Joško Gravner ha rivoluzionato il mondo del vino italiano, ma non solo. Un uomo che è contadino, vignaiolo e un po’ filosofo

Joško Gravner ha rivoluzionato il mondo del vino italiano, ma non solo. Un uomo che è contadino, vignaiolo e un po’ filosofo
“Il primo vignaiolo del mondo”. Così Luigi Veronelli definì Joško Gravner. Quello che ha portato uno sconosciuto produttore di vini di un luogo di confine, sospeso tra gli echi della guerra fredda, a diventare una leggenda della poesia sotto forma di vino, è innanzitutto un percorso interiore.
Quando lo vedi con il suo sorriso ampio e la camicia chiara, Joško sembra il frutto di una continua macerazione dei propri pensieri. Alimenta la sua leggenda, in modo involontario, con un’insieme di ombrosità, timidezza e mutevolezza delle proprie idee. Il tormento, gli errori e la strada ritrovata: se la sua vita fosse un romanzo, si intitolerebbe così. Di errori ne ha fatti, ed è lui stesso a parlarne quando gli va di raccontare i suoi inizi. Ma non ha dentro di sé, Joško, l’esuberanza di chi commette passi falsi sapendo di poterselo permettere, perché tutto alla fine poi si aggiusta. Non farà mai un bilancio della sua vita come quello del compianto Gianni Mura, cronista di campioni e di gregari: “Confesso che ho vissuto, che ho mangiato, che ho bevuto, che ho sbagliato. La maggior parte degli errori, in gioventù” (“Non c’è gusto”, Minimum fax).
Il suo percorso l’ha portato a sbarazzarsi dell’attrezzatura appena acquistata quando convinse il padre a portare modernità ad Oslavia. Doveva ancora pagarli quei simulacri d’acciaio, che già aveva la mente altrove. Fino a quando, in Georgia, ha trovato l’ispirazione per cambiare il vino e se stesso, rintracciando l’autenticità smarrita.