spettro visibile, cioè la luce del giorno (con temperatura di colore a 6500 Kelvin, senza frequenze UV), difficile da riprodurre in ambienti chiusi. Non basta. Per riconoscere tutte le sfumature cromatiche del vino, permettendo alla luce di colpire il maggior numero di coni, il raggio luminoso dovrebbe attraversare il campione in linea retta, per giungere poi all’occhio senza alcuna angolazione. Infatti, l’acutezza visiva per trasparenza o trasmissione è nettamente superiore a quella ottenuta per riflessione. La visione ottimale si ottiene con l’uso di un particolare strumento chiamato enoscopio, in assenza del quale è fondamentale che l’ambiente abbia caratteristiche luminose omogenee e sia provvisto di pareti e piani di appoggio bianchi. Uno sfondo color panna, ad esempio, riflette solo il 60 per cento delle radiazioni luminose, rispetto all’80 riflesso da uno sfondo bianco. Per complicare le cose, si aggiunga la presenza di quaderni colorati, vestiti, e la posizione rispetto alla fonte luminosa… LIMPIDEZZA La valutazione della limpidezza è la constatazione della e della , colte visivamente nel vino; non ha quindi la pretesa di definire un eventuale valore. pulizia luminosità La perfetta è una situazione che si riscontra in genere nei vini moderni, specialmente bianchi e rosé, realizzati con l’ausilio tecnologico della filtrazione. pulizia Qualche impurità può essere legata a una scelta produttiva (vini “col fondo”, o non filtrati), o al percorso evolutivo in bottiglia. Nel tempo, infatti, il vino si può spogliare naturalmente di alcune componenti, soprattutto se non ci sono stati interventi di stabilizzazione in cantina, oppure è stato imbottigliato quand’era ancora ricco di sostanze polifenoliche. Queste componenti creano sedimenti di granulometria e colore diversi a seconda della loro origine. Talvolta può dunque capitare di ritrovare nel calice tali impurità, dovute a polimerizzazione e/o ossidazione di sostanze coloranti e polifenoliche, precipitazioni di sali, come i tartrati, o sostanze riconducibili all’azione della botrytis. In condizioni ottimali, ad esempio in ambito ristorativo, un attento servizio e la pratica della decantazione eviteranno di farle giungere nel calice. Per impurità si intendono solo le presenze che si sono originate nell’evoluzione del vino. Pulviscolo, tracce di fibre, frammenti di sughero dovuti a errori di stappatura o quant’altro di estraneo sia presente nel calice non deve condizionare la descrizione. Particolari tipologie produttive, per la loro singolare evoluzione, sempre in assenza di filtrazione, possono presentare lievissime velature, ad esempio i vini a maturazione filmogena. Qualora invece la causa della velatura sia da ascrivere a un’alterazione, all’ossidazione, a degradazioni o a interventi non desiderati di agenti biologici (lieviti o batteri), allora è un indice negativo, confermato da anomali riscontri anche all’olfatto o al gusto. La è normalmente accentuata in presenza di un pH basso e quindi è riscontrabile in vini caratterizzati da vivace acidità, oltre che da una limitata presenza di materia colorante. Maggiore è la quantità di sostanze pigmentanti, minori saranno la riflessione e la rifrazione. luminosità/lucentezza Anche la , cioè la capacità del vino di lasciarsi attraversare dalla luce, è inversamente proporzionale alla saturazione delle sostanze pigmentanti: più è ricco di queste sostanze, minore sarà la sua trasparenza. Un vino, pertanto, può essere: . trasparenza quasi impenetrabile, poco trasparente, di discreta, buona o ottima trasparenza Un aiuto nel cogliere la brillantezza del campione in esame, soprattutto in condizioni ambientali non ottimali, può arrivare osservando a distanza il contenuto dei calici di altre persone. Per definire la del vino, lo si porta all’altezza degli occhi orientandolo verso una fonte luminosa. Se il vino è ricco di materia colorante è opportuno inclinare il calice di 45 gradi, in avanti, sopra un foglio bianco e osservare il contenuto; se il foglio presenta caratteri stampati, con una perfetta pulizia questi risulteranno ben definiti. limpidezza La scala che definisce la limpidezza/luminosità di un vino comprende i termini: velato, abbastanza limpido, limpido, cristallino, brillante. : la trama del vino è offuscata, annebbiata, caratterizzata da diffusa opalescenza; non c’è trasparenza, anche quando la presenza di materia colorante è minima. Può manifestarsi in vini con deposito fine riportato in sospensione (vini “col fondo”, Metodo Ancestrale). Se è dovuta a fenomeni non desiderati, è da considerare un indice negativo, in tal caso confermato da anomali riscontri anche all’olfatto o al gusto. Velato : nel vino si notano lievi impurità, oppure un leggerissimo offuscamento. Questa situazione può presentarsi in vini strutturati e longevi dopo un lungo affinamento in bottiglia che ha portato alla formazione di sedimenti, oppure nei vini non filtrati. Abbastanza limpido : il vino è perfettamente pulito. Caratterizza la maggior parte dei vini rossi, così come i vini dotati di ricchezza cromatica e quindi bassa trasparenza. Limpido : oltre a essere perfettamente pulito, il vino è luminoso e lucente, e la trasparenza è ottima. Si riscontra nella maggior parte dei vini fermi, bianchi e rosé, frizzanti e spumanti. Talvolta si usa questa definizione per vini rossi caratterizzati da viva acidità e poca materia colorante. Cristallino : alla smagliante lucentezza si aggiunge la capacità di riflettere la luce. La brillantezza presuppone un’eccellente trasparenza ma, contemporaneamente, un’adeguata quantità di materia colorante, necessaria al riverbero. Un tale effetto può essere, talvolta, favorito dalla presenza di bollicine di anidride carbonica. Potrebbero essere definiti brillanti i vini bianchi maturi, le vendemmie tardive, i vini ottenuti da appassimento delle uve, i vini spumanti e frizzanti. Brillante COLORE Le sostanze che definiscono il colore di un vino, come altre caratteristiche sensoriali, ad esempio astringenza e amaro, sono molecole appartenenti alla classe chimica dei polifenoli, potenti antiossidanti naturali contenuti nella frutta e nei fiori. Nell’uva la loro presenza è concentrata soprattutto nella buccia ed è influenzata da diversi fattori, in primo luogo il vitigno: ogni varietà possiede infatti un proprio corredo di sostanze polifenoliche. Questo, a sua volta, è condizionato dall’ambiente pedogeoclimatico, dall’andamento meteorologico stagionale, dagli interventi effettuati in vigna e dall’epoca di raccolta. In cantina si aggiungono le variabili tecnologiche, come la diraspatura dei grappoli, la fermentazione con una parte di grappoli interi, la temperatura di fermentazione, la durata della macerazione, l’uso dell’anidride solforosa, le azioni meccaniche adottate per estrarre le sostanze pigmentanti, l’impiego del legno, il controllo dell’ossigeno. Sono tutti elementi che possono influire sulla cromaticità del vino e degli altri parametri organolettici. I polifenoli presenti nel vino non sono composti stabili, pertanto il colore è condizionato dalle caratteristiche fisico-chimiche del vino stesso, che mutano nel tempo per effetto dell’ossidazione di queste particelle e della loro combinazione con altre molecole. L’identificazione del colore è difficile, in quanto si è influenzati dall’ambiente in cui si osserva il campione. Il medesimo vino, analizzato in punti diversi dello stesso locale, o tenendo diversamente inclinato o orientato il calice rispetto alla fonte luminosa, potrebbe risultare descritto con tonalità differenti. La definizione del colore si effettua inclinando il calice in avanti, per aumentare la superficie del liquido. Nella parte centrale, detta o , dove è maggiore lo spessore del vino, e di conseguenza la stratificazione delle sostanze pigmentanti, si colgono la tonalità dominante e la quantità o saturazione di materia colorante. cuore centro Verso la parete del bevante, ai bordi dell’ellisse che si crea sulla superficie del vino, lo spessore diminuisce, così come la stratificazione di materia colorante (fino a divenire acromatica nel margine più esterno); ciò permette di apprezzare meglio i riflessi e le sfumature. Questa frazione è definita , o ; può essere limitata alla parte perimetrale oppure avere maggior ampiezza, verso l’area centrale. bordo orlo anello Nei vini meno ricchi di sostanze coloranti, come i rosé di minor struttura, e in parecchi vini bianchi, il bordo può essere quasi incolore: in tal caso, le sfumature si individuano direttamente nella massa. Riassumendo: il colore si analizza definendo, in ordine, la di base o , la o della materia colorante, le eventuali , e infine la della materia colorante. tonalità dominante quantità saturazione sfumature vivacità Qualunque sia la tonalità del vino, ogni colore può avere una diversa quantità o saturazione, cioè di materia colorante. Per quantificarla si possono utilizzare aggettivi come . fittezza tenue, di media fittezza, di buona fittezza, particolarmente fitto/ricco, profondo Per indicare la sono appropriati aggettivi come , definizioni senz’altro positive, anche nel caso di lunghe evoluzioni caratterizzate da tonalità “calde”. Al contrario, il vino può mancare di questa vivezza e presentarsi con un colore o . vivacità vivo, vivido, vivace, smagliante, fulgido, sfavillante, splendente, rilucente, acceso, sgargiante spento, cupo, smorto, opaco La mancanza di vivacità potrebbe indicare un precario stato di salute o essere un campanello d’allarme, il segnale di qualche anomalia. È importante quindi non confondere le diverse definizioni o valutazioni: ogni tonalità dominante può presentarsi più o meno concentrata (fittezza e saturazione di materia pigmentante), con sfumature diverse, di maggiore o minore vivacità. Per esempio un giallo paglierino potrebbe risultare tenue, caratterizzato da sfumature verdoline e di buona o ottima vivacità, oppure particolarmente fitto, con riflessi dorati e splendente. Le tonalità del giallo : nel colore giallo, solitamente di scarsa fittezza, si identifica una dominante verde, legata a tracce di clorofilla. È caratteristico dei vini ottenuti da uve con una maturità fisiologica appena raggiunta, accompagnati anche da decisa acidità. Verdolino : ricorda il colore dello stelo del grano in mietitura, con differenti livelli di saturazione. Rappresenta di solito la tonalità dei vini bianchi destinati a un rapido consumo o a una breve-moderata evoluzione. Paglierino : il richiamo è all’oro giallo, tonalità differente dalla precedente per la presenza di tracce più calde che ricordano il rame. Si riscontra spesso in vini evoluti, in vini ottenuti da uve a piena maturazione, specie se fermentati/maturati in legno, in quelli ottenuti da leggero appassimento delle uve, oppure in vendemmie tardive nella fase iniziale del loro percorso. Dorato : richiama l’ambra, resina fossile di origine vegetale, il cui colore spazia dal giallo ricco del miele al giallo arancio/bruno. Nei vini è una tonalità che può essere legata all’ossidazione tipica di alcuni processi produttivi, quali l’appassimento o la maturazione ossidativa. È spesso riconoscibile all’inizio della maturità evolutiva dei vini ottenuti da uve botritizzate. Rappresenta un’anomalia negli altri casi. Ambrato : questo riferimento richiama un bruno/ramato scuro, sfumato sul biondo, tipico del legno pregiato del mogano. È caratteristico dei vini, ottenuti da uve bianche, fortificati e con lunghe maturazioni ossidative; nel caso di vini ottenuti da uve botritizzate ciò si verifica nella massima maturità, normalmente dopo affinamenti decennali. Mogano Le tonalità del rosa : le affascinanti sfumature del fiore di questa rosacea variano dal bianco venato di un rosa delicato al rosa leggermente più accentuato. Accompagnato da scarsa fittezza, è prerogativa dei vini basati sulla vivacità olfattiva e gustativa, destinati a un rapido consumo. Fiore di pesco : la tonalità del rosa, tenue e sfumato d’arancio, e del colore del rame; a volte richiama il velo di alcune varietà di cipolla. Fa presagire una certa evoluzione e quindi un vino con caratteristiche gusto-olfattive più morbide. Ramato : la maggior presenza dell’arancio arricchisce la matrice del rosa antico, dando vita a questa tonalità, più o meno vivace. Si riscontra in vini che sono espressione di scelte produttive che privilegiano l’estrazione e percorsi di maturazione in legno, anche protratti nel tempo. Salmone : un rosa scuro e profondo caratterizzato dalla presenza della dominante più accesa del rosso. Sono vini ottenuti con buona estrazione di sostanze coloranti, caratterizzati da vivacità gusto-olfattiva. Corallo : la tonalità della vira dal rosa pastello a un rosa più intenso, con una spiccata presenza violacea. Si utilizza solitamente per vini ottenuti da uve ricche di antociani e frutto di vinificazioni mirate a valorizzare la freschezza sensoriale. Peonia peonia officinalis Le tonalità del rosso : identifica un rosso dominato dal viola, riscontrabile nei vini appena vinificati. Si coglie nei vini novelli o nei rossi frizzanti all’inizio del loro percorso. Di rado si ritrova come tonalità dominante. Amaranto : la pietra preziosa a cui si fa riferimento è di color rosso molto acceso, con una distinguibile presenza di viola. Si riconosce nei vini rossi da consumare nel breve periodo, oppure nella fase iniziale di vita dei rossi strutturati e longevi, caratterizzati da freschezza gustativa, e spesso da netta percezione tannica. Rubino : è il vivace colore ricavato dalla cocciniglia, il rosso emblematico per eccellenza. Molto dipende dalla genetica varietale e dall’ambiente pedoclimatico. Questa tonalità può rappresentare una fase di maturità, o talvolta di passaggio nell’evoluzione di vini con acidità meno pronunciata. Carminio : pietra semipreziosa, che nella tonalità più consueta del rosso evidenzia la presenza del bruno/marrone. È riscontrabile nei vini maturati in legno o evoluti. Granato : tonalità paragonabile a quella dei vecchi coppi. Si tratta di un rosso di media fittezza per perdita di materia colorante, con marcata presenza di giallo. È caratteristico dei vini rossi dopo un lungo percorso evolutivo. Aranciato La lettura del colore può fornire molte indicazioni al degustatore, ma non è mai esaustiva e fine a sé stessa, dovendo essere avvalorata dagli altri passaggi della degustazione. Immaginiamo di trovarci di fronte a due vini che presentano la stessa tonalità rubino, ma ottenuti in maniera diversa: il primo, più semplice, vinificato in acciaio; il secondo, di maggior struttura e potenziale, maturato in barrique. Nel primo caso il vino sta esprimendo tutta la sua ricchezza e non andrà conservato a lungo; il secondo vino ha invece necessità di un’ulteriore permanenza in cantina per potersi esprimere compiutamente. Il concetto del cambiamento cromatico nel corso dell’evoluzione di un vino bianco, che dal giallo verdolino iniziale, attraverso il paglierino, arriva nella sua maturità alla tonalità dell’oro, più o meno ricca, antica o sfumata, può valere solo per i grandi vini bianchi, strutturati e longevi. Allo stesso modo, e solo raramente, la degustazione di grandi vini rossi dopo 15, 20 o 30 anni di evoluzione permette di apprezzare come positiva, purché vivace, la tonalità rosso-aranciata; probabilmente quel vino avrà mostrato il suo lato violaceo o rubino al solo cantiniere che l’ha creato, le altre tonalità a chi, avendone a disposizione diverse bottiglie, le ha assaggiate nel tempo. LE INSOLITE TINTE DEI ROSÉ Nei vini rosé il colore può presentare infinite variabili in base alle scelte tecnologiche effettuate, pur partendo dalla stessa uva, normalmente a bacca nera, e per questo appartenenti alla cromaticità dei vini rossi. Oltre ai vitigni utilizzati e all’ambito produttivo, nella creazione della tinta è significativa soprattutto la durata della macerazione, cioè del contatto con le bucce: bastano poche ore per modificarne completamente l’aspetto. Insieme alla tonalità, occorre definire anche la quantità di materia colorante, le eventuali sfumature e la vivacità riscontrata. Può capitare di utilizzare una di queste tonalità per descrivere vini appartenenti per disciplinare alla tipologia dei rossi: questo accade qualora non siano giustificabili o attinenti quelle della relativa cromia, o quando la saturazione di materia colorante è quella corrispondente ai rosé. Può avvenire, raramente, pure il contrario. LE AFFASCINANTI SFUMATURE DEL MOGANO Una delle essenze legnose di maggior pregio usata in ebanisteria è il mogano, caratterizzato da un colore bruno rossiccio; in alcuni tratti, in particolare nel taglio contro vena o nell’alburno, presenta intriganti tonalità biondo scuro ramate. A queste si fa riferimento nella descrizione dei vini da uve a bacca bianca e fortificati a maturazione ossidativa, come i Marsala ottenuti da concia, oppure alcuni Vergine, Sherry Amontillado, Oloroso o i rari Palo Cortado, dopo lunga permanenza in legno. Si riscontra frequentemente nei vini ottenuti per azione nobile della botrytis e degustati nei primi decenni di evoluzione (Aszú di Tokaj, Trockenbeerenauslese, qualche cru di Sauternes o Barsac e le Sélection de Grains Nobles alsaziane). Il riferimento alla parte più rossastra/brunita si può riscontrare nei vini fortificati ottenuti da uve rosse, sempre dopo lunghe evoluzioni: Porto Colheita o Porto Tawny con invecchiamento dichiarato, in Portogallo; Maury, Banyuls, Rivesaltes nella Francia mediterranea. Questa particolare tonalità evolutiva deve essere sempre caratterizzata da vivacità e luminosità, altrimenti potrebbe indicare situazioni non ottimali di ossidazione, oppure delle anomalie. Un degustatore accorto è in grado di individuare altre sfumature o cromie e, in rare situazioni, cogliere combinazioni inusuali o non classicamente riconducibili ai colori sopra rappresentati. Un esempio è il giallo dell’oro quando presenta sfumature tendenti al verde, come nei dipinti rinascimentali; affascinante, lo si può individuare nelle lunghe evoluzioni degli straordinari vini bianchi del Nord Europa, dai Riesling delle grandi zone renane allo Chablis in Francia, ma anche in alcuni strutturati Verdicchio marchigiani. Un’altra specificità sono le tonalità dei vini ottenuti da uve bianche con macerazioni fermentative e post fermentative, anche protratte nel tempo. Sono noti come Orange wine, per il loro particolare colore. Spesso descritti facendo riferimento all’ambra, in realtà sono caratterizzati da cromatismi arancio/ramati. Allo stesso modo, si può fare riferimento alla rara tonalità dell’ebano o del bruno particolarmente scuro, riscontrabile ad esempio nello Sherry Pedro Ximenez o in vini simili. CONSISTENZA La consistenza definisce la fluidità/viscosità del vino, prodotta dall’attrito tra le diverse molecole che limitano la mobilità del liquido. Si coglie imprimendo al calice una delicata roteazione e poi fermando il movimento. Poiché il vino ha una base acquosa, più molecole vi sono contenute, maggiore sarà la sua viscosità. La consistenza è legata alla maturità fisiologica dell’uva, alla maggiore presenza di componenti polifenoliche, oltre che di polialcoli (es. glicerolo, soprattutto nelle uve botritizzate), da sostanze colloidali e altri composti minori. È soprattutto l’eventuale presenza degli zuccheri a caratterizzare una particolare consistenza. Più un liquido ha viscosità, più è frenato nel suo roteare, più appare pesante e rapido ad arrestarsi. Per individuare il termine più corretto, si fa riferimento alla facilità con cui il liquido si muove nella roteazione, alla sua tensione e coesione superficiale, e alla lentezza o alla velocità con la quale il movimento finisce. I termini da utilizzare sono: scorrevole, consistente, viscoso. : nella roteazione si coglie una buona scorrevolezza insieme a una media tensione superficiale. Denota vini di delicata struttura. Scorrevole : la superficie comincia a presentare una certa tensione e il movimento è più lento. Contraddistingue vini con maggiore ricchezza di struttura, oppure si riscontra in vini dalla chiara presenza zuccherina. Consistente : il liquido stenta a mettersi in movimento ed essendo pesante è rapido nell’arrestarsi. È paragonabile alla compattezza di uno sciroppo. Questa situazione si riscontra solamente in vini particolarmente ricchi di zucchero. Viscoso Nel roteare il calice si può creare un particolare fenomeno, detto , dovuto alla diversa tensione superficiale, che porta alla formazione di e conseguenti . Più il vino è ricco di alcol, più gli archetti che si formano sono stretti e numerosi, e le lacrime lente a scendere, e viceversa. La formazione di questo effetto fisico risulta inaffidabile se il bicchiere utilizzato non è impeccabile per forma e pulizia. effetto Marangoni archetti lacrime Essendo ininfluente per la qualità del vino, non è obbligatorio farne riferimento. Può essere citato come particolarità, magari quale preambolo di un possibile riscontro delle percezioni pseudo-caloriche che si coglieranno con l’assaggio del vino. LACRIME E ARCHETTI L’ prende il nome dal fisico Carlo Marangoni (1840-1925), che spiegò il comportamento dei liquidi e la loro tensione superficiale collegandola al vino. effetto Marangoni Tale effetto è dovuto alla differente tensione superficiale (cioè la tendenza di un liquido di ridurre al minimo la propria superficie, data dalla forza che tiene unite le molecole), quando si miscelano liquidi di matrice diversa, in questo caso l’acqua e l’alcol: quest’ultimo, infatti, ha una tensione superficiale minore dell’acqua. Roteando il calice, il vino bagna la parete interna del bevante e forma una sottile pellicola, alimentata per capillarità dal liquido sottostante. In pochi attimi l’alcol etilico evapora, facendo diventare più acquoso questo velo e aumentando di conseguenza la tensione superficiale. Questo avviene soprattutto nella parte superiore del velo, più sottile, che si compatta verso l’alto formando una specie di fascia liquida. Da questo “nastro” scendono, per la forza di gravità, alcune goccioline che scorrono aderenti al vetro, formando le . Più elevato è il contenuto alcolico del vino, maggiore è la concentrazione del bordo liquido che si crea, e di conseguenza delle lacrime, che scivolando verso il basso disegnano colature semicircolari incolori, gli . lacrime archetti In un vino con basso contenuto alcolico si notano archetti più ampi e radi, con lacrime più distanti; in vini ricchi di alcol gli archetti sono tendenzialmente più spessi, stretti, numerosi e ravvicinati, e le lacrime lente a scendere. La valutazione di questo aspetto del vino è secondaria, condizionata dalla pulizia del calice e dall’uso nel lavaggio di tensioattivi che annullano il fenomeno. Tutt’al più, diviene la premessa di una presenza alcolica che si può riscontrare nell’assaggio, ma senza particolare valenza qualitativa. EFFERVESCENZA Nei vini fermi la definizione della consistenza/fluidità può servire a individuare la ricchezza di bianchi o rossi strutturati, potenzialmente longevi, oppure la concentrazione zuccherina nel caso di passiti, vendemmie tardive o vini fortificati. Al contrario, nei o la ricchezza della struttura o quella zuccherina non sono considerate, poiché non fornirebbero informazioni di particolare rilievo. Il valore di queste tipologie, infatti, è legato più alla loro complessità, eleganza, piacevolezza e lunghezza del sorso. vini frizzanti spumanti Un aspetto ancora più importante induce a non considerarla: questi vini sono caratterizzati dalla presenza di anidride carbonica che, dopo la stappatura della bottiglia e con il servizio, inizia a liberarsi nell’aria, o sotto forma di bollicine oppure dalla superficie libera del vino; imprimendo roteazioni al calice per valutare la consistenza/fluidità, si accentuerebbe ancor di più questa dispersione, compromettendo la corretta percezione organolettica di questi vini, fino a vanificare addirittura il lungo lavoro di chi li ha creati. In queste tipologie di vini, invece di valutare la consistenza/fluidità si entra nel dettaglio della descrizione delle e della loro ascesa nel liquido con la creazione delle conseguenti (fila ordinata di bollicine che salgono dal punto di nucleazione verso la superficie). bollicine catenelle L’insieme delle variegate bollicine che contraddistinguono uno degli aspetti più attrattivi e gioiosi nella degustazione di un vino spumante non è altro che il frutto di fenomeni fisici e di rapporti tra le diverse molecole. Per conoscere meglio le dinamiche legate allo sviluppo dell’effervescenza si rimanda al capitolo dedicato ai vini frizzanti e ai vini spumanti che, inoltre, permetterà di utilizzare, in percorsi didattici successivi al Corso AIS, una specifica e più approfondita scheda di degustazione per queste tipologie di vini (Approfondimento p. 153). La descrizione delle bollicine e delle relative catenelle va effettuata solo quando nel vino c’è una trasparenza sufficiente per poterle vedere. Negli spumanti e nei vini frizzanti ottenuti da uve a bacca scura e ricchi di materia pigmentante la si tralascia. Per risultare coerenti, vista l’esuberanza iniziale dell’effervescenza conseguente al servizio, tali valutazioni devono essere effettuate dopo la stabilizzazione iniziale del vino spumante o frizzante nel calice, senza attendere troppo a lungo. In ragione della delicatezza e fugacità dei fenomeni dell’effervescenza, la sequenza della degustazione, nel caso di spumanti e frizzanti, dovrà iniziare dall’analisi delle bollicine, per poi procedere con la descrizione di limpidezza e colore. Numero delle catenelle Pur dipendendo dalla possibilità di nucleazione legata al singolo calice, dalla quantità di vino e non solo, anche questo fattore contribuisce al carattere ammaliante degli spumanti. È bene concentrarsi sulle catenelle che si formano in modo continuo, da un punto preciso, e non sulle singole bollicine che si liberano in modo autonomo. Per descrivere queste presenze si utilizzano le seguenti definizioni: scarse, mediamente numerose, numerose. : all’interno del calice ci sono solo due/tre punti di nucleazione al massimo, e di conseguenza altrettante catenelle di bollicine. Scarse : il numero di catenelle è sufficientemente distribuito all’interno del bevante, pur non interessando l’intero volume liquido. Mediamente numerose : il vino è caratterizzato dalla presenza di tante catenelle, ben distribuite all’interno del calice, e notevolmente attraenti. Numerose Velocità di ascesa Una volta formatasi la bollicina, la spinta idrostatica la sospinge verso l’alto. Anche l’azione di altre forze di attrazione e coesione, oltre alla stessa presenza di sostanze organiche nel vino, possono condizionare, rallentandola, la velocità di ascesa della bollicina. Non va dimenticata la quantità di anidride carbonica ancora disciolta nel vino. Più tempo passa dal momento del servizio e minore sarà la sua presenza. Anche in questo caso è l’esperienza che permette di individuare le eventuali differenze tra quello che si verifica nella maggior parte delle situazioni, qui rappresentato dal termine medio, e gli altri casi in cui la velocità di ascesa è minore o maggiore. La velocità di ascesa delle bollicine viene descritta come: rapida, media, lenta. • : le bollicine salgono particolarmente veloci. Indica la presenza ancora elevata di gas disciolto nel vino, oppure i punti di nucleazione sono numerosi, anche per una presenza di impurità sulla parete interna del bevante che offrono all’anidride carbonica la possibilità di fuoriuscire sotto forma di bolle; in questo caso la risalita è tendenzialmente disordinata. Rapida • : le bollicine salgono con una discreta velocità. È la situazione che si riscontra con più frequenza. Media • : l’ascesa è pacata, ordinata, si fa quasi attendere. È possibile seguirla a occhio nudo. È un rilievo molto positivo se accompagnato dalla particolare finezza delle bollicine, dalla regolarità e continuità delle stesse; potrebbe essere indice di una lunga sosta sui lieviti, di ricchezza strutturale, o di lungo affinamento in bottiglia. Lenta Grana delle bollicine Portando il calice all’altezza degli occhi, si può notare come le bollicine siano particolarmente minute quando divengono visibili dando origine alla catenella. Salendo verso la superficie, altre molecole di diossido di carbonio entrano nelle bollicine e ne aumentano la dimensione. Più è veloce la risalita, o minore è la saturazione di gas, soprattutto nei vini spumanti, più ridotto sarà l’adsorbimento di anidride carbonica da parte delle bollicine, che di conseguenza rimarranno più fini. Anche la presenza di sostanze tensioattive nel vino ne ostacola la crescita. A titolo orientativo si può affermare che tale finezza è più facilmente riscontrabile negli spumanti prodotti con lunghe maturazioni e/o soste in cantina, o affinamenti in bottiglia dopo il dégorgement; durante questo tempo gli spumanti subiscono anche una leggera perdita di diossido di carbonio, ma sono vini caratterizzati, per materia prima o scelte enologiche, da maggior struttura e componenti, quindi da differenti forze di attrazione e coesione che agiscono sulla bollicina durante l’ascesa. Per definire la dimensione delle bollicine si utilizzano i termini: grossolane, mediamente fini, fini. • : è la dimensione che si riscontra normalmente nelle bevande addizionate di gas carbonico. In un vino spumante non è un carattere positivo. Potrebbe anche essere il risultato di un’eccessiva presenza di punti di nucleazione, oppure di un’errata temperatura di servizio o dell’uso di un calice non adatto. Grossolane • : il termine identifica un aspetto riconducibile a ciò che si riscontra in buona parte dei vini spumanti o frizzanti, quindi nella norma. Mediamente fini • : bollicine di particolare finezza, quasi invisibili, con dimensioni mantenute durante l’ascesa fino alla superficie. Fini Persistenza delle bollicine La persistenza rappresenta la durata e la regolarità dello sviluppo delle bollicine nel tempo. Questa valutazione riguarda sia i punti di nucleazione nel bevante, sia il comportamento delle bollicine all’interno delle catenelle. È necessario essere attenti e concentrati, memorizzando quanto succede per poi poterlo comparare. La perdita di gas nel vino rallenta nel tempo la spinta iniziale e di conseguenza la possibilità di generare bollicine. È normale che si perda qualche punto di nucleazione o che la velocità di ascesa rallenti, così come è normale che le bollicine all’interno della catenella tendano a distanziarsi tra loro. In parole semplici, nella maggior parte delle degustazioni si rileva una certa perdita di regolarità. L’esperienza permette di definire se quanto rilevato rientri nelle situazioni solitamente riscontrabili, rappresenti un rapido cambiamento, o al contrario ne sottolinei una particolare continuità nel tempo. Ci sono infatti spumanti che, per un insieme di fattori, sviluppano bollicine con regolarità, anche dopo una decina di minuti dalla mescita. La persistenza delle bollicine si descrive con le seguenti definizioni: evanescenti, mediamente persistenti, persistenti. • : dopo pochi secondi l’effervescenza cambia notevolmente e spariscono i punti di nucleazione. Evanescenti • : è la situazione che si riscontra con maggior frequenza, con una discreta parte delle catenelle ancora presenti; pur rallentate nella velocità e affievolite nella regolarità della sequenza, hanno una durata almeno di 20-30 secondi. Mediamente persistenti • : anche se è trascorso del tempo, lo sviluppo dell’effervescenza dà sostanzialmente l’idea di non cambiare. La velocità è solo leggermente frenata rispetto ai momenti iniziali e le catenelle mantengono un’ottima regolarità. Persistenti È bene ricordare che la descrizione dell’effervescenza non può definire il valore assoluto di un vino spumante o di un vino frizzante ed evidenzia semplicemente un aspetto attrattivo.