Verdure e frutti dimenticati, da riportare sulla nostra tavola. Perché la biodiversità è un valore da conservare

Verdure e frutti dimenticati, da riportare sulla nostra tavola. Perché la biodiversità è un valore da conservare
La compagnia è piuttosto numerosa e interessante. C’è la bricconcella e la santarellina, il permaloso e il serafico, l’imbarazzante e il gaio. C’è la bruttina con il muso bovino e la bruttona che ricorda, poveretta, il culo di un somaro. Questa compagnia è solo una parte del gruppo di piante e piantine (erbe, ortaggi, frutti) che oltre al nome curioso hanno in comune una triste sorte: l’oblìo. Rischiano di finire nel cimitero delle verdure e dei frutti dimenticati o ignorati.
Un camposanto che si allarga sempre di più. La bricconcella è la piantina dell’aneto, cara nell’antica Grecia ai riti erotici di Adone e, nel medioevo, viagra consigliato dagli alchimisti agli uomini in età avanzata. Narra la tradizione che l’angelica, nomen omen, fu affidata dall’arcangelo Raffaele a un monaco quale rimedio contro la peste bubbonica. Il permaloso è una varietà di fico che, al tocco della buccia, diventa rosso. Poi c’è il broccoletto di Custoza, ortaggio umile, francescano; la radice amara che provoca le puzzette; il cerfoglio che secondo Egizi, Greci e Romani metteva allegria in chi se ne cibava. La mela muso di bue e la mela la cui forma ricorda il lato B di un asino sono pomi molto rari rimasti nell’elenco dell’archeologia arborea. E pensare che alcune verdure dimenticate hanno nutrito e salvato dalla fame milioni di italici nei periodi bui della loro storia. Li hanno anche aiutati a star bene, a guarire da disturbi fisici grazie alle loro virtù salutari. Meriterebbero una medaglia e invece sono stati messi da parte. Scordati. Disprezzati. Radice amara? Vade retro. Scorzonera, bleah! Talli d’aglio? Puzzano il fiato.
La radice amara fino a una cinquantina di anni fa era molto apprezzata: fritta a rondelline, imburrata e cotta al forno, lessata condita con olio, sale e pepe era tra le verdure più vendute dall’ortolano o nella lista dei contorni offerti in trattoria. Benemerita, ha sfamato generazioni di famiglie. Essiccata, tostata e macinata ha perfino surrogato il caffè nei periodi in cui mancavano i chicchi della rubiacea.
La radice amara fa benissimo, ma paga lo scotto di essere verdura povera, amara e per le imbarazzanti espulsioni di gas intestinali. Il bello è che non è la radice a crearli. Al contrario: il Cichorium intybus libera il ventre da ristagni gastrici. Aiuta il fegato, i reni, l’intestino. È un toccasana per i diabetici. Depura il fegato. Più che una radice è una farmacia.