Imperial stout, birre che girano il mondo

di Simone Nicoletto, foto di Eva Bronzini

Dedicare un intero articolo a birre così poco bevute e conosciute come le imperial stout può apparire una forzatura; questo stile tuttavia racconta appieno quello che è stato uno sviluppo molto rilevante all’interno del mondo brassicolo degli ultimi venticinque anni. Intendiamoci, le imperial stout non sono una creazione così recente: nel mondo britannico troviamo traccia delle russian imperial stout, questo il loro nome completo, da almeno due secoli e mezzo, seppur con caratteristiche parzialmente diverse rispetto a quelle odierne. Come per quasi ogni stile birrario, all’interno del nome è possibile reperire gran parte delle informazioni necessarie a definirne le caratteristiche. 


Il punto di partenza è il termine stout, fino al diciottesimo secolo utilizzato per definire birre più alcoliche della media, che un giovane birraio di fine Settecento, Arthur Guinness, decise di utilizzare per una sua porter più forte. Il successo planetario di questa Stout Porter, scura e dalle intense note tostate, portò nei decenni successivi a un cambio di significato della parola stout, che passò a indicare non più birre con una gradazione alcolica elevata, bensì scure. Riguardo alla menzione dell’Impero russo si sono accavallate svariate teorie il cui punto in comune è sicuramente l’apprezzamento, testimoniato da fonti affidabili interne alla sua corte, da parte dell’imperatrice russa Caterina la Grande verso birre provenienti dalla Gran Bretagna scure e dalla gradazione alcolica elevata – fattore, quest’ultimo – che ne favoriva la conservazione durante il trasporto.