Cibo e vino, il patto che nasce nella mente colloquio con Mitja Sirk di Gianluca Castellano, foto di Fabrice Gallina Rispetto alle produzioni del territorio e attenzione ai vini internazionali senza trascurare le altre tipologie di bevande. Mitja Sirk è il sommelier del ristorante stellato La Subida di Cormons. Lo abbiamo intervistato per capire la filosofia nella scelta dei vini che compongono la sua Carta e scoprire come si approccia ai desideri della clientela e alle necessità di abbinamento. Con Mitja, Mangiavino inizia un percorso che ci porterà a conoscere i sommelier dei più importanti ristoranti della nostra regione. Lavora nel ristorante di famiglia dal 2015 dopo la formazione all’istituto agrario di Cividale del Friuli ed esperienze all’estero negli Stati Uniti, in Colorado e a New York. È il compagno di Marta Venica. Premetto che non ho mai lavorato come sommelier con mio padre. Prima di me in sala c’era Michele Paiano ed era con lui che ci si confrontava. Quindi provo a rispondere pensando ai ricordi da ragazzo: con papà l’abbinamento era legato al vino della casa, mentre le bottiglie sulla Carta dei vini venivano scelti dal cliente perché lui – anche in privato – non ama cambiare vino, preferisce scegliere la bottiglia indipendentemente dal cibo. Com’è cambiato il tuo modo di abbinare rispetto a quello di tuo padre? Sono sempre indeciso tra cercare un accostamento il più armonioso possibile tra cibo e vino oppure creare un piccolo caos. Inizio pensando al cliente: preferirà un vino dal gusto classico oppure un vino particolare che probabilmente non ha mai assaggiato? Non è solo una questione organolettica, ma anche la proposta di viaggio, un racconto. Quindi l’abbinamento a volte esula dalla combinazione con il gusto del piatto, ma segue un percorso che definirei più mentale. Quali sono gli elementi cardine che ti spingono ad abbinare un piatto a un vino? Mitja Sirk Quando nasce un nuovo piatto mi faccio una rappresentazione organolettica più chiara possibile degli elementi del cibo. Raramente mi siedo con diversi calici di vino davanti cercando il matrimonio migliore: i miei abbinamenti sono mentali. Ho in testa la fotografia organolettica del cibo e cerco nella memoria il ricordo di un vino che ho assaggiato e penso possa abbinarsi. Non amo scegliere un vino associandolo a un determinato piatto. Preferisco adeguare la mia scelta in base al momento della giornata, alla stagione, alle caratteristiche dell’ospite. Essenzialmente due: metà carta è legata al territorio perché il turismo in Friuli è enogastronomico e un ospite che arriva in una regione vitivinicola ha piacere di bere vini locali. Poi c’è una selezione internazionale esclusivamente legata al mio gusto e al desiderio di scoprire nuove proposte. Non ci sono gli Amarone, i Supertuscan, gli champagne delle grandi maison. Ci sono vini di aziende con cui c’è un rapporto personale, che stimo e ammiro, che ho visitato e di cui ho almeno degustato la produzione. Ritengo fondamentale, così come faccio con i vini del territorio, trasferire a chi berrà quella bottiglia un racconto che credo sia poi il valore aggiunto di noi sommelier. Come ti confronti con la cucina quando esce un nuovo piatto? Quali regole segui per compilare la Carta dei vini? Molto spesso con persone che conosco, altre volte con chi mi dà fiducia e ti lascia fare. È un percorso rischioso perché può capitare che proponga un vino che mi attrae particolarmente, ma non sia in sintonia con i desideri del cliente. Capita di dover interpretare la persona che hai davanti e scegliere un vino in base all’idea che mi sono fatto del cliente, che può essere sbagliata. Hai mai consigliato un vino a un cliente sulla base dell’idea che ti suscita una persona anziché sulla base dell’abbinamento tradizionale? Sono favorevole purché ci sia competenza. Da cliente le uniche volte che scelgo una degustazione con bevande diverse dal vino abbinate al menù è quando chi le propone le conosce. Mi sono divertito abbinando al cibo qualche birra acida o invecchiata. Ai cocktail dico di no: sono contrario alla miscelazione. Birra, saké, cocktail negli anni sono sempre più presenti nelle scelte di abbinamento. Qual è il tuo pensiero? Gli abbinamenti, anche analcolici, sono molto interessanti. Il thé e le tisane sono un argomento affascinante, però non ho mai avuto l’occasione di approfondire il tema, a parte aver letto qualche libro. Cosa pensi degli abbinamenti con tisane, infusi, thé e altre bevande analcoliche? I vini dolci sono una riscoperta. Anch’io li snobbavo, non li ritenevo all’altezza degli altri vini, ma li sto rivalutando. Sono un segmento di mercato con una vendita spesso molto piccola e in molte carte dei vini i ricarichi sui vini dolci sono vantaggiosi: ci sono bottiglie longeve che possono dare emozioni straordinarie. L’abbinamento resterà un tema difficile da gestire. Oltre ai formaggi li preferisco a fine pasto anche in solitaria con del cioccolato, eccezion fatta per qualche piatto con del fegato grasso d’oca o cose particolari di questo tipo. I vini dolci sono spesso relegati all’abbinamento con i dessert o qualche formaggio. Pensi si possa fare di più? La tua Carta dei vini ha una rotazione importante di etichette o le referenze sono stabili? Per la parte friulana la rotazione è per lo più imposta dal produttore nel senso che alcune aziende hanno microproduzioni e quando le bottiglie sono esaurite la sostituzione può avvenire solo l’annata successiva. Con numeri più importanti cerchiamo una presenza il più lunga possibile durante l’anno. I vini stranieri che scelgo hanno spesso una reperibilità molto bassa e quindi difficile da garantire con costanza. Potrei definire la mia Carta per lo più stabile con delle proposte più ricercate e particolari che si alternano. Le vecchie annate dei vini bianchi destano sempre più curiosità nel pubblico anche se resiste la concezione che la longevità sia un argomento prettamente rossista… Le vecchie annate sono un elemento di grande lustro perché il vero appassionato di vino ne comprende il valore e le apprezza. Ovviamente conservare il vino a lungo è un rischio per il ristoratore. Noi quando acquistiamo una nuova annata e valutiamo che il vino possa sopportare l’invecchiamento destiniamo solo una parte del prodotto alla Carta. Il resto passa nella cantina di affinamento, non in vendita, dove i bianchi rimangono per 10 anni e i rossi per 15. A me piace comprare vini all’asta accettando il rischio di stappare una bottiglia che ha smarrito le sue caratteristiche migliori. È un rischio che noi accettiamo, ma comprendo i molti che non lo fanno anche per il grosso problema di uno spazio adeguato alla conservazione. Il bicchiere è elemento importantissimo affinché il vino scelto si esprima al massimo potenziale. Non sono però ossessionato dai bicchieri artigianali superleggeri che costano moltissimo. Il ristorante ha un indice di rottura molto alto e da noi abbiamo bicchieri esclusivi solo per le bottiglie particolarmente importanti, il resto lo serviamo in ottimi bicchieri che hanno un prezzo accettabile. Da cliente osservo che in troppi ristoranti, anche importanti, non c’è attenzione a questo dettaglio e imbarazza bere un grande vino nel bicchiere sbagliato. La scelta del bicchiere più adatto è un argomento molto sentito dagli appassionati. Tu come ti regoli? Abbiamo tantissimi tavoli che preferiscono farsi consigliare al calice. A volte, però, mi sento più un giullare che un sommelier perché il cliente vuole bere al calice, ma poi pone dei paletti del tipo “bevo solo rosso, o bianco, niente aromatici”. Questo mi impedisce di scegliere il vino più adatto per la pietanza e cercare l’armonia corretta tra piatto e vino. Il vino al calice è un’opzione opportuna soprattutto quando si va a scoprire una nuova regione o nel caso in cui ci sia la possibilità di fare un percorso con vini particolari. Quanto è frequente la vendita al calice? Il ricarico dev’essere giustificato. Noi al prezzo d’acquisto aggiungiamo l’Iva e raddoppiamo il costo. Su bottiglie importanti riduciamo il ricarico. Come cliente mi capita di verificare ricarichi troppo alti e questo mi mette a disagio e meno invogliato ad acquistare. Esagerare danneggia il ristorante e anche i produttori. Comprendo che certe location abbiano la necessità di garantirsi degli equilibri costi/ ricavi, ma è meglio vedere i clienti sorridere perché il vino è buono, ha un prezzo adeguato e magari ordinano una seconda bottiglia, piuttosto che vedere il rammarico in chi sceglie una bottiglia diversa da quella desiderata solo perché meno costosa. Il ricarico del vino al ristorante è spesso fonte di polemiche. Qual è il tuo concetto di ricarico? È una domanda difficile perché non tendo a chiedere opinioni. Posso dirti che c’è una fetta di mercato che apprezza molto i vini del territorio collinare friulano per la loro opulenza. Un’altra porzione di clienti, oggi maggioritaria, segue la moda degli ultimi anni e chiede vini caratterizzati da freschezza, tensione, dinamicità, tutte caratteristiche che non sono elementi distintivi dei nostri vini. Personalmente apprezzo chi sceglie di non sottostare alle mode e continua a fare il vino rispettando il proprio territorio e non le esigenze di mercato. Il tuo ristorante è un riferimento per i vini del Collio. Cosa pensano i vostri clienti dei vini di questa zona?