volti noti DA UN CAMPO ALL’ALTRO di Morello Pecchioli Nevio Scala, da mister a contadino. La passione per la terra dell’allenatore di Lozzo Atestino Nevio Scala il contadino Globetrotter del calcio, Nevio Scala, 73 anni a novembre, ha sempre avuto un solo orizzonte nell’anima: la campagna di Valbona, con il profilo del Monte Lozzo, ultima propaggine a sud ovest dei Colli Euganei, alle spalle. Qualsiasi altra prospettiva geografica che ha bussato al suo cuore - e lui ne ha viste tante nella sua vita - non ha retto il confronto con Valbona e ha finito per dissolversi. Nevio ha passato 60 anni della vita e della splendida carriera (vedi riquadro) in giro per il mondo, prima come calciatore e poi come allenatore. Con gli scarpini tacchettati ai piedi, ha vissuto a Milano, Roma, di nuovo a Milano, Vicenza, Firenze, di nuovo a Milano, Foggia, Monza e Adria. Come mister ha visto Reggio Calabria, Parma, Perugia, Dortmund nella Renania- Vestfalia tedesca, Istanbul in Turchia, Donec’k in Ucraina e Mosca in Russia. Ha viaggiato su e giù per i meridiani e i paralleli del pallone, ma l’ombelico del suo mondo è sempre stato tenacemente saldato alla terra di Lozzo Atestino: una sorta di elastico che si tendeva, ma che poi lo tirava nuovamente a casa. Da qualche anno l’elastico è fermo. Il giramondo del calcio è tornato ai suoi campi e pare che abbia intenzione di restarvi. Campi da coltivare, non da calpestare con il 3-4-1-2 o con il 3-2-3-2 o con qualsiasi altro algoritmo calcistico. Scala, due figli, Sacha e Claudio, una moglie tedesca, Janny, conosciuta a vent’anni a Sottomarina, ha mandato davvero il pallone in pensione? Dopotutto il suo maestro e mentore, Nils Liedholm, ha allenato fino a 75 anni. Mai dire mai, ma da qualche tempo l’ex centrocampista che ha scritto una grande pagina nella storia del calcio italiano, ha una ragione in più per lasciare l’ancora definitivamente calata nel porto di Lozzo: il vino. La Società agricola Nevio Scala ha inserito una congiunzione e un nuovo aggettivo alla ragione sociale diventando agricola e vitivinicola. Alle coltivazioni di tabacco, barbabietole, grano e soia (“la mia agricoltura multirazziale”, la chiama) è stata aggiunta la vite. Uva biologica. Sana. Senza chimica. “Tranne il tabacco”, proclama orgoglioso l’ex campione, “è tutto bio”. E aggiunge con l’entusiasmo di chi ha visto i marziani scoprendo che è brava gente: “Sono tornati persino i lombrichi”. Nonostante abbia conosciuto le lingue di Paesi diversi, parla come gli ha insegnato la mamma e, come tutti i contadini, dice pane al pane e vino al vino. Rifiuta il francesismo vigneron, anche se fa fico e molti produttori amano essere chiamati e definirsi così, preferendogli l’evangelico vignaiolo. E non vuole meriti che non gli appartengono: se la Società agricola Nevio Scala è diventata anche vitivinicola il merito è del figlio Claudio, che lo ha tampinato fino a convincerlo che fare il vino non era una moda o un modo per fare più soldi, ma l’atteggiamento giusto, onesto e biblico per far fruttare la terra e rallegrare la vita degli uomini: “Egli (Dio) fa uscire dalla terra il nutrimento: il vino che rallegra il cuore dell’uomo, l’olio che gli fa risplendere il volto e il pane che sostenta il cuore dei mortali” (salmo 104). Nevio Scala l'allenatore Scal nell'orto alle prese con le patate Claudio Scala, sul trattore. La moglie Elisa, durante la potatura. Dalla campagna al calcio e dal calcio alla campagna. Cos’è? Un ritorno al passato o un ritorno al futuro? Non è un ritorno. Non ho mai abbandonato la terra. Durante tutta la mia carriera ho sempre mantenuto i legami con l’azienda. Mi rifugiavo a Valbona e mi rilassavo passando intere giornate sul trattore per dare una mano a Giorgio, mio fratello. Il legame con questa terra esiste da quando sono nato. La nostra famiglia si trasferì qui nel 1929 quando nonno Angelo, veronese di Pressana di Minerbe, ponendo un’incauta firma d’avvallo su un documento, per aiutare un amico, si rovinò. Scappò qui con la famiglia. Papà, mezzadro dei conti Albrizzi, continuò il lavoro nei campi in affitto. Grazie al calcio ho potuto acquistarli. È una bella terra e bella è l’azienda, ma non avrei mai pensato di diventare un vignaiolo. Come mai si è convertito al vino? Per moda? Investimento? Né l’una né l’altro. Per conversione. Il merito è di mio figlio Claudio. Lui fa il docente universitario a Bressanone, dov’è ricercatore pedagogista. Una decina di anni fa si fece avanti: “Papà, perché non piantiamo viti?”. Gli chiesi se stava scherzando, lavoro ne avevamo più che a sufficienza. Ma Claudio non cedette e ogni tanto tornava alla carica. Alla fine gli ho dato retta. Siamo andati in cerca di diritti per impiantare i vitigni in tutto Veneto, rintracciando mezzo ettaro qui, mezzo là. A quel tempo si potevano acquistare quote anche al sud, così abbiamo raggranellato diritti anche in Puglia. Pian piano abbiamo racimolato quattro ettari che poi sono diventati dieci. Nel 2014 abbiamo piantato le primi viti. E ha detto definitivamente addio al pallone. No. Vivo sempre nel mondo del calcio, anche se non è più il lavoro principale. Vengo spesso chiamato per interviste, coinvolto in discussioni alla tivù, in confronti tra il calcio d’oggi e quello di ieri. Si rievocano episodi rimasti nel cuore dei tifosi. Radio Bruno Toscana, tanto per fare un esempio, mi ha chiamato per ricostruire una vittoria della Fiorentina - allora vestivo la maglia viola - contro il Milan al Comunale di Firenze. Applica al vino la stessa filosofia del calcio? La logica con la quale rivoluzionò il mondo del pallone traghettando il Parma dalla serie B alla Coppa Uefa? A dir la verità è Claudio che detta la strada da seguire, sua la filosofia: mani e mezzi agricoli, niente veleni. Solo cose pulite. Corrisponde, però, al mio modo di vedere anche il calcio: lavoro, ordine e pulizia. Questa la filosofia, questa la passione. La vendemmia della garganega Sovescio nel vigneto di cabernet La proprietà dell'azienda comprende anche un piccolo lago Perché non ha scelto la strada più facile, quella del Prosecco che garantisce buoni guadagni? Perché non mi interessa far soldi, ma fare quello che mi piace. La scelta del Prosecco è economica, la nostra filosofica. L’azienda è biologica e l’uva della quale siamo innamorati è l’eclettica garganega, “Papà - ha detto Claudio fin da subito - piantiamo garganega e moscato”. Poi, mano a mano che gli ettari vitati aumentavano, abbiamo messo a dimora altri vitigni: merlot, cabernet e varietà autoctone che si stavano perdendo. Ci detta la formazione delle uve in campo? Garganega, recantina, corbinona, turchetta, pataresca, merlot, cabernet franc, moscato giallo, moscato bianco, malvasia istriana. Manca l’11° giocatore. C’è. È la passione, la voglia di fare le cose bene, puntando alla qualità. L’aspirazione di realizzare vini puliti, interessanti. Quanti ne avete fatti fino ad ora? Quattro: Dilètto, un bianco fermo; Gargànte, bollicina rifermentata in bottiglia; Cónteme, rifermentato sulle bucce (il nome, dialettale, corrisponde all’italiano raccontami) e un bordolese rosso che abbiamo chiamato 999 per il numero delle bottiglie prodotte il primo anno e perché così si chiama l’associazione culturale creata dai miei figli. Quest’anno faremo anche una piccola produzione di Moscato. Mani da vero vignaiolo per Nevio Scala Nevio Scala con il figlio Claudio e la nuora Elisa I vigneti dell'azienda in inverno I vini dell'azienda Nevio Scala Anche Sacha si interessa di vini e cantina? Non solo. Lui è architetto e ha progettato la cantina che stiamo costruendo qui a Valbona ristrutturando barchessa, stalla e fienile di un vecchio casolare. Sarà una cantina completa di sala di degustazione e laboratorio di analisi. Siete seguiti da un agronomo e un enologo? Sì, l’agronomo è padovano, Guido Busatto. L’enologo veronese, Damiano Peroni. Entrambi hanno sposato la filosofia del bio. Damiano, prima di essere agronomo, è l’amico che Claudio ha conosciuto nella cantina di Stefano Menti, a Gambellara, dove vinifichiamo in attesa di avere la nostra. Nevio Scala è sempre stato combattente di razza. Ha mai pensato che potrebbe scorrere nel suo sangue qualche globulo di Cangrande della Scala, l’antico signore guerriero di Verona? Potrebbe essere, ma la cosa non mi fa impazzire. Noi siamo noi, gli Scala di Lozzo, gente legata al lavoro e alla terra. LA CARRIERA Nevio Scala viene scoperto da un osservatore del Milan mentre gioca nelle giovanili della Nova Gens di Noventa Vicentina. Il ragazzo ha testa, cuore e bella visione del gioco. Nella stagione 1962-63 è inserito nelle giovanili rossonere. Nel campionato 1966-67 è concesso in prestito alla Roma di Oronzo Pugliese, dove gioca da titolare tutta la stagione. Torna al Milan dove gioca due stagioni vincendo uno scudetto, una Coppa delle Coppe e una Coppa Campioni. Indossa anche la maglia azzurra dell’Under 21. Dal 1969 al ’71 gioca nel Lanerossi Vicenza, dal 1971 al ’73 nella Fiorentina di Nils Liedholm e le due stagioni successive nell’Inter, la prima con Helenio Herrera. ùDopo un ritorno al Milan Scala gioca tre stagioni al Foggia, una al Monza in serie B, chiudendo nell’81, a 34 anni, nell’Adriese in C2. Ricomincia più avanti come allenatore: Lanerossi Vicenza, Reggina e, nel 1989, il Parma. In sette campionati vince con i gialloblù una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa, una Coppa Uefa. Dopo Parma Scala allena il Perugia, il Borussia Dortmund con il quale conquista la Coppa Intercontinentale, la squadra turca del Beşiktaş, l’ucraina Šachtar Donec’k con la quale vince sia il campionato che la Coppa d’Ucraina. Conclude nel 2004 con lo Spartak Mosca con il quale vince la Coppa di Russia. I vini I grandi risultati di Scala, prima da calciatore e poi da allenatore