Tutti vogliamo un mondo migliore: senza guerre, senza disparità fra le nazioni, senza differenze fra i popoli e con gli stessi diritti fra uomini e donne. Questo mondo migliore dovrebbe avere un clima stabile, senza scioglimento dei ghiacciai, senza desertificazioni e senza specie animali e vegetali in pericolo. Un paradiso ipotetico con uso di energie rinnovabili senza inquinamenti.
Bello, ma realizzabile? Difficile, ma se non si inizia ad applicare alcuni principi a casa propria non ci riusciremo mai. È necessario da parte di ognuno di noi un piccolo sforzo e, mattone dopo mattone, faremo un mondo migliore. Anche il mondo del vino deve fare la sua parte e la può fare con alcuni accorgimenti, come ad esempio costruire le nuove cantine con criteri rispettosi dell’ambiente, fare attenzione ai reflui e a tutte le sostanze emesse nell’ambiente, diminuire il peso delle bottiglie e usare la massima quantità di materiale riciclabile nei cartoni e nelle etichette.
La chimica svizzero-tedesca-americana è però in agguato e ci consiglia di usare concimi, erbicidi e fitofarmaci. È vero, ogni anno sottraiamo al vigneto gli elementi nutritivi. Ma possiamo restituirli con letame o altri concimi organici, oppure lasciare l’erba nel vigneto; un risultato ancora migliore si ottiene con il sovescio. Assolutamente da evitare è l’utilizzo di erbicidi chimici. Si possono controllare le erbacce con sfalci millimetrati o con interventi termici. Basta dire no a tutti i tecnici che dicono di usare anti-germinanti, diserbanti, disseccanti e qualsiasi altra diavoleria.
E le malattie? Ci sono quelle classiche come peronospora, oidio, marciume, ma recentemente sono apparse la flavescenza dorata, il mal dell’esca e il legno nero. La malattia è in continuo cambiamento e lo stesso devono essere i farmaci con studi e prove continue. Trovo assurdo trincerarsi su prodotti vecchi e obsoleti, quali poltiglia bordolese e zolfo, o usare delle tecniche come la coltivazione biologica o peggio ancora quella biodinamica.
L’uso di queste tecniche cancella anni di progresso e ci fa ritornare in un oscurantismo da secoli scorsi. Il progresso intelligente si fa solo con la ricerca scientifica e in modo particolare con la genetica. Dobbiamo cercare, trovare e produrre delle viti in grado di resistere alle malattie senza bisogno di avvelenare l’aria, le foglie, il terreno e soprattutto l’uva con prodotti che bene non fanno. Non illudiamoci mettendo le casette per gli uccelli affinché questi mangino gli insetti: la lotta alle malattie è, ahimè, ben altra cosa. Ci sono più strade. Una è l’ibridazione e la seguente selezione delle varietà utilizzate: si mescola il patrimonio genetico dell’uva originale con un po’ di geni di varietà resistenti e si ottengono i così detti PIWI.
Ma risultati più incoraggianti si otterranno dal Genoma Editing, una tecnica che prevede di togliere il gene che crea la sensibilità alla malattia. Non una vite con dentro il cuore di un salmone, cosa che prende il nome di organismo geneticamente modificato. Solo una ricerca e l’individuazione della zona del patrimonio genetico responsabile della sensibilità alla malattia. Si interviene in questa zona modificandola, ma il resto, il 99,9 periodico dei geni, non viene assolutamente cambiata.
Questo è il trionfo della scienza, della vita e della salvezza dell’ambiente. Per il momento i risultati non sono definitivi, ma la ricerca continua e prima o dopo arriveremo alla Vite Ideale. Nel frattempo usiamo prodotti chimici di classe bassa, di poco impatto ambientale, ma usiamo attrezzature moderne tarate e mirate a mandare il prodotto solo dove serve, rispettando l’aria e il terreno. Senza sperare nel biologico o nel biodinamico, retaggi di oscurantismo e di un passato obsoleto.
