Pommard e Volnay i gemelli diversi

di Armando Castagno, foto di Andrea Federici

Uscendo da Beaune in direzione sud lungo la Dipartimentale 974, si arriva in breve a una rotonda, uscire dalla quale presuppone una scelta di campo. Mantenendo la rotta, percorrendo cioè esattamente mezzo cerchio, attende il viaggiatore uno scenografico rettifilo alberato che in pochi minuti conduce a una Mecca dell’enofilo, Meursault; il più insidioso autovelox della Côte d’Or attende con il suo lampo al fosforo gli automobilisti più vivaci lungo questa direttrice (il limite è 70: memorizzate).
Per questa pur valida ragione, ma anche per non mancare due dei territori vitati dalla storia più ricca d’Europa, optiamo per uscire dalla rotonda giusto prima del vialone, puntando in diagonale verso la collina, seguendo i cartelli che indicano i nomi di Pommard e Volnay.

Il cru più arcaico 

Le vigne di Pommard arrivano quasi subito, e sono già parcelle di grande valore e fama planetaria: tetragoni piloni di pietra a sezione quadrata, decorati – si fa per dire – con sagomature e sbalzi di inconsueta grossolanità, segnano le entrate alle varie parcelle dell’arcaico cru detto “Epenots”, termine che individuava un tempo un fondo ricoperto di vegetazione spontanea, arbustiva e spinosa (“espineault”) e che dalla fine del Settecento almeno fornisce invece uno dei più ricercati rossi della Côte de Beaune. Più in alto, dove finiscono di arrampicarsi gli Epenots, iniziava secoli fa un bosco, con salici, alberi di noce, carpini e querce, la cui memoria sopravvive nei nomi dei buoni vigneti odierni, Saussilles, Noizons, Charmots e Chanière. Una serie di appezzamenti circondati da muri scorta il visitatore al centro storico di Pommard, luogo di certa colonizzazione romana, stando alla quantità ragguardevole di monete dei primi secoli dopo Cristo trovate qui scassando il terreno ai fini agricoli.