Patria degli orange wine, nuova meta per l’enoturismo

Patria degli orange wine, nuova meta per l’enoturismo
Al vespro la campana dell’Ossario di Oslavia suona in onore dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Sali la strada dove si allunga il paesello di 250 anime e senti un rispettoso silenzio, una sensazione di calma, e ti accorgi che il tuo passo è più lento e più pesante. Un tempo qui si veniva in pellegrinaggio, per onorare i più di cinquantasettemila morti caduti in battaglia. Durante la Grande Guerra, Oslavia, per la sua posizione sul crinale, fu teatro di sanguinosi scontri - ben sedici battaglie - fra truppe italiane e austro ungariche: divenne una “collina morta” dove non rimasero abitanti, né case, né coltivazioni. Nulla, solo una terra massacrata e contesa. E invece la rinascita, scampata forse nel cratere di una granata o sul bordo di una trincea, portava il nome di ribolla gialla. Viscerale il legame tra Oslavia e questa vite, che riaccese la speranza in un popolo distrutto che ricominciò a lottare.
Nel tempo in cui non c’erano presse ma torchi nei quali si addensava un quantitativo inferiore di uva, le fasi di lavorazione erano più lunghe e accadeva che, nell’attesa, l’uva stesse più a contatto con le bucce. Per tradizione. Ci fu chi ritrovò in un’antica pratica desueta una corrente di pensiero, una filosofia produttiva. Due furono i padri fondatori della ribolla macerata di Oslavia: Joško Gravner e Stanko Radikon.