Mi trovavo in una Frasca, nel profondo Friuli, quello che non appare e nasconde il suo pudore sotto il tappeto del silenzio. Davanti a me una coppia di
ragazzi intenti a sogghignare e pronti a provare a loro stessi di aver capito il mondo prima ancora di scoprirlo. Entrambi erano convinti di rivolgersi
all’anziano oste come se non capisse la loro lingua. Uno dei due chiede due bicchieri di vino. “Bianco o nero?” dice l’oste, l’unica informazione che
poteva dare priva di varietale. “Nero perché il bianco mi fa mal di testa” risponde uno dei due, fermo all’ultima esagerazione da spritz Aperol della
sera precedente. “Non ti fa mal di testa, siamo vicini alla vigna” risponde l’oste, sicuro di quel vino come se parlasse di un parente. Decise lui, per
loro, e presentò i bicchieri, non i calici, colmi e con la tensione superficiale a lottare tra le pareti di vetro.
Non avevo capito la risposta di quell’uomo e sul momento non ci avevo dato peso. I ragazzi bevvero avidamente, trasformando i ghigni in sorrisi. Ne
bevvero ancora e se ne andarono felici, rilassati, alleggeriti da un peso e senza mal di testa.
Facendomi coraggio a mia volta dopo una sequenza di bianchi, chiesi conto all’oste di quella frase che aveva pronunciato con una sicurezza che sembrava
scienza. Dietro alle mura della Frasca, nel retro, dove i campi non avevano perso la battaglia col cemento e i capannoni, c’era una vigna, anzi, la
vigna, dalla quale proveniva il vino servito nei bicchieri. Uve miste, di quando i contadini non avrebbero mai pensato ad avere una sola varietà
piantata, per far vincere al vigneto la lotta con le stagioni. Erano quelle le uve del bianco, appunto, ed erano quelle che lasciavano che il vino non
si allontanasse da casa. Un vino né buono né cattivo, semplicemente onesto e con un residuo tale da rendersi amabilmente beverino. Secondo l’oste, che
conduceva personalmente le operazioni in vigna e in cantina, il vino bevuto troppo lontano dalla sua vigna riesce a provare nostalgia, nostalgia di
casa, di quando era ancora uva e pensava soltanto a potersi unire alla terra, di nuovo, in un ciclo millenario di vita che la vendemmia interrompe per
rendere noi responsabili e partecipi di questo amore.