L'OLFATTO L’olfatto è il mezzo con cui fin dalla nascita entriamo in contatto con il mondo: quando le immagini sono offuscate e i suoni ancora poco chiari, è questo senso a legarci alla protezione materna e a guidarci verso il suo seno per nutrirci. Ognuno di noi conserva il ricordo di particolari profumi che riaccendono emozioni. Quando memorizziamo un odore, fissiamo il ricordo anche del contesto. È un senso decisamente emozionante, e nella degustazione rende affascinante il vino. Fin dai tempi preistorici, l’olfatto è il senso della sopravvivenza: ancor oggi è attraverso l’olfatto che gli animali si riconoscono tra loro, avvertono il pericolo, si procurano il cibo. Questo in origine valeva anche per l’uomo, fino a quando, modificando il suo modo di vivere, ha imparato a crearsi un ambiente di autosufficienza e di adeguata protezione dalle avversità, affidandosi al sistema audio-vocale e relegando l’olfatto in un piano secondario. Le neuroscienze cognitive hanno dimostrato che questo senso è in grado di condizionare anche altri nostri comportamenti. Si è notato, ad esempio, che la diffusione di essenze gradevoli in un luogo commerciale influenza l’acquisto di un prodotto. Nel nostro quotidiano l’olfatto ci orienta inconsciamente nelle preferenze e nelle scelte alimentari, arricchendo le percezioni saporifere, di per sé meno sfaccettate; si stima che contribuisca per il 70-75% all’insieme delle sensazioni gusto-olfattive. Nella degustazione del vino l’olfatto ritrova il suo primato, diventandone il protagonista. Permette, ad esempio, di distinguere la sontuosa gamma di spezie e fiori di un Traminer aromatico, o il tratto vegetale di un Sauvignon. Non saremmo in grado di farlo attraverso la sola percezione dell’alcol o dell’acidità. L’olfatto è un , come il gusto, e si basa sull’interazione con le molecole odorose, ossia le componenti chimiche volatili di una sostanza o di un liquido. senso chimico Attraverso le narici, l’aria immessa respirando è filtrata, riscaldata e umidificata, e veicola le sostanze odorose verso l’area più interna del naso. Nella parte alta della fossa nasale, meno esposta, si colloca la regione olfattiva, con le ghiandole mucipare, la mucosa e l’epitelio olfattivo, protetti da una pellicola muco-lipidica. Sono due piccole aree di circa 2,5 cm², incastonate sotto la lamina cribrosa, dietro gli occhi, equidistanti dalle orecchie, in grado di riconoscere le molecole odorose (osmofore) e di inviarne gli impulsi alle due metà del bulbo olfattivo. L’epitelio olfattivo è costituito da tre tipi di cellule: di sostegno (con il compito di supportare le altre cellule), basali e recettoriali. Le prime sono necessarie per la rigenerazione periodica delle cellule attive, una rigenerazione fondamentale e continua nel tempo (circa ogni due mesi), che purtroppo si riduce con l’età. Ognuno dei 10 milioni di neuroni recettori presenta un’espansione cellulare, il bottone olfattivo, che possiede oltre 20 ciglia microscopiche: ciascuna funziona come un piccolo radar, in grado di aumentare la superficie di contatto su cui le proteine leganti, nel muco olfattivo, possono “agganciare” gli odoranti e attivare lo stimolo sensoriale. Lo stimolo si trasforma da chimico in segnale nervoso bioelettrico, per arrivare poi al bulbo olfattivo attraverso le ramificazioni nervose (gli assoni e i glomeruli). Da qui l’informazione olfattiva, con un accesso privilegiato rispetto agli altri sensi, giunge alle aree corticali superiori, per essere riconosciuta e trasformata in percezione. Le ghiandole di Bowman hanno il compito di secernere il muco che avvolge le ciglia olfattive per proteggerle, così da mantenere costantemente umida e pulita la superficie e facilitare la solubilizzazione delle molecole odorose. Quando invece siamo raffreddati, la mucosa si gonfia e lo spessore e la viscosità del muco aumentano: ciò ostacola il contatto fra le molecole osmofore e i recettori olfattivi e la conseguente attivazione dello stimolo sensoriale. L’ESAME OLFATTIVO Nella valutazione sensoriale del vino la fase olfattiva, quella che maggiormente ci affascina, è la più complessa e difficile da riassumere in poche righe. Sono quasi un migliaio le molecole odorose identificate in modo scientifico nel vino, e molte altre sono oggetto di studi e ricerche a livello internazionale. Possono essere suddivise in classi chimiche di appartenenza: alcoli, acidi grassi, esteri, pirazine, aldeidi, chetoni, lattoni, ammine, solfuri e altre. La percezione sensoriale di tali molecole, pur identificabili e quantificabili attraverso l’analisi gascromatografica, non è affatto scontata dal momento che lo stimolo è legato a numerose variabili e solo una piccola parte di questi composti è individuabile e descrivibile attraverso l’olfatto. La riconoscibilità del profumo – inteso come effluvio gradevole di una sostanza – è legata in primo luogo ad alcune caratteristiche che permettono alle molecole odorose di interagire con i recettori: la loro , la e la . La è la capacità di passare dallo stato solido o liquido a quello gassoso. La volatilità è a sua volta condizionata dalla concentrazione delle molecole odorose all’interno della cavità nasale e dalla temperatura. Si parla di quando le molecole hanno una dimensione sufficiente per essere percepite, ma contemporaneamente sono in grado di lasciare la superficie del vino. Questa dimensione è quantificabile fra i 30 e 350 p.m. (Dalton). La è la capacità di sciogliersi in acqua e nei grassi. Le ciglia delle cellule olfattive sono immerse in un film idrolipidico; poiché la membrana dei recettori è di natura lipidica, le sostanze dotate di maggiore solubilità nei grassi possono interagire con questi in maniera più efficace, creando stimoli bioelettrici e osmofori più efficienti. volatilità leggerezza solubilità volatilità leggerezza solubilità Le molecole di alcuni composti, come l’anidride solforosa o l’alcol etilico, possono rivelarsi irritanti a causa della loro struttura chimica o dell’elevata concentrazione con cui raggiungono la mucosa olfattiva: possono stimolare sensazioni termiche e tattili, o innescare reazioni quali bruciore, lacrimazione o starnuti liberatori. Nella mucosa olfattiva, infatti, si diramano terminazioni della branca oftalmica del nervo trigemino, che agisce come un meccanismo di allerta e difesa nei confronti di sostanze potenzialmente pericolose. Il sistema trigeminale è coinvolto anche nelle percezioni relative all’esame gusto-olfattivo, in particolar modo quelle fisiche, chimiche, cinestetiche e pseudo-termiche. Oltre alla struttura e alle caratteristiche di ogni molecola, la sua riconoscibilità è legata alla quantità presente innanzitutto nel vino, poi nello “spazio di testa” del calice, ma soprattutto nella cavità nasale. Con “spazio di testa” si indica lo spazio gassoso che si trova sopra la superficie libera di un liquido all’interno di una struttura chiusa, in questo caso il bevante. Se la concentrazione rimane al di sotto della soglia di percezione, cioè la quantità necessaria per attivare lo stimolo, non si avverte nulla. Inoltre, a causa della bassa specificità dei recettori olfattivi, se varia la concentrazione delle molecole cambia lo stimolo e quindi il riconoscimento, spaziando, ad esempio, dal fruttato allo speziato, da sensazioni gradevoli ad altre nauseanti. Persino il rapporto e le possibili combinazioni o interazioni tra le singole molecole modificano i livelli di identificazione sensoriale, con azioni di rafforzamento, mascheramento o con la creazione di nuovi composti. A condizionare la variabilità percettiva si aggiungono la , la e la olfattiva del singolo degustatore. Per identificare uno stimolo e descriverlo, infatti, è necessario averlo già conosciuto e memorizzato: solo in questo modo il nostro cervello collega automaticamente lo stimolo al descrittore corrispondente, cioè lo riconosce. sensibilità capacità memoria Se un degustatore non ha mai annusato e memorizzato il profumo di una rosa, non può riconoscerlo; avverte solo un generico odore, una sensazione, e la descrizione rimane confusa e imprecisa. IL CALICE, LE MODALITÀ, LA TEMPERATURA In una corretta analisi, il contenitore, ossia il calice utilizzato, svolge un ruolo primario: la sua influenza sulla valutazione olfattiva del vino è determinante. La forma del calice condiziona anche il corretto ingresso del vino in bocca e quindi le percezioni gusto-olfattive. Le molecole che affiorano dal vino e fluttuano sulla sua superficie, passando dalla fase liquida alla fase gassosa, si diffondono nello spazio di testa del calice. Questo spazio è dunque la fonte di tutti i descrittori olfattivi e cambia in base alla forma del calice, alla sua capacità, alla quantità di vino che contiene, all’ampiezza della superficie libera – cioè a contatto con l’aria – che si crea e dalla quale le molecole odorose si espandono. Inclinando il calice, la superficie di evaporazione aumenta, mentre roteandolo si rinnova continuamente, permettendo di captare molecole osmofore nuove, diverse. La forza capillare trattiene sulla superficie interna del bevante una sottile pellicola di vino che, subendo una veloce evaporazione, amplifica l’espressione olfattiva. Per questo motivo si preferiscono i calici che, durante la roteazione, permettono una superficie di contatto più ampia con l’aria. In questi contenitori, rispetto a quelli più piccoli, si attiva un maggior interscambio con l’ossigeno, che penetra nel liquido più rapidamente, incrementando il tasso di volatilizzazione e dunque l’espressione olfattiva del vino. Durante la degustazione, lo spazio di testa è dinamico per il continuo variare delle molecole odorose: quando inspiriamo l’aria, annusando il vino, essa viene sostituita e lo spazio di testa si satura con nuove molecole osmofore. Queste non si liberano dal vino allo stesso modo, poiché ogni molecola ha un diverso coefficiente di volatilizzazione e una soglia specifica di stimolazione: annusando il vino in momenti e con olfazioni differenti o sequenziali, cambiano le molecole presenti, e di conseguenza i descrittori, conferendo una dinamicità sensoriale. Il degustatore deve essere accorto nelle tempistiche dell’olfazione. Per avvertire le stesse intensità di sensazioni e affinché l’aria nello spazio di testa del calice recuperi la concentrazione di odori/profumi, è necessario del tempo, tanto maggiore quanto più grandi sono il bevante e il diametro di apertura. Quindi è controproducente roteare con insistenza il calice e annusare ripetutamente il vino senza lasciare intercorrere almeno quindici/venti secondi tra i vari passaggi. A influenzare questa variabilità intervengono, oltre all’effetto matrice (frutto della combinazione delle molecole osmofore), la temperatura e la pressione atmosferica. Se la volatilizzazione di alcune molecole, come gli esteri – responsabili delle note di frutta fresca tipiche dei vini giovani –, è possibile anche a 10 °C, occorrono temperature superiori per altri composti più complessi, come i fenoli volatili presenti in vini maturati in legno. L’insieme di questi elementi e il successivo condizionamento termico nella fase dell’assaggio giustificano le diverse temperature di servizio dei vini, in relazione alle loro caratteristiche e al momento evolutivo. La pressione atmosferica a livello del mare, essendo maggiore, determina una volatilità delle molecole più rallentata; al contrario, a quote superiori, come in alta montagna, la pressione atmosferica si riduce e lo stesso vino può risultare più profumato o comunque diverso. L’adattamento e l’assuefazione sono fenomeni da evitare. Un recettore stimolato da un’elevata quantità di molecole odorose va incontro a processi di affaticamento, che riducono via via la sua sensibilità. Inoltre, se il recettore subisce uno stimolo continuato nel tempo, non è più in grado di interagire ed essere stimolato da quella sostanza, se non aumentandone la quantità, si incorre così nell’assuefazione, problema che può verificarsi anche in alcune sensazioni gustative. È opportuno effettuare inspirazioni brevi e sufficientemente distanziate, allontanando ripetutamente il calice. Può essere d’aiuto alternare le narici nel corso dell’olfazione. L’olfatto è atavicamente preposto ad avvertire un pericolo. Basti pensare alla sensibilità sviluppata dall’uomo nel cogliere l’odore di fumo o di bruciato per evitare la dirompente forza devastatrice del fuoco, e di conseguenza la facilità nell’individuare i descrittori accomunati da questa origine. Nella degustazione, come nell’alimentazione, la fase olfattiva è un’efficace barriera per cogliere anomalie, difetti o alterazioni, ci evita pertanto di procedere con l’assaggio di un prodotto non integro. LE VIE DELLA PERCEZIONE Quando avviciniamo il calice al naso e inspiriamo, favoriamo la percezione immediata delle molecole che si liberano dalla superficie del vino. Lo stesso avviene entrando in un ambiente caratterizzato da particolari odori, ad esempio una cucina dove si stanno preparando delle pietanze o una panetteria quando si sforna il pane. Questa modalità di attivazione dello stimolo olfattivo, che ci permette di cogliere gli odori, è definita via nasale diretta, inspiratoria o ; è la più logica, ma non è l’unica. ortonasale Se mastichiamo, anche distrattamente, un alimento senza averlo annusato, ne avvertiamo e riconosciamo comunque gli aromi. A rendere possibile questa identificazione, fondamentale nel farci apprezzare il cibo, concorre l’altra via che le molecole odorose utilizzano per raggiungere la mucosa olfattiva, quella definita espiratoria o . retronasale In questo caso, il percorso compiuto dalle molecole odorose è inverso: trasportate dal flusso d’aria interno creato con la masticazione o l’espirazione a bocca chiusa, partono dalla cavità faringea, che offre un’ampia superficie di evaporazione/volatilizzazione, e raggiungono direttamente l’epitelio olfattivo attraverso il passaggio situato nella parte posteriore del cavo orale, lo stesso che permette all’aria introdotta con la respirazione per via nasale di arrivare nei polmoni. Nella degustazione del vino questa seconda via assume particolare importanza perché sfrutta la funzione gusto-olfattiva enterocettiva (cioè le informazioni che arrivano dagli organi interni cavi). Infatti, non tutte le particelle odorose hanno una volatilità sufficiente a raggiungere l’epitelio attraverso la via nasale diretta: molte sono rilevabili, come aromi, solo attraverso la via retronasale indiretta, grazie anche all’innalzamento della temperatura che il vino subisce nel cavo orale e che modifica il tasso di volatilizzazione delle molecole osmofore più pesanti. Un contributo significativo è dato dagli enzimi salivari i quali, in seguito a reazioni biochimiche, liberano alcune molecole ancora sotto forma di precursori e le rivelano come aromi. È da sottolineare il differente utilizzo dei termini e riferiti alla percezione effettuata attraverso la via nasale diretta, e quello di , relativo a ciò che si percepisce per via retronasale. Chimicamente la definizione di aroma è riferita, per buona parte, ai composti aromatici caratterizzati nella loro struttura da un anello derivante dal benzene. odore profumo aroma Ortonasale Retronasale A B L’origine del profumo e dell’aroma del vino Profumi e aromi sono legati alle molecole osmofore, già presenti in buona parte nell’acino. La loro formazione dipende da diversi fattori: in primo luogo il corredo varietale caratteristico di ogni vitigno, poi la collocazione territoriale (la formazione e la tessitura dei suoli, l’esposizione, l’andamento stagionale) e gli interventi effettuati in vigna. Anche la surmaturazione in pianta dell’uva, l’azione nobile della botrytis o l’appassimento concorrono alla creazione di composti odorosi. Alcune molecole odorose legate al corredo varietale si riconoscono annusando o assaggiando gli acini. Una parte di queste infatti, essendo libere, sono già in grado di stimolare i nostri recettori. Lo si può verificare, ad esempio, con le varietà di moscato o con la stessa uva fragola. In altri casi le molecole potenzialmente profumate non sono in grado di interagire con i nostri recettori generando odori o aromi, perché non sono libere: si trovano sotto forma di aromatici, cioè di strutture molecolari che generano sostanze odorose solo in seguito a una trasformazione chimica. precursori Questi precursori sono composti glicosidici, cioè molecole odorose (perlopiù terpeni) legate allo zucchero o formate da legami di queste molecole con gli aminoacidi. La scissione del legame, effettuata di norma dagli enzimi, avviene sia nel corso della fermentazione sia durante l’evoluzione del vino, sebbene con tempistiche molto più lunghe: diversi acidi indeboliscono via via questo legame (idrolisi acida). La maggior parte delle molecole profumate presenti nei precursori non sono percepite come odorose se non dopo la fermentazione alcolica: essa, favorendo la scissione del legame, le trasforma in profumi o aromi riconoscibili. Con il trascorrere del tempo le molecole odorose, modificandosi o reagendo con altri composti, possono originare nuovi odori e arricchire la complessità del vino stesso. Oltre alle molecole libere o sotto forma di precursori aromatici, l’acino può contenere altre fonti odorose, ad esempio i carotenoidi: pigmenti organici a elevata attività antiossidante presenti soprattutto nella frutta e negli ortaggi di colore giallo, arancio e rosso. Nell’acino, come negli altri frutti, servono a proteggere i semi fino alla completa maturazione. Quando la maturazione è raggiunta e l’azione protettiva non è più necessaria, iniziano a degradarsi, frammentandosi in molecole più piccole, decisamente profumate. Uccelli e altri animali, attratti dal profumo, mangiano i frutti e ne diffondono i semi. Il contributo di queste molecole al profilo olfattivo del vino spazia da sfumature di frutti esotici, fiori di camomilla, miele e cera d’api alla frutta disidratata o al tabacco essiccato, talvolta a sentori balsamici; nei vini rossi i carotenoidi possono originare note fruttate di lampone o floreali di violetta. La loro presenza negli acini non è legata al vitigno, ma all’irradiazione solare e al grado di maturazione o surmaturazione, oltre che allo stato sanitario dell’uva. La conduzione del vigneto è quindi fondamentale per influenzare positivamente il profilo olfattivo di un vino e per mantenere o far risaltare i caratteri varietali, evitando ad esempio che un’eccessiva insolazione dei grappoli porti alla formazione di molecole diverse che possano mascherarli. Altrettanto importanti nel condizionare la presenza di molecole potenzialmente profumate sono le fasi di lavorazione in cantina, fin dall’arrivo dell’uva: un’eventuale macerazione a freddo con l’aggiunta di enzimi pectolitici, l’uso dell’anidride solforosa, la temperatura di fermentazione, la permanenza sui lieviti, eccetera. A definire il corredo olfattivo di un vino contribuiscono anche alcune tecniche particolari di vinificazione, come la macerazione carbonica oppure la vinificazione di grappoli interi o con la presenza del rachide. La maggior parte dei profumi di un vino sono di origine fermentativa: molecole di varia natura diventano sensorialmente attive durante la fermentazione alcolica, in alcuni casi la loro estrazione può essere favorita dall’utilizzo di particolari ceppi di saccharomyces cerevisiae. Anche la fermentazione malolattica può arricchire il vino di profumi, così come l’uso del legno, specie se nuovo, che cede composti odorosi di varia natura, rendendo il vino più sfaccettato. Alcune modalità di maturazione del vino contribuiscono a creare ulteriori molecole odorose, come la maturazione filmogena e quella ossidativa. Il processo di formazione dei profumi in un vino continua anche dopo l’imbottigliamento. Il vino non è un prodotto stabile. Da una parte la lenta azione dell’ossigeno, dall’altra le sostanze che lo compongono favoriscono alcune trasformazioni e la conseguente formazione di nuove e differenti molecole odorose. Seppur in modo limitato l’ossigeno agisce anche in bottiglia, sia perché assorbito in precedenza dal vino, sia perché presente nella parte vuota tra la superficie del vino e il tappo. La sua azione porta a una lenta degradazione ossidativa che, inizialmente, o per un certo periodo, può favorirne una migliore espressione olfattiva. Nei vini ottenuti da alcune cultivar, come chardonnay, pinot nero e cabernet sauvignon, alcuni precursori aromatici esprimono il loro potenziale odoroso nel tempo, rinnovando periodicamente il profumo del vino. Durante la fase olfattiva, il degustatore dapprima valuta la forza del profumo, poi passa a individuare i descrittori che identifica durante le varie olfazioni, analizzando anche ciò che riconosce attraverso la via retronasale. A questo punto può formulare una valutazione riferita alla varietà dei profumi riconoscibili. Solo dopo essersi espresso su questi passaggi può esprimere un giudizio sul valore della fase olfattiva, basandosi sulla propria esperienza, riferendosi a tipologia, modello e categoria del vino. INTENSITÀ L’intensità esprime la , la , la del profumo che si coglie attraverso la via nasale diretta o ortonasale. quantità forza potenza Avvicinando il calice fermo al naso e inspirando con una certa decisione, si attirano nella zona di percezione (l’epitelio olfattivo), insieme all’aria, tutte le molecole odorose che si sono liberate dal vino, soprattutto quelle più volatili. Poiché tale quantificazione segue quella della consistenza/fluidità del vino, è bene attendere un momento che il vino si stabilizzi a seguito della precedente roteazione, permettendo alle molecole odorose di passare alla fase gassosa e saturare lo spazio di testa del calice, per essere catturate con l’inspirazione. La quantità di questa sensazione, che ingloba tutte le possibili espressioni, talvolta non positive, è classificata su tre livelli. : l’impatto olfattivo è lieve e contenuto. Moderatamente intenso : l’impatto è deciso, netto, pieno. Si riscontra nella maggior parte dei vini fermentati o maturati in legno, nei vini da uve aromatiche o nei vini giovani in cui si esaltano la freschezza e la vivacità olfattiva, così come nei vini passiti, nelle vendemmie tardive e nei vini fortificati. Intenso : particolare e massima potenza, avvertibile già avvicinando il calice al naso. È una caratteristica non così frequente, riscontrabile in categorie di vini che denotano spiccata espressività. Molto intenso DESCRITTORI Dopo aver quantificato la potenza d’insieme del profumo, si passa a individuarne i descrittori e i relativi gruppi di appartenenza. È la parte della degustazione che più induce al piacere e al fascino nel racconto del vino. L’indicazione delle , cioè dei maggiori raggruppamenti di riconoscimenti, omogenei per origine, è utile per far comprendere le specificità del vino all’olfatto. famiglie Il degustatore indica dapprima queste famiglie, che rappresentano generiche sensazioni, nell’ordine corrispondente a quello di identificazione nel vino, ossia dalle più intense alle più delicate. Se i primi riconoscimenti richiamano famiglie floreali, poi fruttate e vegetali, il vino probabilmente è originato da vitigni ricchi in composti terpenici, come avviene per il profumo di rosa tea nel Traminer aromatico. Se si riscontrano per primi i sentori vegetali e poi quelli fruttati, il campione potrebbe appartenere a un gruppo più ristretto di specifiche varietà, per esempio il Sauvignon blanc. Successivamente si passa al dettaglio dei riconoscimenti, divenuti percezioni. Mentre l’aggettivo aromatico è esaustivo, perché indica una precisa caratteristica, gli altri termini servono solo a inquadrare un determinato ambito di sensazioni, che devono poi essere riconosciute e identificate nel dettaglio percettivo come descrittori. Prendiamo ad esempio il fruttato: praticamente non esiste vino nel quale non si possa individuare un sentore nell’ambito della frutta; se non viene specificato meglio, ad esempio frutta esotica, agrumi o confettura, con la successiva indicazione del frutto riconosciuto, il generico fruttato non esprime nulla. Rimane solo una sensazione, non consapevole, inutile ai fini della degustazione. Lo stesso vale per il floreale, il vegetale, lo speziato, l’empireumatico o il richiamo alla pasticceria/panificazione. I DESCRITTORI : si usa questa definizione quando in un vino si identificano i profumi e/o gli aromi dell’uva (profumi o aromi primari). Individua quelle varietà d’uva, pochissime rispetto alle migliaia esistenti, nelle quali, già annusando o masticando gli acini, si percepiscono chiare indicazioni odorose. Questo corredo olfattivo contraddistingue tutto il percorso evolutivo del vino, inizialmente con richiami più freschi e immediati, per evolvere poi su note dolci e di essiccazione. Aromatico Si pensi al Traminer aromatico o allo Zibibbo. Riscontrare questi elementi di riconoscibilità anche nell’evoluzione corrisponde in genere alla sua integrità organolettica. : si utilizza quando si riconoscono i caratteristici marcatori che ci riportano alle espressioni del vitigno di origine. Definire un vino varietale equivale a constatarne la chiara riconoscibilità data dall’insieme di alcuni specifici profumi: alcuni riferimenti fruttati, floreali o vegetali, ad esempio, possono rappresentare un collegamento al vitigno, o addirittura a un vitigno in uno specifico ambito territoriale, pedoclimatico, ecc. Si pensi, ad esempio, ai riconoscimenti di violetta nel nebbiolo, di marasca nel sangiovese, di bosso nel sauvignon. Nel caso si riconoscano profumi varietali, questi andranno espressi nella descrizione delle singole famiglie di profumi di appartenenza, aggiungendo al descrittore il termine “varietale”. Varietale : identifica tutte le sensazioni riconducibili alla frutta. Le infinite sfaccettature vanno dal frutto ancora fresco a quello perfettamente maturo o lavorato, come confetture, canditi, frutta caramellata, frutta disidratata o conservata in alcol. I composti maggiormente responsabili di questi descrittori appartengono alla famiglia degli esteri, ma concorrono anche terpeni, aldeidi, chetoni, furani e fenoli. Fruttato : comprende tutti i riconoscimenti dei profumi dei fiori. Nonostante i fiori accompagnino diversi momenti della nostra vita, sono i meno memorizzati; ci colpiscono di più dal punto di vista estetico, per la chiara dominanza visiva, meno per i profumi che li caratterizzano. Il degustatore agli esordi potrà iniziare a differenziare i profumi di fiori freschi da quelli di fiori appassiti o secchi, per poi acquisire, con l’esperienza, una più precisa conoscenza delle singole varietà e dei rispettivi profumi. In base al momento di formazione delle molecole e alla loro diversità, nei vini bianchi richiamano, solitamente, fiori dai petali chiari, bianchi o gialli, nei vini rossi fiori più scuri, rossi o viola. I riconoscimenti possono essere varietali, legati alla fermentazione o alla successiva evoluzione; sono legati soprattutto alla classe chimica dei terpeni e degli esteri, talvolta anche fenoli e chetoni. Floreale : il richiamo è ai sentori, freschi o essiccati, del mondo vegetale: dall’erba al fieno, alle piante erbacee, dalle foglie alle gemme (alcuni terpeni, alcoli, pirazine, furani e aldeidi), fino a note più specifiche, come quelle inquadrabili nel contesto delle erbe aromatiche (terpeni o aldeidi) o resinoso-balsamiche (esteri e terpeni). Vegetale : indica la forza e la freschezza di un profumo. La fragranza, normalmente intesa come sinonimo di profumo, nella scheda AIS indica profumi caratterizzati da particolare freschezza e intensità. È identificabile solo attraverso la via nasale diretta, conferisce a un riconoscimento una connotazione di evidente incisività, forza e freschezza. L’utilizzo più frequente è nell’ambito del fruttato o del floreale: un fruttato fragrante o un floreale fragrante indicano un profumo spiccato di frutta appena raccolta o fiori appena recisi. Può essere riscontrato nei vini giovani, sia fermi sia frizzanti, come carattere distintivo e di pregio. Fragrante : sono i sentori che richiamano le spezie. È la sensazione forse più facile da riconoscere. Possiamo non far caso al profumo di un frutto o di un fiore, ma quando in cucina utilizziamo le spezie, ad esempio maciniamo del pepe su un filetto o aggiungiamo i semi del baccello di vaniglia nella preparazione di una crema, desideriamo percepire quel particolare odore o aroma. Riconosciamo quasi d’istinto questi odori, dovuti nel vino soprattutto a terpeni, aldeidi, fenoli e lattoni. Speziato : identifichiamo in questo gruppo quelle sensazioni collegate all’idea di panificazione/pasticceria, i profumi di prodotti da forno in genere (con sfumature che possono comprendere caramellizzazioni), sentori più raffinati di pasta frolla, dessert e pasticcini alla crema, sono dovuti a diverse molecole, quali terpeni, fenoli, chetoni, esteri e aldeidi. Talvolta la loro presenza è legata alla reazione di Maillard. Hanno inoltre attinenza con il lievito, attraverso quelle molecole che si originano durante la fase fermentativa e che, normalmente, rimangono nel vino per poco tempo. Il riferimento più semplice e netto del pane in lievitazione è frequente soprattutto nei vini spumanti rifermentati in autoclave o caratterizzati da brevi maturazioni sui lieviti. Occasionalmente può essere riconosciuto in vini fermi, per esempio quelli più semplici, degustati a breve distanza dalla fermentazione, con il gradevole ricordo di profumi/aromi di lievito, banana o bubble gum (esteri). Pasticceria/panificazione : evoca gli odori generati dalla combustione (dal greco pyros, fuoco). Questa definizione caratterizza una grande famiglia di descrittori, spesso originati dalla permanenza del vino in barrique: maggiore è l’intensità della tostatura delle doghe, più elevata può essere la percezione di questi composti, appartenenti perlopiù alla famiglia chimica dei fenoli (cenere, braci, legno tostato, paglia bruciata, fumo di tabacco). Alcuni descrittori ricordano la caramellizzazione, ad esempio quella delicata della crosta del pane, o quella più pronunciata del pane quando è tostato (maltolo); e ancora, la tostatura della frutta secca (nocciola o mandorla), o di certi processi produttivi, come il caffè o il cioccolato (aldeidi furaniche). Talvolta questi riconoscimenti sono legati a molecole (composti tiolici) presenti in alcuni vitigni coltivati in specifici areali di produzione, come la pietra focaia (combustione innescata tra selce e pirite) in alcuni Sauvignon del Centro Loira, note di fumo o di cenere in vini di Soave o Rossi di Valtellina evoluti, sfumature di catrame nei grandi Nebbiolo di Langa, ricordo di braci e sentori vulcanici nei più classici Aszú ungheresi. Empireumatico : non tutti i sentori olfattivi riconoscibili nel vino devono per forza appartenere a una famiglia. In alcuni casi risulterebbe difficile scegliere l’ambito, in altri potrebbe risultare impreciso o poco accattivante. Ad esempio, il profumo di burro andrebbe inserito nella famiglia dei latticini o tra i sentori di origine animale? Oppure se si cogliessero note di cuoio o pellame, non sarebbe certo piacevole fare riferimento a questa appartenenza. Altri riconoscimenti È importante individuare le sensazioni più frequentemente riconoscibili, la cui dominanza percettiva sottolinea una positività (fruttato, floreale, vegetale, speziato, ecc.), indicando le specifiche e poi completando la descrizione con eventuali altri sentori, non catalogati in precedenza. A titolo esemplificativo, una corretta descrizione olfattiva si articola in questo modo: “Percepisco sentori fruttati, vegetali e leggermente speziati, con note di pesca gialla, pera candita e mandarino (i fruttati), erbe aromatiche, quali timo e salvia (i vegetali), un richiamo alla cannella e al pepe bianco (le spezie), sfumature di miele, di cipria e di idrocarburi (altri)”. ODORI CHE RICORDANO COMPOSTI CHIMICI Pur sapendo che il vino è una bevanda composta da molecole chimiche, utilizzare tali descrittori nella degustazione potrebbe apparire poco accattivante. In alcune situazioni però sono di aiuto per identificare sensazioni odorose quali solventi, vernici, smalti, cere, medicinali, etere o sentori vinilici. Sono riconoscimenti dovuti a molecole che si sviluppano normalmente nella fermentazione alcolica, ma che nel vino sono mascherate dalla presenza di profumi più potenti e accattivanti, come quelli di frutta o fiori. Con il trascorrere del tempo le percezioni fresche e piacevoli subiscono una degradazione a opera dell’ossigeno e lasciano sempre più in evidenza “note di vecchiaia”. Questi composti, definiti terziari, se esprimono sfumature gradevoli, ben integrate ad altre, contribuiscono ad arricchire la complessità e a caratterizzare i vini strutturati dopo un lungo percorso evolutivo. Qualora si riscontrassero in maniera dominante, devono essere intesi meno positivamente: a causa di un precoce decadimento olfattivo o per una non ottimale lavorazione. In taluni casi possono essere dovuti a una degradazione in forma volgare della botrytis, in surmaturazione o appassimento dell’uva. PROFUMI/AROMI PRIMARI, SECONDARI E TERZIARI I riconoscimenti olfattivi individuabili nel vino possono essere raccontati seguendo diverse modalità, alcune più rigorose e tecniche, altre più accattivanti, purché non troppo fantasiose. La più familiare è la suddivisione in base alle categorie richiamate per analogia e similitudine, cioè i profumi della frutta, dei fiori o delle spezie. Un’altra possibilità consiste nel far riferimento all’epoca di formazione: esistono composti odorosi riconoscibili direttamente nell’uva, altri che si originano durante il processo produttivo, altri ancora che si formano nella successiva evoluzione del vino. Il criterio scientifico differenzia le molecole in base alla classe chimica, come terpeni, esteri, fenoli, aldeidi, ecc. Chi adotta questa modalità di distinzione conosce l’origine delle particelle profumate, le possibili combinazioni e reazioni, e può collegarle e ricondurle al momento di formazione. È un tipo di analisi strettamente legato all’ambito enologico, ma non è l’obiettivo del sommelier, che invece racconta il vino cogliendone soprattutto gli elementi di positività e valorizzando l’espressione del legame tra vitigno, territorio e filosofia produttiva. La descrizione dei riconoscimenti attraverso le famiglie di appartenenza è prevista nella scheda analitico-descrittiva dell’AIS. La suddivisione basata sui diversi momenti di formazione è citata più raramente, ma saperla individuare è d’aiuto in alcuni passaggi, ad esempio nella definizione dello stato evolutivo. Questa suddivisione prevede la catalogazione in profumi o aromi , e . primari secondari terziari Primari I profumi o aromi primari del vino sono quelli che si percepiscono già annusando o masticando l’uva. Questo avviene solo in alcune varietà, pochissime rispetto alle migliaia esistenti. In questi vitigni, una parte delle molecole profumate presenti, non avendo particolari legami chimici, sono già in grado di stimolare i nostri recettori. A molti sarà capitato di notarlo assaggiando acini di uve di varietà moscato (tra uve da vino e da tavola ne esistono più di duecento cultivar al mondo) o di uva fragola. Possiedono questa caratteristica il gewürztraminer (traminer aromatico) e, in misura più contenuta, la malvasia delle Lipari e di Sardegna, la malvasia di Candia aromatica, il brachetto, l’aleatico, il ruchè, e altri ancora. Queste varietà sono definite aromatiche, o profumate, per essere differenziate da tutti gli altri vitigni che, pur possedendo uno specifico corredo odoroso, sono in grado di esprimerlo solo attraverso le trasformazioni della fermentazione alcolica. I profumi primari, legati soprattutto a riconoscimenti fruttati e floreali, più raramente vegetali, di erbe aromatiche o speziati, non solo sono percepibili nell’uva, ma caratterizzano il vino in tutto il suo percorso, dalla fase giovanile a quella evolutiva, esprimendo la sua riconoscibilità, indipendentemente dal territorio di produzione. Secondari Sono i profumi e gli aromi che si originano durante le fasi produttive. Sono dovuti alle molecole odorose che si formano e diventano riconoscibili nel corso delle varie fasi della lavorazione. Questo è il momento che porta alla formazione della maggior parte dei profumi e degli aromi normalmente percepiti in un vino. In genere, queste molecole odorose sono legate alle diverse varietà d’uva, dove sono presenti sotto forma di precursori aromatici; è quindi necessaria la fermentazione alcolica per scindere i legami chimici attraverso l’attività di enzimi e liberare le molecole potenzialmente odorose. Alla formazione dei profumi secondari possono concorrere anche scelte produttive, oppure fasi e/o lavorazioni precedenti o successive alla fermentazione alcolica (origine prefermentativa e/o postfermentativa). Per comprendere meglio tutto questo sono di aiuto alcuni esempi. Con l’appassimento delle uve, indipendentemente dal vitigno, si formano molecole che portano a caratteri odorosi di miele, uva passa e frutta disidratata. Anche l’uva surmaturata in pianta e sottoposta all’azione della muffa nobile dota i vini di particolari profumi, a prescindere dalla cultivar. Un’altra situazione prefermentativa che caratterizza il profumo del vino è la macerazione carbonica, che forma sentori di frutta fresca (cinnamato di etile [fragola], esteri isoamilici ed esteri etilici). La maturazione in botti di legno può conferire al vino molecole odorose riconducibili a spezie e a sentori empireumatici. In questo caso si tratta di formazioni odorose postfermentative. La stessa fermentazione malolattica, successiva a quella alcolica, concorre ad arricchire il profilo olfattivo di un vino con singolari sfumature, ad esempio di burro. Durante questa trasformazione, inoltre, i batteri lattici contribuiscono a liberare molecole profumate presenti come precursori aromatici. La maggior parte dei riconoscimenti secondari nei vini spaziano dalle note fruttate a quelle floreali, generalmente fresche. Nella famiglia delle spezie sono riconducibili alle formazioni secondarie le sfumature di pepe nero che caratterizzano Syrah, Schioppettino, Pelaverga o la Vernaccia di Serrapetrona, e quelle di pepe bianco riconoscibili in uno Chardonnay maturato in legno, insieme ai sentori di vaniglia, entrambi profumi ceduti dal rovere, soprattutto se nuovo. Il riconoscimento del pepe bianco, infatti, è legato alla presenza dell’eugenolo ceduto dalla botte, mentre quello del pepe nero è solitamente dato dal rotundone, una molecola appartenente al gruppo degli isoprenoidi (derivati dei caroteni presenti nell’uva). Nell’ambito delle spezie si possono ricordare le note di zafferano dovute all’azione larvata della botrite. Terziari I profumi e gli aromi terziari sono quelli dell’evoluzione, non tutti i vini possono arrivare a esprimerli. La maggior parte dei profumi terziari è legata alle molecole che si formano e/o si modificano in seguito alla lunga permanenza del vino in un ambiente ossido-riduttivo, come avviene nei contenitori d’acciaio o in bottiglia. Possono essere dovuti anche a fenomeni frutto di scelte enologiche, come nelle maturazioni ossidative (tipo Marsala o Malaga), o a particolari modalità di maturazione, come quelle in presenza di lieviti filmogeni (Vernaccia di Oristano o Sherry). In genere i riconoscimenti terziari sono legati a note suadenti di frutta lavorata, confetture, marmellate e frutta secca, a sentori floreali che ricordano la maggior parte dei fiori essiccati a petalo scuro, come violetta o rosa, alla liquirizia e ad alcune spezie. Sono di formazione terziaria le sfumature odorose riconducibili agli idrocarburi (cherosene), riconoscibili dopo qualche anno soprattutto nei vini ottenuti in alcuni areali del Nord Europa da vecchie vigne di riesling, raccolto a piena maturazione: dipendono da particolari molecole, definite TDN (norisoprenoidi formati dalla degradazione dei carotenoidi), già presenti negli acini di questo vitigno, ma che hanno bisogno di tempo e della componente acida del vino per esprimersi. I vini contraddistinti dai profumi primari sono in genere apprezzati nella loro gioventù. Solo in alcuni rari casi, come nelle grandi espressioni di Gewürztraminer alsaziani, si possono cogliere contemporaneamente aromi primari, secondari e terziari. La presenza, infatti, di queste note odorose dovrebbe accompagnare il vino in tutto il suo percorso. Nella maggior parte dei vini i profumi e gli aromi maggiormente riscontrabili sono quelli secondari. Nei vini evoluti, particolarmente strutturati, si possono individuare sentori sia secondari sia terziari: significa che questi vini esprimono profumi nati durante la fermentazione e profumi evolutivi. I profumi di ciliegie fresche o i tostati e gli speziati acquisiti dal legno, con il tempo, evolveranno in confettura di ciliegie e spezie più dolci, oltre a particolari sfumature legate a molecole che si sono formate o liberate in bottiglia nel tempo. Una precisazione ulteriore riguarda i vini aromatizzati nei quali buona parte del profilo organolettico, e specificatamente la componente odorosa e aromatica, è dovuto alla presenza di molecole di natura esogena, quindi estranee all’uva, alla fermentazione o ai momenti di formazione sopra citati. Questi vini sono caratterizzati dall’aggiunta di sostanze aromatizzanti, spezie, erbe aromatiche o officinali, bacche, rizomi, cortecce, frutti e altro, che conferiscono un significativo impatto olfattivo. COMPLESSITÀ La complessità consiste nella varietà e nell’articolazione dei diversi riconoscimenti che si colgono in modo netto, in successione, sia nella fase olfattiva diretta, sia attraverso la via retronasale. Dopo la valutazione della potenza del profumo (l’intensità), che permette già di individuare alcuni macrodescrittori determinati dalle molecole più volatili, è necessario imprimere alcune roteazioni al calice per aumentare la superficie del vino a contatto con l’aria. In questo modo le molecole profumate presenti nel vino passano allo stato gassoso e possono essere catturate dal vortice creato dalle successive inspirazioni, che devono essere opportunamente alternate e distanziate. È d’aiuto, in questa fase, assaggiare il vino trattenendone una modesta quantità finalizzata unicamente all’identificazione degli aromi. Nella cavità orale il vino subisce un aumento della temperatura e si combina con gli enzimi presenti nella saliva. In questo modo, unitamente al movimento meccanico impresso dal degustatore (l’assaggio prevede infatti la masticazione del vino, così da mescolarlo con l’aria e, contemporaneamente, l’espirazione a bocca chiusa) si liberano molecole odorose che permettono di arricchire o amplificare i riconoscimenti. Definire la complessità olfattiva non significa eseguire il conteggio puramente numerico dei vari descrittori individuati. Significa invece riconoscere profumi non solo fra le varie famiglie di catalogazione, ma anche nell’ambito delle stesse, con facilità e immediatezza di identificazione, nell’arco di pochi minuti. Non è il semplice riconoscimento del fruttato e del floreale a creare la complessità, è la varietà all’interno delle stesse famiglie, come identificare la nota di ciliegia, lampone e mirtillo, viola, rosa rossa, peonia, eccetera. • : è un vino nel quale si riconoscono pochi profumi pur insistendo nell’olfazione. Si tratta perlopiù di vini giovani, bianchi, rosé e rossi, vinificati in riduzione e destinati a una breve evoluzione; è una valutazione riscontrabile anche nei vini frizzanti e spumanti. Potrebbe trattarsi di vini di maggior personalità, ma ancora non completamente espressi. Moderatamente complesso • : si dice del profumo di un vino in cui si colgono con facilità più gruppi di descrittori, con una certa differenziazione nell’ambito delle singole famiglie di appartenenza. Si riscontra di frequente nei vini maturati in legno o concepiti per l’evoluzione. È altrettanto consueto in molte tipologie singolari: dai passiti alle vendemmie tardive, ai vini fortificati. Complesso • : è un vino nel quale le sfaccettature riconosciute sono immediate e continue, all’interno delle categorie descrittive, comprendendo tutta la gamma dei riconoscimenti, con buona presenza di profumi terziari. Si tratta di vini con notevole personalità, probabilmente nella loro maturità espressiva. Ampio QUALITÀ OLFATTIVA La qualità olfattiva definisce il valore dell’esame olfattivo, espresso dall’insieme di tutto ciò che è stato descritto in questa fase della degustazione. Giunti a questo punto, l’approccio del degustatore cambia. Non si tratta più di individuare, fra i termini, quello che meglio rappresenta il vino in esame, in una scala di quantificazione adatta a qualunque vino. Si deve invece esprimere una valutazione personale, basata sull’esperienza acquisita nell’assaggio di vini differenti all’interno delle singole categorie produttive. Più è ampia l’esperienza nell’analisi, tanto più potranno essere veritiere le valutazioni. Per definire il valore del campione in esame si considerano due parametri, uno e l’altro . oggettivo soggettivo Il fa riferimento a ciò che, obiettivamente, è stato riscontrato durante l’esame olfattivo a proposito di intensità e complessità. La quantificazione non cambia, ma se ne definisce il valore. Se, per ipotesi, un vino novello è stato definito moderatamente complesso, in riferimento alla sua tipologia di appartenenza (vini rossi ottenuti con macerazione carbonica) il valore di questa complessità potrebbe risultare ottimo. Se invece il moderatamente complesso quantifica l’articolazione di un vino passito, la definizione di valore raggiunge a malapena il buono, dato che di norma questi vini sono dotati di adeguata complessità. parametro oggettivo Non cambiano quindi le precedenti quantificazioni, né dell’intensità né della complessità, ma cambia il loro valore in riferimento alla tipologia, al modello e soprattutto alla categoria di appartenenza. Il non deve essere inteso come piacere personale, ma come esperienza del degustatore, cioè la sua memoria olfattiva. L’esperienza, sempre riferendosi a una tipologia, un modello e quindi alla categoria produttiva alla quale il campione appartiene, permette di definirne la olfattiva, l’ , il , l’ , quanto sa essere , quanto è alla tipologia (tipicità). parametro soggettivo purezza espressività carattere eleganza attraente rispondente Unendo il valore dei parametri oggettivi (intensità e complessità) e di quelli soggettivi legati all’esperienza, si individua il valore dell’intero esame olfattivo. Se per un qualche motivo (anomalie, alterazioni, difetti) il valore olfattivo del vino risulta sotto la soglia dell’accettabile, si interrompe la degustazione e si scarta il campione in esame. Quando si acquista una bevanda o un alimento, si parte dal presupposto che sia almeno di buon valore organolettico. Anche nella degustazione ci si aspetta che il campione in esame, all’interno della sua categoria, rappresenti un buon riferimento, non un’espressione sufficiente, cioè accettabile o discreta. Per tale motivo, definire l’esame olfattivo equivale a definirlo banale, senza fargli raggiungere quel valore di riferimento individuato nel . accettabile buono Il identifica i vini che si differenziano ed esprimono qualcosa in più rispetto ai precedenti. Di conseguenza, diviene una definizione di elevato valore, ed il massimo pregio o valore attribuibile a un vino, sempre all’interno della categoria di appartenenza. distinto ottimo eccellente : definisce la qualità olfattiva di vini che, seppur tecnicamente corretti, non presentano caratteri ben definiti e risultano scarsi di espressività. Accettabile : è caratteristico di vini i cui requisiti di intensità, complessità, pulizia e rispondenza alla tipologia sono quelli che ci si aspetta di riscontrare, con adeguata gradevolezza, nella positività della norma. Buono : si riferisce a vini che nell’ambito della categoria di riferimento si distinguono per maggior carattere ed espressività rispetto ai precedenti. Distinto : si riscontra nei vini dotati di forza e varietà nei riconoscimenti. Il profilo olfattivo è elevato, supportato da piacevolezza e carattere. Ottimo : si dice di vini espressivi e di grande personalità, per la propria categoria, che uniscono alle variegate sfaccettature eleganza distintiva e piacevolezza ricercata. Sono così attraenti che non si smetterebbe mai di annusarli. Eccellente I VALORI DELLA QUALITÀ La purezza olfattiva, la tipicità, l’espressività, il carattere, l’attrattiva e l’eleganza sono parametri fondamentali nel definire la qualità olfattiva, gusto-olfattiva e quindi complessiva di un vino; la capacità di individuarli si matura solo attraverso l’esperienza. In una degustazione professionale questi parametri devono essere considerati in funzione della categoria e dei modelli di riferimento di un vino. Degustare vini differenti senza considerare le diverse categorie di appartenenza penalizzerebbe quelli che, per cultivar o scelte enologiche, sono connotati da minor incisività o carattere varietale. Spesso questi tratti distintivi concorrono a supportarsi e a valorizzarsi reciprocamente. Purezza olfattiva Il profilo olfattivo di un vino dipende da molti fattori: corredo varietale, ambiente, gestione in vigna e in cantina creano un insieme di sfumature odorose rappresentative del legame tra un vitigno e il territorio di produzione. Questo legame permette al degustatore esperto di riconoscere e valutare la rispondenza ai parametri rappresentativi della categoria del vino in esame. Anomalie olfattive dovute a difetti, alterazioni, degradazioni batteriche o ossidative, oppure componenti estranee al vino stesso interferiscono con l’identificazione dei caratteri varietali o territoriali, rendendone impossibile il riconoscimento. Oltre alle cause accidentali, l’effetto mascherante può essere legato a un uso improprio e/o eccessivo del legno e/o della tostatura, a surmaturazioni estreme effettuate in vigna e/o con appassimenti adottati per ottenere maggior concentrazione, che per naturale degradazione o trasformazione di alcune molecole profumate, o dei loro precursori, possono portare a un’omologazione delle componenti odorose e quindi alla difficoltà di riconoscere le peculiarità del vitigno. La purezza olfattiva rappresenta in primis la mancanza di odori anomali o estranei, definendo nel contempo l’integrità espressiva del vino. Più elevato è il valore della purezza olfattiva, più nitida potrà essere la riconoscibilità del vino, intesa soprattutto come inconfondibile espressione di un terroir vitivinicolo. Tipicità Identifica la peculiarità e la rispondenza alla tipologia, al modello, alla categoria del vino. Un vino è tipico quando rappresenta un riferimento, identificativo ed esemplare, dei tratti che devono essere comuni nell’espressione varietale-territoriale, e ai quali si possono ricondurre i differenti singoli campioni, pur con le loro diverse e variegate sfumature. Un vino caratterizzato da piena tipicità si imprime nella mente e, rappresentando le caratteristiche ideali della combinazione vitigno-territorio, diventa un prezioso modello di riferimento per il degustatore. Per esempio, assaggiando uno Schioppettino friulano, ci si aspetta di riscontrare una chiara nota pepata che, se assente, non lo renderebbe del tutto rappresentativo. Espressività È la spiccata capacità organolettica di un vino di manifestare ed esaltare, differenziandosi, i valori della sua tipicità. È un vino che nel contesto di riferimento, varietale e territoriale, si esprime in maniera distintiva e chiara, dando particolare risalto alle caratteristiche di una tipologia o di un ambito produttivo. Rimanendo sull’esempio precedente, se nello Schioppettino il riconoscimento del pepe è delicato, sarà meno espressivo, se invece è pronunciato, aumenterà la sua espressività. Carattere Identifica un vino che offre evidenti elementi sensoriali che lo pongono in rilievo e lo distinguono dagli altri. Il carattere di un vino corrisponde a incisività ed energia, sia olfattiva che gusto-olfattiva, e può essere favorito da un particolare andamento stagionale. Non in tutte le annate il vino presenta la stessa potenza e ricchezza di sfaccettature olfattive, spessore tannico o lunghezza del sorso. Attrattiva Il vino ha la capacità di attirare continuamente l’attenzione del degustatore con la raffinatezza, l’incisività espressiva, o perché è capace di emozionare. Attrae quando induce alla continua olfazione, favorita dalla complessità delle sfumature odorose. Nella fase gusto-olfattiva è caratterizzato da un sorso invitante per piacevolezza, bevibilità e lunghezza delle percezioni. Può risultare attraente per qualche sfaccettatura particolare, che si fa notare, sempre rispettando i requisiti di tipicità. Eleganza L’eleganza nel vino sottolinea una particolare e distintiva perfezione stilistica; è il non aver nulla fuori posto nel rapporto tra le varie sfumature olfattive e anche tra le varie componenti gusto-olfattive. Sono assenti elementi organolettici grossolani o dominanti che ne mascherano altri, come un uso eccessivo del legno. Un vino elegante affascina il degustatore per una molteplicità di elementi che investono, in primo luogo, la purezza e il suo essere attrattivo, e successivamente la sua tipicità, la sua espressività e il suo carattere. L’eleganza è una caratteristica innata in alcuni vitigni, basti pensare a quella espressa dal nebbiolo, dal sangiovese o dal nerello mascalese prodotto sulle pendici dell’Etna, ma i diversi areali di coltivazione possono condizionarla. Prendendo come esempio alcuni tra i vitigni più diffusi al mondo, quali lo chardonnay, il pinot nero o il sauvignon blanc, l’eleganza espressa da un vino di Borgogna o del Centro Loira è difficilmente uguagliabile in altri areali. Ciò avviene per diversi fattori, in primo luogo per la fascia climatica, o microclimatica nel caso di un singolo lieu-dit, che permette all’uva di raggiungere lentamente la completa maturazione, mantenendo equilibrate tutte le componenti odorose e strutturali, valorizzandone le peculiarità.