La macerazione sulle bucce: da necessità a scelta tecnica. Una pratica solo apparentemente semplice, ma che richiede grande preparazione

La macerazione sulle bucce: da necessità a scelta tecnica. Una pratica solo apparentemente semplice, ma che richiede grande preparazione
Negli annali di letteratura e cronaca del mondo del vino italiano degli ultimi decenni, il termine macerazione è stato usato raramente, a meno che non si parlasse della vinificazione delle uve rosse, argomento che sottintendeva naturalmente - senza che ce ne fosse motivo di citarla - la macerazione delle bucce. Negli ultimi dieci anni invece viene pronunciata sempre più spesso la frase “da uve bianche macerate sulle bucce”: macerazione, per certi versi, è diventato un termine piuttosto in voga. Si intende con questo la modalità che porta a trattare in cantina le uve a bacca bianca come fossero a bacca scura - ovvero operando una vinificazione in rosso - lasciando cioè per tempi più o meno lunghi le bucce a contatto (a macerare, appunto) con il mosto.
È la tecnica che ha portato alla produzione dei cosiddetti vini orange, termine coniato dagli americani che, con il solito pragmatismo che li contraddice, hanno voluto identificare così facilmente questa particolare tipologia di vini. Un termine che è entrato immediatamente nelle carte dei vini dei ristoranti di New York e San Francisco: accanto a sparkling, sweet, white, red (rossi leggeri) e black (rossi scuri, concentrati e di grande struttura) si è aggiunta anche la lista orange.
Per illustrare - al cliente incuriosito di fronte a questi nuovi orange wine - la macerazione delle uve bianche con il mosto si è preso subito a dire che si tratta di una tecnica primordiale di vinificazione, una modalità che alcuni vignaioli hanno adottato per ritornare alle origini. Spiegazione persuasiva e affascinante, ma non proprio corretta. Ripercorriamo un po’ la storia.