il territorio I CAMPI DI VENEZIA di Anna Maria Pellegrino Da mezzo di sostentamento a rarità con finalità sociali. Gli orti in Laguna ci sono ancora A Venezia con la zappa in mano. I Romani con il termine indicavano un ”terreno coltivato protetto da una cinta e, in senso lato, un luogo tranquillo dove ritirarsi per svolgere attività utili e dilettevoli”. Nella realtà contadina veneta tutto ciò si distingue in orto e brolo e mentre il primo ha avuto declinazioni anche scientifiche, come il caso degli orti botanici, così fondamentali per gli studi del mondo vegetale ed ancor oggi meta di studiosi e turisti, il secondo divenne, anche grazie a Palladio, un’indispensabile accessorio della villa veneta ed inteso non solo per la produzione di ortofrutta ma soprattutto “un luogo dove riposare gli occhi e l’anima”. E di orti abbondava pure Venezia, come testimonia un libro, oltre ad una guida, che fa bene all’anima, scritto da Elisabetta Tiveron, cuoca e storica, “Il quaderno degli Orti Veneziani”, ed. Kellerman Editore, con il quale è possibile visitare Venezia con gli occhi del veneziano e non con quelli delle agenzie turistiche dedite al “mordi-e-fuggi”. hortus conclusus Verza coltivata in un piccolo orto cittadino. Toponomastica a ricordo di un passato rurale. Piccolo orto veneziano con vista. L'insalata cresce fra le conchiglie. UNA CITTÀ AGRICOLA Quello che colpisce il turista curioso è sicuramente il verde, ossia la vegetazione che cresce rigogliosa, alle volte spavalda e prepotente, tra le pietre silenziose. Il fatto che le piazze veneziane si chiamino campi non certamente un caso: come accadeva anche in terraferma non esistevano strade e aree lastricate e la terra battuta era quanto di meglio si potesse ottenere. Nei “campi” pascolavano gli animali, si coltivavano gli ortaggi per necessità quotidiane e per riempire i banchi del mercato di Rialto e di San Polo, si curavano alberi da frutta e vitigni. Tutta la città, insomma, era dedita all’agricoltura e all’allevamento, che consentivano il sostentamento quotidiano durante tutto l’arco dell’anno, mentre le coltivazioni estensive venivano effettuate in terraferma, vista la necessità di aree molto ampie. Anche se, come si evince dai registri tenuti così minuziosamente dai monaci e dalle monache dei numerosissimi monasteri presenti in città, all’inizio anche le coltivazioni estensive venivano testate negli orti. Ciò accadde, per esempio, al mais, ingrediente divenuto dal ‘500 fondamentale per la gastronomia veneta che, prima di trasferirsi nelle vastissime campagne, venne coltivato appunto negli orti cittadini. Inoltre il Gran Consiglio, fertile produttore di norme e leggi, non si risparmiò neppure nel regolamentare l’attività agricola in città: sono note infatti le ordinanze del 24 settembre 1533 dove si raccomandava ad erbaroli e ortolani di “tener netto da ogni immondizia dinanzi le loro botteghe...ˮ e quella del 28 aprile 1775 dove si faceva obbligo di tener “esposta fuori dalle loro botteghe una mastella di acqua dolce netta”. ARRIVA NAPOLEONE L’aspetto rurale di Venezia nel corso dei secoli è stato profondamente modificato: l’occupazione di Napoleone prima e degli Austriaci poi, oltre alla necessità di bonificare alcune aree più povere e meno salubri della città (con la costruzione durante il periodo fascista di abitazioni popolari così distanti dalla realtà veneziana), ha relegato in alcuni punti della città e della laguna la presenza degli orti. Ma mentre il turista frettoloso scenderà da uno dei tanti ponti delle megattere da crociera e si tufferà nella città per poche ore, trascorse soprattutto ad acquistare tarocchi di vetri e merletti, quello curioso potrà perdersi nelle tante meravigliose realtà celate e visitabili come l’Isola di Sant’Erasmo, l’Isola di Mazzorbo Burano e naturalmente quanto conservato all’interno dei monasteri che tutt’oggi vedono il silenzioso lavoro di monaci e monache trasformarsi in ortaggi unici. LE ISOLE-ORTO Sant’Erasmo è un’isola molto vasta della laguna veneziana, sede anche di un famoso presidio Slow Food, il Carciofo Violetto o “Castraura”. È abitata da poche centinaia di persone e fin dai tempi di massimo fulgore della Serenissima deve la sua fortuna proprio alla coltivazione ortofrutticola. Le qualità organolettiche del terreno di quest’isola, concimata anche con i residui di molluschi, conferisce a quanto coltivato una lieve sapidità, che racconta di terra ma anche di mare. Non si producono ovviamente solo le mitiche castraure, ma tutti gli ortaggi e la frutta di stagione e, naturalmente, è visitabile ed i prodotti qui coltivati acquistabili. Una curiosità: nonostante Venezia sia stata in maniera improvvida inserita in taluni circuiti cicloturistici non è una città visitabile in bicicletta. Norme specifiche ne vietano l’uso anche ai bimbi. Diverso è il discorso per l’uso delle due ruote nelle isole e, soprattutto a Sant’Erasmo, c’è la possibilità, scesi dal vaporetto, di inforcare la bici e regalarsi ore serene in un vero paradiso terreste. Un’altra incredibile realtà ortofrutticola e vitivinicola è sicuramente quella dell’isola di Mazzorbo Burano dove, dopo anni di incuria, un progetto regionale inserito nella creazione e valorizzazione del Parco della Laguna di Venezia, ha fatto rinverdire, è il caso di dirlo, gli antichi splendori. Isola celebre per un complesso edilizio risalente al ‘500 e per la vigna murada, ossia un terreno coltivato a vigneto, alberi da frutta e ortaggi cinto da un muro, dal 2007 è stato affidato alle cure dei viticoltori Bisol di Valdobbiadene, che hanno dato nuova vita alla “Tenuta Scarpa Volo”, visitabile. Oggi si chiama Venissa, ed è anche un ristorante con camere davvero incantevole, dove gli chef Chiara Pavan e Francesco Brutto guidano una brigata di giovani talenti, “offrendo una cucina coraggiosa e d’avanguardia”. Chiara, è stata scelta nel 2019 dalle Guide de L’Espresso come miglior Chef donna d’Italia. Un’altra isola che ha visto trasformare il destino di alcuni dei suoi abitati è quella della Giudecca, sede anche del carcere femminile. Grazie all’opera di una cooperativa di volontari, attiva fin dagli anni ’90, tra le mure carcerarie ha preso vita un orto, l’unico biologico certificato presente a Venezia. Per ovvi motivi di sicurezza non è possibile visitarlo, ma tutti i prodotti, non solo ortofrutticoli, realizzati dalle detenute sono acquistabili. L'orto di Venissa. TORTA NICOLOTA Pane, amore e fantasia È ancora possibile trovarla in qualche panificio della provincia di Venezia, anche se è meno famosa della Pinza. Nella Venezia di qualche tempo fa le diverse feste parrocchiali venivano caratterizzate da un piatto particolare. E la parrocchia di San Nicolò dei Mendicoli, una delle più povere della città lagunare, battezzò la torta Nicolota, un dolce il cui ingrediente principale è il pane raffermo. Questo, una volta eliminata la crosta, viene messo a bagno nel latte, quindi strizzato e amalgamato con farina, zucchero e abbondante uvetta ammollata nella grappa. Il composto viene quindi adagiato su una teglia precedentemente unta, cosparso di abbondanti semi di finocchio e cotto nel forno. Momenti di relax negli orti sociali. PARROCCHIE E PARROCCHIANI Una storia di antiche rivalità I parrocchiani di San Nicolò dei Mendicoli erano chiamati “Nicoloti” ed erano acerrimi nemici degli abitanti di Castello, situati all'estremo opposto della città, nella zona di San Pietro di Castello. Almeno una volta l'anno, Nicoloti e Castellani si scontravano sul Ponte dei Pugni nei pressi di Campo San Barnaba a Dorsoduro: si battevano senza tanti complimenti a mani nude e vinceva chi rimaneva all’asciutto ovvero non veniva gettato nell’acqua del rio sottostante. La sfida durava da settembre a Natale: si iniziava con i duelli e si terminava in risse epocali. Col tempo la lotta si allargò anche ad altri ponti, ma nel 1705 gli scontri furono proibiti dopo che dai pugni si passò ai coltelli.