Luppolo, c’è anche il Friuli: scelta verde a Polcenigo

testi e foto di Alessandro Martin

“Il luppolo è caldo e secco, contiene un po’ di umidità e non presenta grande utilità per l’uomo, poiché aumenta in lui la melanconia, provoca tristezza nella mente e appesantisce le viscere. Tuttavia, grazie alla sua amarezza, blocca la putrefazione di certe bevande alle quali lo si aggiunge, al punto che possano conservarsi molto più a lungo”. 


Così scriveva santa Hildegard von Bingen (1098- 1179), monaca benedettina dell’Abbazia di St. Rupert in Germania, donna poliedrica in quanto musicista, scrittrice, botanica, profonda conoscitrice delle proprietà del luppolo e di fatto artefice del suo utilizzo in campo brassicolo nei secoli successivi. Il luppolo infatti è uno degli elementi base per la produzione della birra, nonché causa del suo tipico aroma amaricante, ma anche conservante, stabilizzante e antibiotico naturale. Nello specifico vengono utilizzate le infiorescenze femminili non fecondate ricche di ghiandole resinose secernenti luppolina, sostanza giallastra composta da alfa acidi, responsabili dell’amaro della birra, beta acidi, polifenoli e oli essenziali, cultivar dipendenti e fautori del caratteristico aroma di luppolo. Fino a qualche anno fa la produzione di luppolo sembrava una prerogativa di alcune aree geografiche europee storicamente vocate alla coltivazione di questa pianta selvatica (Germania e Repubblica Ceca in primis), ma ad oggi se ne produce anche in Italia e pure in Friuli. Uno degli artefici di questa interessante avventura è Federico Comel, energico quarantenne con un diploma di perito agrario, importanti esperienze nell’ambito della fotogrammetria aerea e un passato da atleta nel bob su ghiaccio, oggi titolare di una piccola realtà nella pedemontana pordenonese tra i comuni di Budoia e Polcenigo.