Nuit-Saint-Georges e le vigne di confine di Armando Castagno, foto di Andrea Federici N eppure il tempo di lasciare, procedendo verso sud, le ultime vigne di Vosne-Romanée e la teo ria dei vigneti di Nuits-Saint-Georges è già ini ziata. Eccoli lassù in alto, incassati tra il bosco che fa loro da corona e la striscia in basso dei cinque cru estremi di Vosne: Aux Rèas, Les Jaquines e Aux Raviolles più in alto, Audessus de la Rivière e La Croix Blanche in basso. Anzi, i cru sono sei: ci vuole l’occhio di un falco e una determi nazione granitica per andare a scovare il sesto vigneto, una parcellina nascosta tra le case e la “spa” dell’Hotel Le Richebourg. Si chiama “Clos de la Fontaine” ( fontai ne sta per “sorgente”), ed è monopolio del Domaine An ne-Françoise Gros: se ne desiderate un souvenir fotogra fico, imboccate la Ruelle du Pont dalla D974 all’altezza del Domaine Bruno Clavelier, di fronte al quale il caseggiato rosso pompeiano del ristorante “La Toute Petite Auberge Rouge” segnala l’inizio di questo piccolo controviale. Su perando l’ingresso alla “Vinea Spa” vi troverete di fronte l’accesso al Clos de la Fontaine, con un panorama strepi toso di vigneti a far da sfondo. Salutata la sorgente, eccoci nelle vigne di Nui- ts-Saint-Georges, che proseguono senza soluzione di continuità quelle del blasonato comune confinante; una volta superato il confine, però, cambiano nome e spesso anche status legislativo, talora in meglio, talora in peggio. Il Premier Cru Les Chaumes di Vosne “diventa” una parcella “villages” senza gloria, Au Bas de Combe. Il ce lebre vigneto Aux Malconsorts di Vosne “diviene” Les Boudots a Nuits rimanendo di livello Premier Cru. E a sorpresa, la parcella di Vosne-Romanèe “villages” det ta Les Damaudes sale al rango di Premier Cru a Nui- ts-Saint-Georges mutando grafia, ma non pronuncia (Les Damodes, cioè sempre “i cerbiatti”). Dal punto di vista del vino, l’ingresso a Nuits-Saint-Georges, comune con storia e fama opposte rispetto a Vosne, avviene con rassicurante gradualità, senza virate brusche. Assaggiando i rossi di queste prime parcelle si ha la netta sensazione che l’ac clamato tourbillon di profumi orientaleggianti tipico del territorio limitrofo vi resista ancora, almeno in embrio- ne, per disperdersi poi lentamente man mano che ci si allontana dal confine: il passaggio dall’estrema eleganza di Vosne all’energia rude e profonda di Nuits è una sfu- matura delicata, progressiva. La fama secolare dei rossi di Nuits-Saint-Georges (i vini bianchi, che hanno una loro personale, piccola gloria, sono troppo rari per fare testo) non si è però ap poggiata a questi nobili appezzamenti della sua sezione settentrionale. L’immagine antropomorfizzata del vino di Nuits come una specie di ciclope furente e comun que sempre come una creatura incapace di pensare sia la grazia sia l’arguzia, è ingenerosa, ma dipende dalla fisio nomia cupa, tannica, materica, alcolica e densa dei suoi massimi esemplari della sezione meridionale, un gruppo di vigne ubicate a sud del centro abitato: Les Pruliers, Les Cailles, Les Vaucrains e Les Saint-Georges, quella che ha finito per dare parte del nome odierno al paese stesso; l’o riginale del decreto presidenziale che lo ha statuito, data to 10 maggio 1892, è negli Archivi Storici comunali. Il rapporto di “vicinato” tra Nuits e gli altri paesi del la Côte, e in definitiva il suo ruolo lungo i secoli, è più complesso di quanto sembri. A dirla tutta, leggendo i testi vergati in questi luoghi a partire dalla fine del Settecento, l’impressione è quella di una sorta di sudditanza psicolo gica quasi inevitabile, figlia della frustrazione. La gloria eterna di un luogo pur minuscolo come Vosne-Romanée, da sempre al centro della vicenda regionale per i suoi vini straordinari, e lo splendore di Beaune, luogo-cardi ne della storia della Borgogna e residenza ducale, si con trappongono alla silenziosa, marginale presenza di Nu its, i cui rari successi sono ricordati con enfasi dai suoi abitanti, proprio perché rari. Ma c’è stato fino al secondo dopoguerra chi a Vosne canticchiava ancora la filastrocca perfida ricordata in un libro di memorie da Renè Engel: “ Nuits-Saint-Georges / ville sans rénom / montagne sans buis sons / rivière sans poissons / femmes sans tétons ” (!). Perfida e, come abbiamo accertato de visu , anche falsa nel merito: qualche pesce nel torrente c’è eccome. Quanto al rapporto con Beaune, basti qui accennare alla rivolta popolare se guita, nel 1849, all’apposizione nella nuovissima stazione ferroviaria di Nuits del cartello “Nuits-sous-Beaune”, per dare, certo in buona fede, un riferimento geografico alla fermata. Mai sottovalutare l’orgoglio dei paysans francesi: ci mancò poco che gli uffici della PLM, la compagnia fer- roviaria, venissero dati alle fiamme. Accennavamo però ai “momenti di gloria” e sarà adesso il caso di approfondire. Il primo ha un anno preci so, il 1680, e un firmatario: Guy-Crescent Fagon, appena nominato medico di corte del Re Sole Luigi XIV. Accorso al capezzale del sovrano, sofferente di gotta a causa dell’i naudita quantità di Champagne tracannato giornalmen te, il dottor Fagon poté far sfoggio della sua cultura in materia vinicola. “Il vecchio vino di Nuits – scrisse te stualmente al Re Sole – produce degli effetti meravigliosi: lo stomaco digerisce qualsiasi cosa a piacimento, senza essere però forzato a disfarsene”. E così, il vecchio rosso di Nuits – che doveva essere simile a quel che spesso è oggi, cioè un vino caldo, ricco, sostanzioso e per questo considerato un medicinale o giù di lì – prese il posto del lo Champagne a corte, almeno per qualche tempo e il Re guarì davvero dalla gotta. Alla provvida dieta del dottor Fagon la comunità nuitonne è tuttora grata, tanto da aver gli dedicato una strada; la sorte ha peraltro concentrato nei cento metri della Rue Fagon – oltre a tre banche – un kebab, una pizzeria, un caffè, un forno-pasticceria e una brasserie, cioè quanto Fagon avrebbe senz’altro stigma tizzato, e per giunta nessuna enoteca. L’insieme, unito alla constatazione che Nuits ha gli abitanti di tutti i co muni della Côte de Nuits fin qui trattati messi insieme (oltre seimila), può far pensare di essere finalmente da vanti a un luogo della Borgogna del vino in cui si ha una parvenza di vita notturna, o quanto meno serale. La pre senza della vicina Rue Mignotte non inganni e non illu da: François Mignotte era uno scrittore di cose agricole e la movida serale di Nuits è quella di un reparto geriatrico nemmeno dei più vitali. Il secondo “momento di gloria” è più recente e lega a quadruplo filo Nuits-Saint-Georges alla Luna. Il filo è quadruplo perché gli eventi da annoverare sono quattro, clamorosamente interconnessi. Primo: la nascita proprio a Nuits (13 gennaio 1845) del grande astronomo Félix Tiss erand, presidente della Società Astronomica di Francia e direttore di tre Osservatori tra cui Parigi, nonché teoriz zatore dell’influenza della Terra sul moto della Luna. Uno dei cittadini più illustri della storia, insomma. Secondo: la citazione del vino di Nuits come bottiglia celebrativa dell’allunaggio (narrativo) da parte degli astronauti ot tocenteschi di “Autour de la Lune”, un romanzo di Jules Verne. Terzo: l’intronizzazione come Chevaliers du Ta stevin, confraternita nata proprio a Nuits nel 1934, ma avente come sede lo Château du Clos de Vougeot, degli astronauti dell’Apollo 9 (1969). Quarto: il battesimo come “Cratère Saint-Georges” del luogo dell’allunaggio (vero: il 25 luglio 1971) dell’Apollo 15, nona missione america na sulla Luna e quarta con discesa di astronauti (Robert Scott, James B. Irwin e Alfred M. Worden) sulla superficie del satellite. Sulla piazza del municipio di Nuits, c’è un bel monumento all’astronomo Tisserand sormontato dalla scultura della Luna; la piazza si chiama “Place du Cratère Saint-Georges” e la celebrazione è così completa. O quasi. Perché è passata nel dimenticatoio la circostanza, invero imbarazzante, che i tre membri dell’equipaggio america no dell’Apollo 15 abbiano portato senza permesso oltre 400 cartoline postali nella loro missione, poi rivendute sulla Terra a caro prezzo – con percentuale sulle vendi- te a beneficio degli astronauti – da un filatelico tedesco di nome Hermann Sieger. Per questa ragione, la NASA fece fuori i tre dai successivi programmi spaziali; ma è venuto fuori anche come Scott, Irwin e Worden avessero seppellito sotto la superficie lunare una etichetta di vino (il Nuits-Saint-Georges “Cuvée Terre-Lune” 1959) fornita dal Sindacato dei Vignerons locali e autografata da loro stessi, dal pilota del modulo lunare, dal direttore della NASA-Europa Clotaire Wood e dal nipote di Jules Verne. Se abbiano o no riscosso una – ehm – commissione non sapremmo dire, ma il fatto resta: signore e signori, c’è un’etichetta di Nuits-Saint-Georges da qualche parte sul- la Luna e nessuna di Vosne-Romanée. Son soddisfazioni. Abbandoniamo ora il mondo dell’aneddotica e con centriamoci sull’enografia, ché da dire ce n’è almeno altrettanto. Un sommario sguardo alla cartina della de nominazione Nuits-Saint-Georges mostra come evidenti alcune circostanze inconsuete. La sequenza di vigneti lungo la Côte, che non aveva mai conosciuto interruzio ni sin dal suo avvio, appena fuori Digione, si interrompe in corrispondenza con la vasta Combe di Nuits per poi riprendere superato il centro urbano. Una strada, la Rue Caumont Bréon, fende l’abitato e, prendendo il nome di Route de la Serrée, segue a ritroso il vecchio corso del torrente Meuzin. Percorrendola in direzione ovest, supe rando una zona commerciale, il cimitero e un bellissimo quartiere di ville, ci si ritrova nell’incontaminato para diso delle Hautes-Côtes, a Villars-Fontaine, dove maga ri trovare alloggi a prezzo sensato, piccoli Domaines di qualità inattesa e ristoranti popolari, frequentati da fa miglie: cucina rustica e a buon mercato, ambiente senza frilli e modi sbrigativi quando non ruvidi. Attenzione, in alcuni di essi, ai cetriolini sott’olio in nebbiosi barattoli tipo “quattro stagioni” e ai ciccioli fritti di imprecisata origine che si trovano già sul tavolo al momento di se dersi, talvolta così stagionati da potersi definire “reperti”: immaginate il faccione del dottor Fagon che vi fa il segno di “no” con il dito indice e lasciateli dove sono, date retta. Torniamo alla cartina, piuttosto, per annotare come non vi figurino vigneti di categoria Grand Cru. Il dato è paradossale, visto che Nuits – culla di una civiltà enoi ca millenaria – dà il suo nome all’intera Côte: esiste, è vero, un dossier aperto oltre 10 anni fa per la promozione a Grand Cru (sacrosanta sotto ogni aspetto) del vigneto eponimo del comune, Les Saint-Georges, ma a tutt’oggi le vigne migliori sono ancora dei “semplici” Premiers Crus, peraltro numerosissimi. Si nota anche come la denomi nazione copra due comuni, non solo uno: oltre a Nuits, anche quello di Prémeaux-Prissey, al confine meridiona le, che ospita nel Clos de la Maréchale il Premier Cru più a sud della Côte de Nuits intera e il suo più vasto monopole in assoluto, per giunta proprietà di un Domaine eccelso come quello di Jacques-Frédéric Mugnier. Una vigna di argille grasse dalla storia profonda, ma avvolta nel mi stero, che i locali vorrebbero derivare il nome dalla mo glie di un eroico Maresciallo e che invece sospettiamo lo prenda dal meno pomposo termine marécage , “palude”, come i vigneti Les Maréchaudes (etimo identico) e Les Paulands (da palus , sempre “palude”), lungo la stessa linea altimetrica quattro chilometri più a sud. L’intorpidita ric chezza del vino – nettamente il meno ispirato di quel ge nio che è Mugnier, inclusi i rossi di base – appone la firma sul foglio della seconda ipotesi. Altre vigne di Prémeaux producono vini di superiore interesse: in particolare i due altri “monopoli” chiamati Clos Arlot (proprietà del Domaine omonimo) e Clos des Corvées, il cui solo pro prietario è nientemeno che il Domaine Prieuré-Roch. Ma, come accennato sopra, i cru che a Nuits hanno fatto davvero la storia non sono quelli di Prémeaux, bensì quelli a sud del centro abitato, lungo una striscia a mezza costa che si sviluppa per quasi un chilometro e mezzo. Vi si susseguono parcelle storiche che danno vini di perso nalità: Les Pruliers, soavemente generoso nella sua evo cazione di ogni sorta di frutti di bosco; Roncière, rigoroso coacervo aromatico di frutto scuro e (nitidamente) liqui rizia; Les Poirets (o Porrets), carnoso, estroverso, vitale e pronto presto; Les Cailles, culla di rossi dal tono selva tico, ma di piacevole armonia; e Les Saint-Georges, per unanime parere la migliore parcella del comune, capace di rossi di complessità stupefacente. Al “piano superio re”, separate dalle cinque citate da una mulattiera sterra ta, ecco Les Terres Blanches (di antica vocazione per i vini bianchi) Les Perrières (idem), Les Chaboeufs, Les Vau- crains – vino un po’ severo, ma dal potenziale d’invec chiamento che pare infinito – e Chaînes Carteaux, dove nascono rossi tra i più cupamente tannici della Borgogna intera. Una tavolozza, come si vede, pressoché completa, anche perché comprende, considerando la denominazio ne d’origine nel suo insieme, anche i tratti esotici e sottili delle vigne a nord del paese, quelle che aggettano sopra i celebrati appezzamenti di Vosne-Romanée. Al tirar delle somme, Nuits-Saint-Georges è uno dei luoghi più ardui da studiare e al contempo più entu siasmanti della Borgogna del vino: è l’ultimo baluardo qualitativo della Côte alla quale dà il nome, ma non ne segna il limite geografico, demandato invece alla zona di frontiera (chiamata confidenzialmente “Côte des Pierres”) con cui confina a sud. Questo versante colli nare “delle pietre”, che fa da diaframma con la Côte de Beaune, è la sola zona dell’intero dipartimento in cui il vino non è la risorsa principale. Come il nome antici pa, questa è costituita invece dalla pietra stessa, ossia il marmo formatosi quasi duecento milioni di anni fa e di tale durezza, resistenza e bellezza di venature e colori da costituire un materiale per pavimentazioni che può costare anche 120 euro al metro quadro. Logico che le migliori energie siano qui spese, da società specializzate come Rocamat e Manzini, al fine di estrarlo e lavorarlo: alle spalle di ciò che resta della collina vitata, si intui sce la presenza di immense cave, almeno sette profondi crateri fino a 190 metri di diametro. Facciamo noi i cal coli per voi: ognuna di queste cave ha finora fruttato ol tre un milione di metri cubi di pietra, e le sette insieme quanto basterebbe per pavimentare con uno strato di 10 centimetri le intere superfici urbane di Parigi, Milano e Barcellona (e avanzerebbe qualcosa). E le vigne? Ci sono, sporadiche e poco note. L’area è coperta dalla denomi nazione “Côte de Nuits-Villages”, prevista sia per i vini bianchi sia per i rossi. Ci sono poche bottiglie degne di nota nell’un colore come nell’altro, ma i prezzi sono così bassi da incitare al tentativo e permettere così il veri ficarsi di autentici colpi di scena, più frequenti con gli Chardonnay del posto, poco profumati, ma di grande intensità salina al sorso e sempre molto puliti e diretti, che con i Pinot Noir, buoni quando riescono a evitare le ahinoi frequenti note di carattere “animale” (pelliccia, “foxy”, cuoio conciato, eccetera). Nella successione di vigne dai nomi oscuri brilla in fine l’ultima, che fa da giardino privato cinto da mura di una casa fiabesca in varie tonalità di rosa e foderata di rampicanti, il fotografatissimo Domaine d’Ardhuy: il monumento non è la casa, ma la vigna. Si chiama “Clos de Langres” e i relativi vini, un bianco e un rosso, ne por tano il nome in etichetta (accompagnato dalla dicitura “monopole” in oro) come se fossero dei Grands Crus, cioè come unica scritta. Voltando le bottiglie si trovano, più anonime e umili, le “vere” etichette, con la denominazio ne di origine Côte de Nuits-Villages e le altre diciture di legge. Se il vino non fa francamente strappare i capelli, il vigneto (3,15 ettari) ha qualcosa di speciale: è stato pian tato dai monaci dell’abbazia di Langres intorno all’anno 950 dopo Cristo e viaggia quindi verso il suo undicesimo secolo di esistenza e di produzione continuative. L’accu rato, simmetrico assetto dei suoi filari, ai due lati della stradina che porta alla casa rosa, disegna un’immagine perfetta per l’esigenza che sentiamo ora: trovare una car tolina di saluto dalla Côte de Nuits e spedirla ai nostri lettori prima di abbordare la solenne collina di Corton, che nel prossimo numero inaugurerà la seconda parte del nostro viaggio in Borgogna, quella lungo le strade, altret tanto ricche di storia e cultura, della Côte de Beaune.