Venissa e i 18 anni della gestione Bisol. Da pazzia a modello per un polo dell’eco-lusso agricolo in Veneto

Venissa e i 18 anni della gestione Bisol. Da pazzia a modello per un polo dell’eco-lusso agricolo in Veneto
La prua del piccolo Boston Whaler si adagia placida su piccole onde verdi. A sinistra c’è l’isola di Mazzorbetto, con la casa di Flora Gandolfi, la vedova del “mago” Helenio Herrera: ci viene poco, preferisce l’appartamento quattrocentsco di San Lio, a due passi da Rialto, dove sta combattendo la sua guerra personale contro bed&breakfast e le sale con le slot machines, esponendo striscioni di protesta. A dritta c’è la fondamenta di Santa Caterina, che finisce nell’acqua subito dopo la vetta sbilenca, con la cuspide a sei lati, del campanile di San Michele Arcangelo. Il campanile è uno stanco razzo color mattone verso il cielo. La chiesa non c’è più, una Confraternita nel 1747 la salvò dalla rovina “con nuovi abbellimenti e decenti sacre suppellettili” perché “i pochi e miserabili abitanti” non potevano mantenere il luogo delle loro preghiere. Cinquant’anni dopo, la caduta della Serenissima trascinò nella rovina anche la chiesa di Mazzorbo. Dall’alto del campanile, tra le sue antiche campane, si scorge un panorama nuovo: un vigneto di dorona. È in questa zona, dove la Laguna ritrova il suo cuore agricolo, che Venezia appare (come sempre) diversa. Sembra uscire dalla penna di Ilja Leonard Pfeijffer, autore di “Grand Hotel Europa” (Nutrimenti, 2020, 22 euro): “Ogni volta a Venezia è la prima volta. Mi sorrideva come un’amante che attendeva il mio arrivo…
I suoi gioielli tintinnarono mentre spalancava le sue braccia morbide e tiepide… ridacchiando piano perché finalmente tutto aveva un
senso”.