Nelle bottiglie di Peter la tradizione del Carso

di Vladimiro Tulisso, foto di Nevo Radovič

All’inizio fu il desiderio del viaggio. Il diploma all’istituto commerciale e il lavoro in un’azienda informatica non bastavano. Sembrava necessario allontanarsi da casa per cercare il futuro e Peter Radovič decise che l’Australia aveva i requisiti necessari: lontana quanto basta, l’inglese, l’avventura. Ma fu in Oceania che questo ragazzo del Carso capì che era partito con pochi attrezzi. Senza laurea la vita era più dura del previsto e fare il cameriere non appagava. Così il viaggio si dimostrò efficace soprattutto per comprendere il mondo del lavoro. Peter tornò a viaggiare, ma questa volta sulla via del ritorno. 


Di nuovo a casa decise di riaffidarsi ai libri, quelli dell’università (“Però a Pavia perché non doveva essere troppo vicino a casa” ricorda ora ormai trentenne) affrontando prima studi di marketing, poi l’Erasmus che lo porta in Belgio (“Fu lì che mi immersi nella cultura della birra”) e poi in Spagna dove gli occhi di una ragazza messicana lo stregano e gli fanno attraversare l’Atlantico. Per quasi un anno vive in America latina. Nel 2017 – dopo che il padre gli chiede di tornare dicendogli che gli avrebbe lasciato la gestione del vigneto – la decisione di riprendere il viaggio, quello del definitivo ritorno nel luogo dal quale aveva creduto di volersi allontanare: i filari di vitovska del nonno che da mezzo secolo crescono sul calcare carsico del golfo di Trieste.


Un ettaro e mezzo e 4.500 bottiglie all’anno: è questa oggi la nuova frontiera dove Peter concepisce il suo Inkanto, il vino da vigneto promiscuo dove convivono malvasia istriana, vitovska e tre vitigni a bacca bianca non presenti sul registro ampelografico anche se due potrebbero essere la malvasia di Aurisina e un biotipo di glera.