L’intelligenza artificiale e i sommelier di domani di Matteo Bellotto, foto di Fabrice Gallina e Emiliano Vittoriosi Guardate, se vi aspettate che vi racconti di come l’innovazione distruggerà alcuni paradigmi allora continuate a leggere, mentre se vi aspettate che difenda con paura posizioni e idee desuete allora andate alle pagine successive. Tutto ciò che è vivo cambia, tutto. Lo stesso principio di essere vivi presuppone cambiamento. Il vino cambia, le uve cambiano, si adattano. Lo stesso concetto di autoctono è un’aberrazione vista come principio e fine di un territorio e di questo tutti (o quasi, o almeno dovremmo) siamo consapevoli. Le tecnologie e le conoscenze che oggi ci permettono di arrivare ad affermazioni su un calice o l’altro, sulle varietà e gli stili, per non parlare di territorio, dovrebbero, come degustatori, metterci davanti a uno specchio che dipinge e tratteggia i limiti delle nostre profonde incapacità. È normale. È un fatto. L’intelligenza artificiale, termine che già pone una enorme contraddizione in termini al pari di “vino naturale”, potrà aprire strade per noi che degustiamo e raccontiamo i vini e i territori così ampie e bellissime che forse non abbiamo ancora il coraggio di percorrere. Degustare e raccontare un vino impone a chi lo fa una lunga fase di studio e di conoscenza che spesso si traduce in una terminologia scarna con la pretesa dell’oggettività su un tema totalmente soggettivo. Questo ci fa già dedurre che la nostra stessa “intelligenza” riguardo al vino sia totalmente “artificiale”. Ogni termine che utilizziamo nei descrittori è desunto dalla traduzione di molecole che causano sentori che noi traduciamo in termini ad uso e consumo di chi abbiamo davanti. Semplifichiamo, ovviamente, riduciamo la complessità e lo facciamo in buona fede, ma togliamo spazio all’oggettività per quanto bravi possiamo essere. Chiedere a una intelligenza artificiale di descrivere un vino permette alla stessa di avere milioni di possibilità maggiori e di combinazioni che rendono ancora più oggettivo, preciso e corretto il rapporto tra il vino e il degustatore. Tutto perfetto. O quasi. Ciò che passa attraverso è la fallibilità umana, il controllo delle parole e la traduzione delle sensazioni nelle parole stesse. In pratica non diciamo niente. È per questo che l’intelligenza artificiale apre praterie di possibilità verso ciò che dovrà e potrà essere il sommelier del futuro. Se ci rapportiamo alle uve e alle singole capacità di essere tradotte in vini con la profondità e l’ampio spettro dei linguaggi capiamo come poter essere estremamente più capaci di calare dentro al calice l’amore per la terra, lo stesso che qualcosa di artificiale non potrà mai fare. Se chiediamo infatti a Chat Gpt di darci indicazioni sulle varietà e sui vini il rischio è che in futuro tutti coloro che scrivono e raccontano di vino possano affidarsi a questo strumento perdendo autorevolezza e professionalità. Già il giornalismo di genere ne sta perdendo e l’intelligenza artificiale rischia, in questo senso, soltanto di svelare il Velo di Maya. La bellezza dei cambiamenti sta nel poter dare ragione al movimento di un mondo che cambia per resistere e non farsi scalfire. Il vino esiste da prima di noi, da prima di queste parole, da prima di tutto ciò che oggi lo regge ed esisterà ancora, nonostante tutto, nei secoli. Noi siamo di passaggio nel suo incedere nel tempo. L’intelligenza artificiale può darci l’immensa opportunità di accelerare processi che portino i degustatori a parlare di uve e non di vini, di territori e non di etichette, dove la vera “marchetta” (perdonatemi il termine) sarà sempre e soltanto fatta sulla base di dati di studio profondo che nulla di artificiale potrà mai mettere in ordine o provare a registrare. La soggettività dell’assaggio, grazie alle nuove tecnologie, potrà essere rafforzata e i sommelier potranno divenire i grandi controllori di voli pindarici se e solo se vorranno diventare protettori dei singoli territori, delle loro caratteristiche e delle uve. Dovremmo smettere di parlare di vino? Forse. Dovremmo cambiare la figura del sommelier? Certo, ed è questo il bello. Potrà l’intelligenza artificiale cambiare l’idea stessa di servizio? Forse, ma magari. Accogliere il cambiamento significa farne parte e bisogna essere pronti a discutere, per esser messi in discussione e crescere oltre un orizzonte mai finito. Io credo che sia ora di lasciarci andare alla possibilità di divenire controllori dell’intelligenza artificiale perché il sommelier del futuro è il sommelier che ha deciso di essere presente. DAGLI STUDI ALLE APPLICAZIONI 2023 ANNO DELLA SVOLTA Studi, ricerche e sperimentazioni. Il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno della svolta per le applicazioni dell’intelligenza artificiale al mondo del vino, dal momento che diverse società e istituzioni sono passati dalle parole ai fatti, proponendo al mercato soluzioni che oggi lasciano interdetti i custodi della tradizione ma in futuro potrebbero diventare familiari. Qualche esempio? A gennaio l’Italian Wine Crypto Bank (in sigla IWCB) annuncia di aver realizzato il Personal GPT Sommelier utilizzando la chat tanto discussa, capace di rispondere alle domande in modo molto simile a un essere umano, e di essere in grado di rendere disponibile questa tecnologia già dal mese di marzo. Una notizia che non passa certo inosservata e viene ripresa subito dall’ANSA. Qualche mese più tardi, a maggio, la rivista Gambero Rosso riprende invece uno studio dell’università svedese di Gavle, che mette a disposizione un naso artificiale (e-nose) capace di riconoscere gli elementi volatili dei vini. La ricerca viene pubblicata sulla rivista Sensors. Anche il sito Sommelier wine box dedica un ampio e dettagliato servizio alle potenziali applicazioni dell’intelligenza artificiale al mondo del vino, che spaziano dalla vigna (con analisi del terreno, monitoraggio e gestione delle viti, controllo delle uve e previsioni sul raccolto) alla cantina (classificazione delle uve e controlli di qualità in bottiglia) fino alla gestione efficiente del magazzino e al marketing.