Un oste, due ragazzi e la nostalgia del vino

di Matteo Bellotto, foto di Fabrice Gallina

Mi trovavo in una Frasca, nel profondo Friuli, quello che non appare e nasconde il suo pudore sotto il tappeto del silenzio. Davanti a me una coppia di ragazzi intenti a sogghignare e pronti a provare a loro stessi di aver capito il mondo prima ancora di scoprirlo. Entrambi erano convinti di rivolgersi all’anziano oste come se non capisse la loro lingua. Uno dei due chiede due bicchieri di vino. “Bianco o nero?” dice l’oste, l’unica informazione che poteva dare priva di varietale. “Nero perché il bianco mi fa mal di testa” risponde uno dei due, fermo all’ultima esagerazione da spritz Aperol della sera precedente. “Non ti fa mal di testa, siamo vicini alla vigna” risponde l’oste, sicuro di quel vino come se parlasse di un parente. Decise lui, per loro, e presentò i bicchieri, non i calici, colmi e con la tensione superficiale a lottare tra le pareti di vetro.
Non avevo capito la risposta di quell’uomo e sul momento non ci avevo dato peso. I ragazzi bevvero avidamente, trasformando i ghigni in sorrisi. Ne bevvero ancora e se ne andarono felici, rilassati, alleggeriti da un peso e senza mal di testa.
Facendomi coraggio a mia volta dopo una sequenza di bianchi, chiesi conto all’oste di quella frase che aveva pronunciato con una sicurezza che sembrava scienza. Dietro alle mura della Frasca, nel retro, dove i campi non avevano perso la battaglia col cemento e i capannoni, c’era una vigna, anzi, la vigna, dalla quale proveniva il vino servito nei bicchieri. Uve miste, di quando i contadini non avrebbero mai pensato ad avere una sola varietà piantata, per far vincere al vigneto la lotta con le stagioni. Erano quelle le uve del bianco, appunto, ed erano quelle che lasciavano che il vino non si allontanasse da casa. Un vino né buono né cattivo, semplicemente onesto e con un residuo tale da rendersi amabilmente beverino. Secondo l’oste, che conduceva personalmente le operazioni in vigna e in cantina, il vino bevuto troppo lontano dalla sua vigna riesce a provare nostalgia, nostalgia di casa, di quando era ancora uva e pensava soltanto a potersi unire alla terra, di nuovo, in un ciclo millenario di vita che la vendemmia interrompe per rendere noi responsabili e partecipi di questo amore.