BORN IN THE USA - La patria della rivoluzione artigianale

focus BORN IN THE USA di Maurizio Maestrelli La nuova epopea della birra artigianale nasce negli Stati Uniti. Un fenomeno che non ha ancora terminato la sua forza propulsiva USA, patria della birra artigianale La storia della birra negli Stati Uniti la si fa iniziare, quasi per convenzione, con l’arrivo della Mayflower. La leggenda vuole che i padri pellegrini avessero la stiva della nave ben fornita di barili di birra e che decisero di approdare dalle parti di Cape Cod perché il prezioso liquido era ormai terminato. Leggende a parte, è vero che la birra ebbe da subito un ruolo importante nella storia americana a partire dal 1620. L’anno, per l’appunto, dell’arrivo della Mayflower. Le taverne dove la si beveva erano i luoghi deputati alla socializzazione e allo svago, ma anche al dibattito e qui fiorirono le prime idee della rivoluzione. Ai tavoli di taverne come il Green Dragon di Boston si incontravano patrioti come Joseph Warren, John Hancock e Samuel Adams, alla City Tavern di Filadelfi a erano di casa George Washington e Thomas Jefferson e al bancone di questa birreria i "padri fondatori" festeggiarono la firma della Costituzione del giovane Paese. L'autore con Eric Ottaway della Brooklyn Brewery Raccolta del luppolo negli Stati Uniti Esterno della Brooklyn Brewery TUTTA COLPA DEI TEDESCHI Tuttavia, per comprendere gli Stati Uniti della birra così come li conosciamo oggi, si deve fare un passo in avanti e contestualizzare due fenomeni altrettanto fondamentali: il primo fu l’ondata migratoria, attorno alla metà dell’800, che vide sbarcare sul suolo americano una folta rappresentanza di espatriati tedeschi; il secondo, all’incirca negli anni Settanta del secolo scorso, fu il fenomeno dell’homebrewing e della sua legalizzazione, avvenuta nel 1978 con la presidenza di Jimmy Carter. I tedeschi trapiantati nel nuovo continente, tra le altre cose portarono con loro il desiderio e la capacità di produrre birra che, per non sbagliare, doveva essere il più possibile simile a quella che erano abituati a bere in madrepatria. Incontrarono tuttavia una difficoltà. L’orzo che si coltivava nell’America del tempo era una varietà differente da quello europeo: il primo, definito "esastico", conteneva meno amido e più proteine, a parità di peso, rispetto all’orzo "distico" diff uso nel vecchio continente. Con il risultato che la birra prodotta risultava meno limpida del normale e pertanto, a parer loro, meno piacevole almeno all’aspetto. Da qui l’avvio di una pratica, ovvero l’aggiunta di cereali come il riso o il mais, che ha successivamente contraddistinto l’avvento dei primi birrifici industriali e la diffusione, praticamente totalizzante, di una birra come l’American Lager che ha proprio nell’impiego di questi succedanei dell’orzo il suo tratto distintivo. A marchi famosi come Budweiser, prodotta per la prima volta attorno al 1870 nella cui ricetta originale compariva il 23,5% proprio di riso, Coors e Miller fece poi seguito la moda delle birre "light". Un’invenzione della Miller talmente di successo da permetterle nel giro di qualche anno di dare la scalata, dal settimo al secondo posto, alla classifica dei birrifici più grandi degli States. Ancora oggi, è bene ricordarlo, sono pur sempre le birre "light", bassa gradazione alcolica e amaro quasi impercettibile, a far registrare i più elevati volumi di vendita. SCATTA LA SCINTILLA Insomma, il panorama birrario negli Stati Uniti degli anni Settanta era fondamentalmente monolitico. Meno di cento birrifi ci in attività e scelta limitata a birre chiare, poco caratterizzate, abbastanza simili l’una all’altra e con l’unica variante delle birre "leggere". Tuttavia il decennio in questione da un lato toccò il punto più basso ma dall’altro accese la scintilla della rivoluzione. La legalizzazione di una pratica come l’homebrewing e personaggi chiave come Charlie Papazian, il padre della Homebrewers Association che più tardi si trasformò nella Brewers Association, e Fritz Maytag, che nel 1965 aveva rilevato e riportato a nuova vita la Anchor Brewing Company di San Francisco, gettarono le basi di una prima moltiplicazione esplosiva di microbirrifici agli inizi degli anni Novanta, un temporaneo rallentamento attorno al 1997 e una ripartenza dal 2003 in poi che ha portato la birra artigianale americana a pesare per il 13% circa del mercato nazionale grazie all’attività di oltre ottomila birrifici sparsi in tutti gli Stati. Ma che cosa ha decretato il successo della birra artigianale americana e che cosa si intende per birra artigianale americana? Beh, alla prima domanda si può rispondere che le ragioni del successo vanno ricercate nella disponibilità del consumatore statunitense ad apprezzare birre diverse per profumi, struttura e gusto e nella "scoperta" di varietà di luppolo autoctono dal profilo aromatico diverso da quelli tradizionalmente usati in Europa. Luppoli come il Cascade, il primo forse ad affermarsi nello scenario nazionale, il Centennial e il Chinook regalavano intriganti e insolite note resinose e agrumate, i successivi Simcoe, Citra, Amarillo e Mosaic, solo per citare i principali, off rivano aromi di frutta tropicale che richiamavano il mango e l’ananas. I birrai americani ebbero l’intuizione di buttarcisi a capofitto spesso innestando questi luppoli su birre tradizionali europee con una tecnica, chiamata "dry-hopping", con la quale si garantiva la piena espressione dei profumi di questi nuovi luppoli. La prima birra a decretare il successo della rivoluzione fu quella che oggi conosciamo come American Pale Ale che, soprattutto all’inizio, fu una sorta di americanizzazione di una Pale Ale di stampo inglese. Il suo successo convinse molti birrai che la luppolatura era il grimaldello per sfondare sul mercato. E, come dire, iniziarono a premere sull’acceleratore. IL GREAT AMERICAN BEER FESTIVAL Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno va in scena ogni anno a Denver, in Colorado, il Great American Beer Festival. Quello che alla prima edizione del 1982 era una sorta di incontro informale tra appena ventidue pionieri si è trasformato in una specie di "gran sabba" della birra artigianale USA, con oltre duemila birrifici presenti, migliaia di birre da provare e più di sessantamila appassionati a sciamare tra gli stand (dati 2019). Insomma, se si vuole fare una full immersion nel mondo della birra americana post-craft revolution è a Denver che si deve andare. Info: greatamericanbeerfestival.com Il gran sabba di Denver Fonte: Brewers Association IL SUCCESSO DELLE IPA Nel 1994 alcuni birrai americani andarono in Inghilterra per studiare quella che era stata una birra storica ma ormai caduta nel dimenticatoio. Si trattava della India Pale Ale. Recuperate vecchie ricette e consultati birrai in pensione, al loro ritorno un giornalista (Thom Thomlinson) scrisse un paio di articoli per la rivista Brewing Techniques descrivendo come si produceva una India Pale Ale nel XIX secolo. Da quel momento in poi le IPA americane, meglio dette come American IPA o AIPA, iniziarono a spazzare via tutto quello che stava loro intorno. Dall’inizio del 2000 fino al 2015 furono la categoria più rappresentata al Great American Beer Festival e si suddivisero presto in sottocategorie come le Black IPA, con una percentuale di malti scuri, le White IPA, modellate dapprincipio sulle birre di frumento tipiche del Belgio, le Rye IPA, con l’uso di segale. E, in una corsa alla luppolatura più abbondante possibile, si arrivò alle Double o Imperial IPA nelle quali la copiosità dei luppoli impiegati andava di pari passo con l’innalzamento del tenore alcolico. Fino all’ultimo fenomeno, per ora almeno, delle birre "a tutto luppolo" ovvero le New England o Juicy o anche Hazy IPA, nelle quali la luppolatura estrema raggiunge vette quasi impensabili con il risultato di avere delle vere "bombe" di frutta tropicale e agrumi in un bicchiere dove la birra è resa opaca dalla presenza dei tannini del luppolo. La Yazoo Brewing di Nashville L'interno della Taproom di Sierra Nevada La Sierra Nevada Brewery a Chico, in California Fermentatori, campi di orzo e luppoleti NON SOLO LUPPOLO Gran parte della recente storia birraria a stelle e strisce è quindi governata dal luppolo. Birre come le American Stout e gli American Barleywine differiscono principalmente dai prototipi nati in Inghilterra proprio per le varietà e le quantità dei luppoli impiegati, tuttavia sarebbe sbagliato ridurre il mondo della birra americana alla quale buona parte delle giovani generazioni di birrai, italiani inclusi, è debitrice al mero uso dei luppoli in dry-hopping. Molti birrai statunitensi hanno da tempo iniziato a sperimentare lieviti come il noto Brettanomyces, il tratto distintivo delle birre a fermentazione spontanea tipiche del Belgio, a impiegare barili e botti, spesso da Bourbon ma pure da vino californiano, ed è difficile oggi pensare a uno stile birrario che non abbia qualche autorevole rappresentante a stelle strisce. Quando ho assaggiato come giudice ai tavoli dell’ultima World Beer Cup, a Nashville, mi sono trovato di fronte la categoria di birre "con altre materie prime fermentescibili". Una di queste birre, tra gli ingredienti, annoverava le patate. Un’altra, mi sembra di ricordare, le barbabietole. Una dimostrazione evidente che la rivoluzione artigianal-birraria americana, una rivoluzione che ha davvero cambiato il mercato della birra in tutto il mondo, non ha ancora toccato lo zenit. O che, almeno, ai birrai americani non è venuta meno quella fantasia, quella voglia di provare, che loro stessi definiscono ironicamente con "just try something", che è non solo il tratto distintivo di questa nostra epoca birraria ma anche la vera quintessenza del fare birra. ARTIGIANI, PICCOLI E INDIPENDENTI La Brewers Association, l’organizzazione che rappresenta le migliaia di birrifici artigianali americani, definisce i propri associati come aziende indipendenti, ovvero non partecipate per più del 25% da un’azienda produttrice di alcolici, che tuttavia non sia artigianale a sua volta. La produzione massima per essere considerati craft, cioè artigianali, non deve oltrepassare i sei milioni di barili l’anno, ovvero suppergiù i sette milioni di ettolitri l’anno. I più grandi birrifici artigianali americani sono la californiana Sierra Nevada, la bostoniana Samuel Adams e, al primo posto, con sede in Pennsylvania, la Yuengling. Rientrata in classifica da quando la Brewers Association ha decretato che l’impiego di succedanei come il mais e il riso fanno parte della tradizione e, pertanto, costituiscono anch’essi un parametro di "artigianalità". Anche se si usano i succedanei