Opinione, la tentazione da togliersi di dosso di Matteo Bellotto, foto di Fabrice Gallina La tavola è imbandita, ti hanno invitato a cena, stai osservando i piatti, ma soprattutto stai osservando la bottiglia al tavolo. Attorno a te ci sono persone che chiacchierano, sorridono, sono tue amiche. Tutte sanno che sei, per via del corso che stai seguendo, o stai per diventare, un sommelier. Poco importa cosa significhi, l’importante è però che attorno a te ci sono persone che non stanno osservando quello che osservi tu. C’è una ragazza dai capelli castani che regge il calice dal corpo e non dallo stelo, scuotendolo ad ogni gesto e rendendo vane le bollicine all’interno. Il suo compagno fa lo stesso, affondando il naso e bevendo di disgusto, dicendo che a lui il Prosecco non piace, mentre tu sai che state bevendo un metodo classico . Ce ne sono altri che azzannano calici di rosso avidamente, sorseggiando generosi e ricordando a tutti di non bere vino bianco perché a loro fa mal di testa. Non è un incubo, è la semplice realtà. Alla fine del giro di tavolo ci sei tu. Stai osservando e quasi non vorresti parlare, ma il solo fatto di aver fatto qualche lezione sul vino ti sta facendo avere un’opinione sulle persone, e, a ben guardare, nemmeno tu del vino ti stai interessando veramente. A te, tutti loro, chiedono un’opinione sui vini a tavola. Ecco qui: la domanda tentatrice. Vogliono la tua opinione. Cosa farai? Che cosa risponderai? Siamo malati terminali di opinioni in un’epoca dove l’autorevolezza si risolve in like. Siamo circondati giornalmente da opinioni che riguardano ogni argomento possibile: a volte ben argomentate, altre meno, ma tutte sullo stesso piano, alla mercé di chi affronta argomenti più o meno consapevolmente. È bene avere un’opinione, ci mancherebbe, è la piuma di Dumbo per credere di poter volare almeno un po’ nel vuoto della vita senza paura di cadere. L’opinione è di per sé cangiante ed è costruita apposta per poter essere successivamente destrutturata, cambiata, riordinata e possibilmente migliorata. L’opinione dovrebbe trasformarsi nell’autostrada verso la verità dove giustamente bisogna pagare un pedaggio per poter arrivare a destinazione. Blanc de Noir Avere un’opinione sui vini è una tentazione sublime. Siamo immersi nei sentori e nei sapori e una volta che abbiamo il potere di dar loro un nome siamo già a bordo del pericolo. Dare opinioni sui vini è la scorciatoia migliore che io conosca costruita a mezzo social. Partire dalle etichette e da qualche parola col produttore ci rende partecipi di una sorta di segreto che sappiamo di custodire e che riveliamo generosi a chi ci segue affamato. Avere un’opinione sui vini priva di uno studio accurato del terreno (con tutta la profonda e misconosciuta storia geologica), della storia del luogo, dei dati microclimatici, del comportamento delle varietà nelle stagioni: è uno specchio che riflette solo la nostra immagine, non quella del vino che stiamo assaggiando. Non si creda che chi vi scrive sia guarito dalla malattia dell’opinione, sto solo cercando di guarire. Maggiore è il numero di informazioni su un argomento, minore sarà la voglia di esprimere un’opinione. E in Friuli? E per quanto riguarda i vini friulani? La strada è lunga ancora, perché troppo spesso si nota a mezzo social quanto coloro che hanno la necessità di esprimere un’opinione siano spinti a raccontare grandi nomi e sentori ripetuti e ripetenti per non dover affrontare la profonda e lunga storia di questa terra plurale che il vino riesce a far emergere. Per cominciare a guarire almeno un po’ dall’opinionite dovremmo studiare la storia, andare in vigna, guardare a terra e capire come una radice, una varietà, una zona esprima un certo tipo di uva rispetto ad un’altra per poi lasciare che il vino, alla lunga, ci racconti i luoghi prima ancora di raccontarci le etichette. Lo so, è difficile, ma è bello lasciarsi cullare dalla propria ignoranza, almeno se siamo capaci poi di trasformarla in fame di studio. Torniamo a tavola, a quella cena dove siamo seduti, tu sommelier, e gli altri che ti hanno chiesto un’opinione. Cosa dovresti fare? Io dico che basta la gentilezza del non dire niente del vino e di chiedere agli altri l’opinione sui sentori, guidandoli se necessario verso le parole che mancano, divenendo guida e non giudice, compagno di banco e non professore, perché alla fine il nostro compito è avvicinare gli uni agli altri col vino. Poi alla fine, magari, goditelo anche tu un calice in silenzio, lasciando che il vino si tolga di dosso l’abito della tua opinione.