San Michele, Fagagna e le porte girevoli di Marco Ballico Rimpianti? La domanda chiave per capire se Giuseppe Fornaca avrebbe voluto aperta un’altra porta, anticamera per poter lavorare a fianco di Heinz Beck, il tristellato de La Pergola di Roma. Insomma, Giuseppe, rimpianti? «Beh, un po’ sì (ma la premessa non inganni, lo dice sorridendo). Da un grande maestro non vai per le ricette, ma per capirne l’approccio, la personalità. E anche per qualche insegnamento di vita». Fosse un film, sarebbe . Ma la porta che si è aperta – anzi, che il titolare e chef del ristorante San Michele di Fagagna ha voluto aprire – ha regalato comunque soddisfazioni e riconoscimenti: «Siamo qui dal 2002. Più di vent’anni di impegno e di crescita costante. Oggi i dipendenti sono undici e, assieme a loro, guardiamo molto più avanti che indietro». Un attimo indietro dobbiamo però tornare. Il sogno mancato – Beck – si colloca a metà strada tra Asti, la terra d’origine, e Fagagna, passando per altri luminari della cucina italiana. Le porte scorrevoli sono quelle che portano Giuseppe, formato all’alberghiero di Acqui Terme e subito al lavoro in Svizzera e in Francia, dall’Enoteca Pinchiorri alla Taverna di Colloredo, con il fuoriclasse Andrea Berton, e poi da Carlo Cracco a Milano, nel 2000, quando la famiglia Stoppani, proprietaria del tempio della gastronomia Peck (da una decina d’anni della Marzotto), chiama lo chef vicentino alla guida del nuovo locale di via Victor Hugo. «Volevo andare da Beck – ricorda Fornaca –. Glielo dissi al telefono, fu gentilissimo, gli mandai il curriculum via fax. Quando, nell’attesa di iniziare con Cracco, mi ritrovai in gastronomia, La Pergola mi chiamò. Ma avevo dato la mia parola a Berton, che aveva garantito per me. E ho lavorato due anni a Milano». Sliding doors Giuseppe Fornaca Le porte continuano a scorrere e Giuseppe, inizialmente assieme a Piero Zanini, patron de La Taverna di Colloredo di Monte Albano, riapre un ristorante a Fagagna, nel cuore del Friuli, accanto alle antiche rovine del castello e alla chiesetta intitolata a San Michele. Panorama da fotografia, il locale trova posto in un edificio del XIII secolo, casa delle guardie dell’epoca. Una cinquantina di coperti nelle raffinate sale al piano superiore, altrettanti all’esterno nella stagione calda, un’altra dozzina per una cicchetteria di qualità: «Una bella intuizione, ha coperta una domanda precisa, specie d’estate». Per chi sceglie il ristorante, il menò di questi mesi freddi propone come di consueto carne e pesce: dalla battuta di manzo al coltello, tartufo nero e latte di mandorle al carciofo “a modo nostro”, tartare di gamberi rosa, bottarga di muggine; dalla quaglia farcita, crema di castagne, ripassata di cicoria alle noci di capesante scottate, porcini, riduzione alla birra, patate americane. E poi il calamaro scottato, friggitello, finferli e salsa Thai. Tra i primi, cjarsons, terra di patate e cacao, gel al limone; agnolotti del plin, tuberi e consommé di gallina; risotto mantecato alla zucca, amaretti e ristretto al caffè. E i secondi, tra filetto di manzo in crosta di pane e salsa al vino rosso; sandwich di branzino e crostacei, crema di cavolfiori, broccoli e praline di patate; polpo alla plancha; uovo di Cocò, tortino di patate e funghi, fonduta di latteria e tartufo nero. Fino ai dolci: il Bosco Campari, un semifreddo alla burrata, ribes fermentati, mandorle caramellate, aceto balsamico invecchiato di Modena; il Dolce Cioccolato; il Banana Cake e il Latte & Sgnape, mousse ghiacciata al fiordilatte, pere macerate alla grappa Nonino, cialda al miele. Una proposta frutto della rigorosa selezione di materie prime legate al territorio e alla stagionalità, ma alle spalle ci sono anche, inevitabilmente, le radici del Piemonte, sollecitazione continua in un viaggio fatto di disciplina, «perché le regole, in una squadra, sono tutto», ricerca, passione, incontri, brigate di cucina internazionali, luoghi che cambiano la prospettiva. Fornaca non ama il palcoscenico, ma davanti al caffè racconta e si racconta volentieri: «Puoi fare questo mestiere in tanti modi. Ma per farlo bene, serve un grande spirito di sacrificio. Per una demi-glace ci vogliono tre giorni. Devi coccolarla, non puoi stare a guardare l’orologio. Lo stesso in pasticceria». A Giuseppe, a un certo punto, brillano gli occhi nel descrivere l’ultima creatura, una cantina scavata nella collina, culla per i vini da invecchiamento, all’interno del bed and breakfast di recente inaugurazione: tre camere e un appartamento. «C’era sempre il timore che nella cantina del ristorante alcune etichette potessero avere una pessima evoluzione. In questi spazi, a temperatura costante, abbiamo investito tanto, soprattutto su Piemonte e Borgogna, dove ho mandato per una settimana Adriano, il nostro responsabile di sala». Il progetto, prosegue Fornaca, «nasce quando ho saputo che all’interno del borgo c’era un’abitazione in vendita, la casa del vicario. Si è così concretizzato un desiderio di lunga data: mettere a disposizione degli ospiti anche l’alloggio e il servizio della colazione, un momento diverso, senza tempo, in cui la gente si apre più che al ristorante». Aspetto certo non secondario, «grazie ai bravissimi artigiani del luogo, la ristrutturazione è venuta benissimo. C’è pure una saletta per otto persone per le degustazioni e non manca un orto, fonte importante per i piatti». Torniamo ai maestri, e pazienza per i rimpianti: «Mi spiace non aver continuato a lavorare con gli stellati, ma questo non vuol dire che non possa far vivere quel tipo di esperienza ai miei ragazzi, per poi vedere riportare sul territorio altre conoscenze». A dare una mano, la vittoria a inizio anno della puntata di 4 Ristoranti, la trasmissione Sky condotta da Alessandro Borghese: «Ci ha dato grande visibilità fuori regione, abbiamo acquisito nuovi clienti. Ne siamo usciti arricchiti». E quando escono le stelle Michelin? «Non c’è invidia. A San Michele il contesto è meraviglioso, a ogni rinnovo di contratto la proprietà ce lo fa notare, è proprio vero. Per arrivare alla stella servirebbero spazi di servizio che strutturalmente non abbiamo, ma ci accontentiamo delle piccole grandi conquiste, come per esempio il laboratorio di pasticceria lì dove prima c’era la cantina». La cena che non dimentichi? Ci pensa un po’, Giuseppe, e poi se la ricorda: «Al Mugaritz di chef Aduriz, nel Paese Basco spagnolo». Moglie, due figli. Che cosa si mangia in famiglia? «Cucina Sandra, il segreto della mia tranquillità. È innamorata della Spagna, in tavola ci sono tante tapas». E i migliori vini mai assaggiati? «Ho lavorato da Pinchiorri. Si aprivano bottiglie incredibili e qualcosa arrivava anche in cucina. Metto in cima i vini di dove sono nato, e come non citare quindi il Barolo di Gaja. Per restare in Toscana, il Masseto. E sono tra i fortunati che si sono trovati davanti un Romanée-Conti». La qualità dei vini delle regioni? «In Friuli Venezia Giulia ci sono grandissimi bianchi, per i rossi scelgo sempre il Piemonte. Le bollicine? Una bella lotta. Il mio gusto va in direzione Alto Adige». Ristorante San Michele Via Castello di Fagagna 33, Fagagna (Ud) Tel: 0432 810466