in primo piano COME SI CAMBIA L’evoluzione nel tempo del concetto di osteria. Che è sempre un luogo accogliente e conviviale di Eugenio Signoroni Quando nel 1990 uscì la prima edizione di l’obiettivo era soprattutto salvaguardare un modello di ristorazione che sembrava essere destinato a un’inevitabile sparizione. in quegli anni era un termine accostato a una proposta sciatta, furba, di poco prezzo soprattutto a causa della mancanza di cura per la selezione delle materie e per il servizio. E non parliamo del vino, che in osteria era, anche nell’immaginario comune, di bassissima qualità. La volontà dei primi curatori di , che negli anni successivi sarebbero diventati figure di riferimento per la cultura gastronomica del nostro Paese, come Carlo Petrini, Marino Marini, Piero Sardo e Paola Gho, era dimostrare che la situazione fosse diversa, che esistessero realtà che, facendo osteria, proponevano cibi cucinati con sapienza e con ingredienti scelti con attenzione, un servizio cordiale, una selezione dei vini meditata. Osterie d’Italia Osteria Osterie d’Italia Ma c’era anche un intento politico più “alto”. Con quell’opera (che si pensava restasse un , tanto che l’editore non sentì l’esigenza di millesimarla con un’annata stampata in copertina o altrove) si voleva, infatti, dimostrare che la dissoluzione dell’osteria a favore di nuove forme di poteva essere interrotta. La guida rappresentava quindi da un lato una forma di resistenza ai nuovi format, come la pizzeria o il fast food (il primo McDonald italiano aveva aperto nel 1985 a Bolzano) che nascevano e andavano affermandosi, e dall’altro all’atteggiamento della ristorazione che snobbava i piatti della tradizione e i prodotti del territorio preferendo loro una cucina internazionale, almeno nelle apparenze, e cibi esotici e preziosi. unicum mangiar fuori Ma non solo, il periodo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta era anche quello nel quale iniziavano a essere pubblicate molte delle guide gastronomiche nazionali. I fondatori di , arrivando cronologicamente per ultimi, ebbero la possibilità di analizzare il mercato e scelsero di occupare uno spazio che altri avevano lasciato libero. Come ricorda Marino Marini – bresciano, socio di Slow Food della prima ora, appassionato di libri, cucina tradizionale e osterie – nel video girato in occasione dei trent’anni della guida, fare una guida dedicata alle osterie appariva a quei tempi una scelta totalmente sconsiderata. Osterie d’Italia “Ci accusarono di fare il trionfo dell’unto” ricorda ancora Giovanni Ruffa, membro della prima redazione. Eppure quella scelta risultò vincente, tanto che nel 1991 uscì una seconda edizione e nel 1992 venne per la prima volta introdotta la , il simbolo che ancora oggi è assegnato ai locali che rappresentano l’osteria in modo eccellente (vedi box). Per parlare di però è necessario immergersi nella complicatissima operazione di definire cosa fosse e cosa sia diventata l’osteria. Chiocciola Osterie d’Italia LA CHIOCCIOLA Introdotta per la prima volta nell’edizione del 1993, la Chiocciola identifica quei locali che meglio incarnano l’idea di osteria. Si tratta nella maggior parte dei casi degli indirizzi dove la cucina, l’attenzione per il territorio e le sue materie, la capacità di racconto e di accoglienza raggiungono livelli superiori alla media. Le Chiocciole, anche se spesso finiscono per esserlo, non sono necessariamente i luoghi dove si mangia meglio, ma quelli dove si sta meglio e che possono essere presi come esempio quando si vuole raccontare l’osteria.