Una mappa cartacea ai tempi del digitale di Lorenzo Mocchiutti, curatore dell'articolo in collaborazione con Luca Gremese, Erica Magnis, Andrea Mocchiutti e Davide Mosetti Riadattamento del testo pubblicato su Tiare Furlane 34/Marzo 2022 Le carte non servono solo a capire come fare ad andare da un luogo a un altro, esse forniscono risposte a molte altre domande. La loro definizione maggiormente condivisa è quella di Harley e Woodward (1987): “ ”. La novità nel mappare un’area vitata vasta, pertinente a tutte DOC collinari del Friuli Venezia Giulia, sta nella possibilità di avere uno sguardo d'insieme del comprensorio e di ricavarne delle chiavi di lettura che ci permetteranno di scendere successivamente nei particolari e facilitare la comprensione alle scale più piccole. Nel cercare di immaginare il territorio in esame, per la prima volta nel suo insieme, abbiamo bisogno di una visione concreta, un supporto fisico su cui mettere in evidenza le dinamiche interne inerenti alla regione viticola e le relazioni con gli elementi che la circondano. Una mappa, in questo senso, può diventare un valido strumento di conoscenza dell'origine e della qualità dei vini. le mappe sono rappresentazioni grafiche che facilitano una comprensione spaziale di oggetti, concetti, condizioni, processi o eventi del mondo umano Nascita di un metodo cartografico Il valore semantico di una mappa dipende largamente dalla qualità visiva con cui sono trattate le informazioni in essa presentate. Oltre a una corretta presentazione dei dati, vi è un’importante componente estetica, universalmente riconosciuta soprattutto nella cartografia antica. Anche nel caso del nostro lavoro si è tenuto conto di quest’ultimo aspetto, tutt’altro che marginale. Il suo potenziale d’innovazione culturale, invece, è dato dalla scelta di rendere visibili aspetti o dettagli della realtà che finora sono stati poco o per nulla considerati. Nel caso di una carta tematica, questo potenziale è ancor più incisivo poiché definito da un singolo aspetto (tema). Una mappa, pertanto, è uno strumento di analisi e comunicazione visiva nonché, al tempo stesso, il risultato di un processo di evoluzione del pensiero, a volte perfino rivoluzionario. Disegno di inizio Novecento, colonia della tenuta Codelli-Romano a Manzano. L'abile disegnatore illustra con precisione cartografica la complessità del paesaggio distinguendo con accuratezza le zone vitate da quelle destinate alla fienagione. Solo i versanti a nord, orograficamente più impervi, rimangono a bosco. In basso, un raro esempio di consociazione tra ulivo e vite. Per gentile concessione: Tenuta Conte Romano di Augusto e Pietro Romano. Fotografia: Massimo Poldelmengo. La scelta del registro espressivo Una mappa digitale, considerando i supporti più frequentemente impiegati per la sua visualizzazione (portatili, tablet e smartphone), manca intrinsecamente di un carattere fondamentale: la combinazione funzionale tra dimensione e dettagli. Essa privilegia infatti esclusivamente un aspetto per volta. Una mappa digitale può infatti rappresentare la totalità del territorio preso in esame, privandoci tuttavia dei dati di dettaglio; oppure esaltare questi ultimi, a discapito della comprensione dei rapporti spaziali d’insieme. Una mappa cartacea, al contrario, consente all’osservatore di visualizzare i dettagli in maniera discrezionale (avvicinando, allontanando o spostando lo sguardo), senza mai perdere il controllo su: loro collocazione geografica esatta; rapporti tra di essi e altre componenti della mappa; dimensioni complessive del territorio considerato. La scelta di produrre elaborati destinati alla stampa su carta è risultata quindi obbligata, anche se apparentemente anacronistica. Nel caso della mappa d’insieme, la porzione di territorio definita dalle tre DOC ha richiesto l’adozione di una scala di riduzione di 1:100.000 che consente una buona leggibilità sia per la topografia che per i dati tematizzati. La dimensione effettiva della mappa stampata è di circa cm 100×50, una dimensione che, con le carte tematiche di corredo, risulta in un formato comunque adatto a diversi impieghi: escursioni, orientamento, decorazione. La base è una carta topografica, rigorosa sul piano tecnico, ma ridotta agli elementi significativi essenziali per consentire al tematismo di emergere con forza. Il metodo di rappresentazione La seconda scelta cruciale, nel caso della mappa d’insieme, ha riguardato il metodo di rappresentazione del tematismo (vigneti), metodo che è derivato in maniera diretta dalle peculiarità agronomiche del territorio collinare preso in considerazione. Una delle caratteristiche più evidenti della viticoltura in questa zona del Friuli Venezia Giulia è infatti l’estrema frammentazione dei fondi. Al fine di rappresentare adeguatamente questo aspetto distintivo per una porzione di territorio così vasta (una fascia che si sviluppa per circa 100 km lineari), nel corso della ricerca sono stati presi in esame molti metodi, risultati purtroppo tutti inefficaci o fuorvianti. La scelta decisiva è stata l’adozione di uno strumento fortemente connotato da astrazione simbolica, apparentemente in contrasto con il registro descrittivo della base cartografica. Il metodo è definito Dot Density e fa corrispondere un’entità geometrica simbolica di dimensione fissa a un dato geografico quantitativo, nel nostro caso una porzione di superficie coltivata. La corrispondenza, dopo diverse prove, si è attestata su 3000 mq. Si è scelto come simbolo il circolo onde evitare qualsiasi equivoco percettivo con la geometria squadrata dei fondi agricoli. Le singole entità possiedono due costanti, entrambe tese a illustrare in modo chiaro la presenza dei vigneti sul territorio: colore e trasparenza. Il colore, evocativo, consente di distinguere rapidamente i vigneti rispetto ad altri elementi cartografici. La trasparenza conferisce maggiore saturazione al colore nelle zone in cui gli elementi simbolici si addensano, fino a sovrapporsi, a indicare l’aumento della concentrazione dei vigneti. Questa soluzione ha consentito di preservare sostanzialmente la correttezza dei dati sulla distribuzione degli appezzamenti vitati e, al contempo, di delineare un quadro d’insieme estremamente chiaro, di immediata leggibilità, dei rapporti tra vite e territorio, scopo primario della ricerca. L’orientamento Merita un’ultima nota l’orientamento della mappa d’insieme, apparentemente in contrasto con le abitudini correnti; l’asse geografico sud-nord, infatti, non è posizionato in verticale, come siamo ormai comunemente abituati a vedere nella quasi totalità delle mappe. Inizialmente si è trattato di una necessità: il formato editoriale della mappa cartacea doveva contenere tutte le informazioni (mappa principale, legende e carte tematiche a corredo) ed essere facilmente ripiegato fino a diventare “tascabile”. Immediatamente ci siamo resi conto che questo formato coincideva perfettamente con l’area in esame, definita per omogeneità geologica, orografica e ambientale. La fascia rilevante è dominata dalla dorsale dei colli con orientamento sud-est/nord-ovest, e ha una dimensione perfettamente coincidente con il formato cartaceo scelto. La inusuale disposizione della mappa è in tal modo anche fortemente evocativa di un paesaggio che chiunque abbia spirito di osservazione può cogliere nella vista dalla bassa pianura verso il confine regionale orientale. Questa carta d’insieme fornisce una nuova visione delle DOC collinari del Friuli Venezia Giulia: la continuità di oltre cento chilometri lineari di territorio viticolo raccontati attraverso la geologia, il clima e la storia. Corografia innovativa La ricerca di metodi rappresentativi adeguati agli obiettivi iniziali ci ha condotti a una corografia, ovvero a un’elaborazione cartografica delle complesse relazioni tra elementi geografici ed antropici, materiali e concettuali. Per queste ragioni il lavoro risulta metodologicamente innovativo anche se si serve di supporti e codici visuali antichissimi. Dal processo di elaborazione sono derivate molte considerazioni importanti sulla percezione simbolica e funzionale dello spazio e sul tema specifico della ricerca. Le mappe e la storia Portando un esempio, per quanto riguarda la mappatura storica dei territori viticoli francesi, sappiamo che la cartografia dei vigneti venne realizzata con il preciso intento di divenire uno strumento per agevolare la collocazione dei vini sui mercati internazionali. Sin dalla loro origine, 1855 a Bordeaux e 1866 in Borgogna, le mappature dei vigneti hanno costituito uno degli elementi fondamentali della strategia commerciale, per la rassicurazione dei mercati e degli appassionati, sull'origine e la qualità dei vini più prestigiosi. Queste esperienze di promozione ante litteram, hanno chiaramente dimostrato che il mercato del vino non va lasciato a sé stesso e che l'immagine del territorio deve essere costruita come il frutto di una straordinaria cooperazione tra l’operato degli uomini e gli elementi della natura. Una mappa diventa, così, uno strumento pratico e suggestivo in grado di fornire riferimenti stabili e condivisibili per raccontare il territorio. Per la Francia vitivinicola, la rivoluzione prima e le due guerre, precedute dalla fillossera, sono state puntualmente anche grandi occasioni di rilancio dell’imprenditoria e dell'affermazione delle zone viticole vocate, consolidando l’utilizzo a questo scopo degli strumenti cartografici. Parallelamente, nella storia friulana gli eccellenti livelli agronomici ed enologici raggiunti grazie alle competenze Austro-ungariche e della Repubblica di Venezia, furono compromessi non solo dall’arrivo dalle crittogame di origine americana e dalla fillossera, ma anche dalle guerre mondiali che, in questo caso, aggiunsero alla perdita di varietà storiche anche la distruzione dei vigneti situati nel mezzo degli scenari bellici, e interruppero drasticamente la continuità nella gestione del territorio. Fortunatamente dal secondo dopoguerra, stimolato soprattutto da capaci imprenditori, il settore si è ripreso e ha visto una fase di forte espansione e affermazione. Tutela del paesaggio La mappatura viticola può avere anche un’altra funzione: ci permette di riconoscere le morfologie rimaste stabili dal passato, vera eredità agronomica e culturale, metterne in evidenza le peculiarità idrogeologiche che ne hanno sancito la durata, e divenire in questo senso un importante strumento di tutela e catalogazione dei paesaggi storici. La salvaguardia dei paesaggi vitivinicoli, oltre agli aspetti di interesse prettamente eno-turistico-scenografico, ha in sé una profonda connessione con la valorizzazione e la tutela della fertilità del suolo, guadagnata in queste aree, spesso impervie o marginali, grazie a secoli di sapiente cultura agraria. Con la tutela di un paesaggio, infatti, si preserva anche la possibilità di comprensione e documentazione della cultura che ne ha cesellato le superfici, reso durature le sistemazioni agrarie dal punto di vista idrogeologico e arricchito, nel tempo, la fertilità dei terreni. Una preziosa banca dati a cui attingere per confrontarsi con le strategie adottate in passato nella gestione del territorio, pratiche che possono rivelarsi di notevole attualità nell’affrontare i mutamenti del clima. Mappe e toponimi La mappatura dei vigneti si rivela di inestimabile valore nella rivalutazione della toponomastica dei luoghi (la Borgogna in questo senso ha saputo preservare 1247 lieux- dits diversi). Attraverso i nomi riceviamo e conserviamo preziose informazioni: la storia, l'origine, la conformazione, le antiche proprietà, la vicinanza a un luogo o la relazione del vigneto con una particolare flora o fauna. Per esempio “vigne dal Rolat” ci ricorda la presenza di una antica quercia (o rovere, in friulano rôl), ma anche la natura calcarea dei suoli, ideali per vigne e querce. “Il Podere del Sole” ci racconta dell’ottima esposizione scelta per mettere a dimora i vigneti. I “Ronchi”, se di antica origine, riportano il nome dell'ultimo proprietario o di quelli precedenti: Ronco del Gnemiz, Ronco della Chiesa, Ronco Pitotti… Il famoso “Montsclapade” indica una collina vitata tagliata a metà a inizio Novecento dalla strada di collegamento dei ronchi tra Manzano e Orsaria. L’elenco potrebbe continuare notevolmente, in passato ogni appezzamento portava un nome. In questa mappa, pubblicata nel 1961, si nota come il territorio tra Miramare e Prosecco sia interamente interessato da pastini vitati, mentre sull’altipiano povero di suolo la vite non allignava. Da Giorgio Valussi, Friuli Venezia Giulia, Torino, 1961. Perché pioggia e calore sono importanti L’acqua è il motore principale che fa lavorare le piante nella loro attività fotosintetica di costruzione di rami, foglie, frutti. Il caso della vite non fa eccezione: serve acqua per la produzione del frutto. L’orografia complessa delle zone collinari crea varietà e variabilità di condizioni pedoclimatiche manifestando peculiarità estreme anche a distanze limitate. Ciò porta ad avere singoli appezzamenti con specificità uniche per combinazione di caratteristiche del suolo, microclimatiche e di origine del vigneto. Conoscendo, sapendo gestire e rispettando le diversità che questo territorio naturalmente ci offre, possiamo realizzare delle eccellenze esclusive, intimamente connesse all’area d’origine. La fonte idrica principale è costituita dalle precipitazioni. L’orografia della regione porta ad avere piogge minime vicino al mare e un graduale aumento della loro intensità spostandosi all’interno, verso nord ovest. In alcune aree le DOC sono accomunate da precipitazioni similari. L’andamento delle precipitazioni del Friuli Venezia Giulia è condizionato in larga misura dalla presenza dell’Alto Adriatico a sud e dall’orografia interna verso nord. Le catene delle Alpi Giulie a est e delle Dolomiti friulane a ovest, predominano sulla zona collinare situata poco più a sud, sull’alta e sulla bassa pianura friulana, rappresentando una vera e propria barriera naturale; grazie alla disposizione est-ovest contengono l’ingresso in regione di aria fredda da nord e favoriscono lo spostamento di aria calda e umida dal mare. La distanza in linea d’aria tra mare e montagna è relativamente breve, con i rilievi prealpini mediamente poco distanti dalla linea di costa dell’Alto Adriatico. Questa condizione fa sì che le correnti umide provenienti dal mare, non incontrando ostacoli fino alla barriera montuosa, conservino gran parte dell’acqua fino a scontrarsi con l’aria fredda dei pendii condensandosi in pioggia e dare luogo a medie annuali via via crescenti avvicinandosi ai rilievi. Si passa da precipitazioni cumulate annuali inferiori ai 1000 mm nella zona costiera che lambisce anche la provincia di Gorizia e Trieste con la DOC Carso, fino ai 3300 mm dei monti Musi nella zona nord est della regione ai confini estremi della viticoltura collinare friulana, nella zona più a nord della DOC Friuli Colli Orientali, la sottozona Ramandolo. Nelle DOC centrali dell’area presa in esame – Friuli Isonzo, Collio e Friuli Colli Orientali – le precipitazioni risultano via via crescenti man mano che ci si sposta verso nord, passando da 1300 mm nell’Isontino a 1600 mm nella parte mediana della Doc Friuli Colli Orientali. Nella porzione più a nord della stessa DOC, si arriva a superare i 2000 mm. Risulta dunque evidente come in un territorio di seppur limitate dimensioni, ma con caratteristiche morfologiche di particolare rilievo, un fattore importante dal punto di vista agricolo come la disponibilità idrica sia estremamente diversificato e concorra a creare fattori che rendono unici i risultati viticoli con notevoli peculiarità e differenze a brevissima distanza. Paesaggio vitivinicolo tradizionale che si mantiene vivo nella DOC Carso. Qui le vigne storiche di Pis’cianzi / Piščanci sopra Roiano, ancora circondate dal bosco come duecento anni fa. Fotografia di Fulvio Colombo. Da Costantini 2017, pag. 634. Il vigneto più a nord dell'Adriatico La vicinanza del mare influenza notevolmente anche le temperature creando un gradiente di medie annuali più elevate in prossimità della costa e più basse in prossimità dei rilievi man mano che ci si sposta verso nord. Partendo da sud troviamo il ciglione carsico della provincia di Trieste con le temperature medie più alte che si registrano in regione, circa 15 °C, grazie al volano termico creato dalla prossimità del mare e all’esposizione sud-ovest. Da lì si passa in pochissimi chilometri a 12°C sull’altipiano carsico, influenzato dalle correnti fredde nord orientali. La porzione carsica della provincia di Gorizia risente anch’essa dell’influenza del mare e delle correnti fredde registrando temperature intermedie alle due situazioni precedenti (13-14°C). Dal punto di vista termico sono poco al di sotto le colline della zona DOC Collio, in gran parte affacciate a sud sud-ovest con apertura diretta verso il mare, come anche la parte meridionale della DOC Friuli Colli Orientali nella zona di Rosazzo, Manzano e Buttrio. L’ultima porzione verso nord della DOC Friuli Colli Orientali è caratterizzata da temperature inferiori (12-13°C), legate sempre alla distanza dal mare e a una maggior frequenza delle precipitazioni come ben si vede nelle mappe allegate. Temperature medie annuali in gradi centigradi per gli anni 2000-2019 (Fonte OSMER-FVG). La presenza del mare differenzia notevolmente le temperature medie lungo l’arco collinare. I picchi massimi si hanno in prossimità della costa mentre quelli minimi si verificano all’estremità nord-ovest dell’area vitata. L’influenza del vento Altra componente importante che influenza il clima delle aree viticole collinari è il vento. La famosa Bora soffia con direzione tipica da est nord-est, spostando masse d’aria fresche e secche dalle zone continentali. L’influenza di questa ventilazione dominante è più evidente nella zona dell’altipiano carsico e diminuisce gradualmente in frequenza e intensità spostandosi verso nord dal Collio ai Colli Orientali. L’orografia conferisce più o meno protezione verso questo vento dominante, con esposizioni molto variabili e diversificate in tutto il territorio. Particolarmente evidente l’effetto del ciglione carsico come barriera protettiva dell’area vitata affacciata sul mare. Una mappa di Flysch e calcari L’origine geologica del Friuli Venezia Giulia è complessa. Le DOC collinari racchiudono tre origini geologiche prevalenti: i Flysch, conosciuti anche sotto il nome di Ponca, nelle porzioni collinari delle DOC Friuli Colli Orientali e Collio (50-65 milioni di anni), intervallati da depositi alluvionali più recenti e infine le rocce calcaree originatesi in epoche più antiche come nel caso dell’altipiano della DOC Carso (65-110 milioni di anni). I depositi flyschoidi sono costituiti da un’alternanza di rocce sedimentarie con granulometria (dimensione delle particelle) diversa: le marne caratterizzate da frazioni più fini (argilloso-calcaree) e le arenarie composte invece da frazioni più grossolane (sabbioso-silicee). I suoli che ne derivano possono avere caratteristiche minerali piuttosto diverse a seconda delle formazioni di origine con contenuti di sabbia e argilla molto variabili a brevi distanze. Questa variabilità comporta importanti conseguenze nelle caratteristiche fisiche dei suoli come la capacità di trattenere l’acqua, ma anche chimiche dal punto di vista del rilascio di elementi minerali utili per le piante e non ultimo influenza la capacità dei terreni nel ospitare le componenti biologiche (animali, piante, microrganismi, ecc.). Tra le colline a Flysch delle DOC Friuli Colli Orientali e Collio i corsi d’acqua principali, con la loro azione erosiva, hanno portato e depositato materiali misti dai rilievi a monte, dando origine a formazioni geologiche di tipo alluvionale. L'elemento caratterizzante di questo tipo di formazioni nei suoli risultanti è il diverso contenuto di ghiaie e di conseguenza la velocità con cui l’acqua si infiltra in profondità (drenaggio). Nelle formazioni carsiche le rocce calcaree prevalenti (Calciruditi e Calcareniti) hanno dato origine, con il loro disfacimento nei milioni di anni in un clima temperato- caldo, alle cosiddette “terre rosse”, suoli caratterizzati da prevalenti componenti argillose e dal caratteristico colore rosso mattone. Ne risultano suoli con spiccate capacità drenanti e particolarmente ricchi in minerali disponibili. Da queste sintetiche descrizioni possiamo evincere che anche nel caso di origine geologica affine che sia Flysch, calcari o depositi alluvionali, ogni vigneto vive in condizioni pedologiche (di suolo) del tutto uniche e/o difficilmente ripetibili per caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e di conseguenza merita un’accurato approfondimento per la comprensione delle sue dinamiche. Carta geologica del Friuli Venezia Giulia tratta e semplificata dalla carta Geologica del FVG di Giovanni Battista Carulli (2006). In evidenza, a sud-est, i calcari dell’altipiano carsico in stretta relazione con il Flysch del ciglione carsico e la prosecuzione dei Flysch lungo il Collio e i Colli Orientali, questi ultimi intervallati da deposizioni fluviali più recenti. Sedimenti culturali Il territorio di eccellenza viticola del Friuli è unanimemente riconosciuto nell’arco collinare. A est c’è il Carso. Se il suolo è centrale per comprendere la storia vitivinicola di un luogo, l’origine geologica di queste terre ci porta in una zona costiera con acque basse, calde e ricche di ossigeno, che si estende tra Udine e Trieste durante il Cretaceo superiore, intorno a settanta milioni di anni fa. Un mare tranquillo i cui fondali erano formati da sedimenti carbonatici, poi divenuti calcari. Quel banco roccioso, ora emerso, ospita oggi una incredibile quantità di fossili che raccontano di acque calde e trasparenti, di lagune e di barriere coralline brulicanti di vita. Circa quindici milioni di anni fa le montagne del Friuli cominciarono a sollevarsi in modo vigoroso, in una sorta di effetto schiaccianoci prodotto dallo scontro tra Africa ed Europa. Grandi terremoti, la cui potenza non ha nulla che fare con quelli attuali, provocano crolli di rocce e scogliere che precipitano nei fondali. Grandi quantità di polveri si depositano a loro volta sul fondo marino. Nascono così argille, marne e arenarie (Flysch): numerosi strati si formano sulla vecchia base di calcareniti. Accade in milioni di anni. Una seconda spinta dà origine alla parte collinare, derivata dall’innalzamento di quei fondali complessi e stratificati. Questa parte, formata da colline che arrivano al massimo a 300 metri di altitudine, viene poi tradizionalmente destinata all’agricoltura. Il Carso si differenzia dall’arco collinare friulano perché il suo suolo ospita due diverse formazioni: nella parte in cui degrada verso il mare è caratterizzato dalla presenza di Flysch, mentre nelle zone interne e più alte dominano i calcari. Quelle stesse formazioni calcaree esistono, in profondità, al di sotto di tutto l’arco collinare friulano (Collio e Colli Orientali) ma, a differenza del Carso, dove le deformazioni tettoniche hanno dislocato il Flysch ed esposto le rocce calcaree, non sono mai emerse. L’unica eccezione è la collina di Medea che, a livello geologico, è una formazione carsica pura, staccata dal resto. In questo quadro ci sono zone legate tra loro da una continuità storica. Il Collio, il Carso e la pianura dell’Isonzo hanno fatto parte per molti secoli dell’Impero asburgico, mentre le zone dei Colli Orientali e buona parte della restante pianura sono state per lungo tempo soggette alla dominazione veneziana. Due mondi che hanno formato e diversificato il territorio, anche a livello agricolo. La Repubblica di Venezia per rendere coltivabili le colline intorno a Cividale, Buttrio, Manzano, San Giovanni al Natisone e Corno di Rosazzo si è affidata alla creazione del ronco, che si basa su forme di terrazzamento dolci, a girapoggio e a cavalcapoggio, mutuate probabilmente dalle sistemazioni agrarie di epoca romana, che rispettano la conformazione della collina e non prevedono interventi aggressivi di asportazione del terreno (sbancamenti). La collina diventa così il ronco, creato per rendere razionale la produzione viticola, dove, accanto alle viti, trovavano posto gli alberi da frutto, l’orto e la stalla. Nella parte alta del ronco si trova sempre la casa padronale. Impronta differente hanno ricevuto i territori soggetti alla Casa d’Austria, dove il paesaggio non fu uniformato in netta prevalenza alla produzione intensiva di uve ma, in base alle esigenze dell’Impero, venne destinato anche alla produzione di frutta e di orticole richieste dai mercati dell’Europa centrale. In Collio si produceva frutta, uva e vino, in quantità importanti e caratterizzanti (Panzera 2007). Il confine storico tra questi due mondi, l’Austria e Venezia, era tracciato dal fiume Judrio. (Questo passo è tratto, per concessione dell’editore, da Lorigliola 2017). Collio, vigneti storici a ronco arborato, qui soprattutto con ciliegi la cui fioritura impreziosisce il paesaggio. Gli appezzamenti sono numerosi e di dimensioni contenute, distribuiti lungo i versanti collinari assecondando le curve di livello. Fotografia di Enos Costantini. Oltre cento chilometri vitati La maggioranza dei vigneti, nell’area presa in esame, sono disposti sui versanti sud e ovest dei rilievi, rivolti perlopiù verso il mare, affacciati al tratto più settentrionale dell’Adriatico. Da Muggia, situata all’estremità sud-est del golfo di Trieste, la linea distributiva di vigneti procede lungo il costone carsico in direzione nord-ovest, per poi scostarsi dal mare ed arretrare leggermente in prossimità del Carso goriziano e riprendere la direzione nella parte più meridionale della DOC Collio, ad appena dodici chilometri dal mare. L’incontro con il fiume Judrio sancisce la fine della DOC Collio e l’inizio della DOC Friuli Colli Orientali, a una distanza di circa trenta chilometri dal mare, per poi piegare leggermente verso l’interno e riprendere la direzione nord-ovest fino all’estremità dell’arco collinare vitato, nella sottozona Ramandolo. Osservando la distribuzione dei vigneti sulla mappa, emerge con chiarezza uno degli elementi distintivi: una linea di continuità vitata, con zone caratterizzate da maggiore o minore densità degli impianti e facente parte di un contesto complesso, ricco di margini di biodiversità, boschi o inframezzato da aree agricole. Un paesaggio vitivinicolo per nulla compromesso dalla monocoltura. Paesaggio tipo della DOC Colli Orientali del Friuli. Si può notare la coesistenza di superfici vitate di grandi dimensioni di recente costituzione, assieme a vigne dislocate lungo piccoli appezzamenti, frutto di terrazzamenti storici. La cospicua presenza di aree boschive rende elevata la biodiversità del paesaggio. Fotografia di Massimo Poldelmengo. Una nuova immagine è un termine che amiamo maggiormente rispetto all’abusato “territorio”. Paesaggio In questo momento storico, il comparto dovrebbe prepararsi ad intraprendere l'elaborazione di un’immagine coerente del paesaggio vitivinicolo; un’operazione indubbiamente necessaria per consolidare e raccontare efficacemente l’areale vitato. In questa direzione la mappa d’insieme può diventare uno strumento estremamente utile per individuare con immediatezza le peculiarità della regione. La rappresentazione su mappa, rende efficace l’analisi e la comprensione di cosa maggiormente convenga comunicare, per distinguere e consolidare il settore. Una mappa, ancor più se reale, cartacea, permettendoci una visione ad ampio raggio, ci aiuta ad immaginare e a comprendere il territorio nel suo insieme. Visionando una mappa, dopo un rapido sguardo all’orografia ed escludendo zone boschive naturali, diventa abbastanza semplice riconoscere le aree attualmente antropizzate. Approfondendo il livello di analisi si possono distinguere, ancora leggibili, i segni lasciati nel paesaggio dall'agricoltura del passato. Dal confronto di questi ultimi con la situazione paesaggistica attuale, ci ritroviamo tra le mani un prezioso strumento in grado di agevolarci nel pianificare eventuali sviluppi futuri. La mappa diventa un supporto in cui annotare le peculiarità dei paesaggi e, ad esempio, aiutarci a indagare aree da tempo dimenticate, ancora di possibile interesse vitivinicolo per affrontare i cambiamenti climatici o nuove richieste di mercato. Qui, a confronto, una foto storica della costiera triestina (dall'Archivio Edizioni Luglio) e una attuale (di Fulvio Colombo). In questo settore della Riviera gran parte dell’area vitata terrazzata è stata abbandonata segnando la perdita di un paesaggio suggestivo, sedimento dell'ingegno che in passato ha saputo far fruttificare queste aree impervie. Da Costantini 2017, pag. 663. Tanti ambienti tanti vitigni La regione si è contraddistinta fin dal passato, per una grande ricchezza di varietà ampelografiche. Dal cospicuo patrimonio di autoctoni storici, alle varietà introdotte grazie agli scambi commerciali della Repubblica di Venezia e soprattutto alle innumerevoli varietà diffuse dall'Impero austro ungarico, grazie anche alle proficue relazioni di quest’ultimo con la nobiltà francese. Una ricchezza ampelografica conquistata nel tempo e divenuta valido strumento per ottenere il meglio da ogni settore dell'arco collinare. Tra queste, le varietà più adatte alla stretta vicinanza del mare o ai suoli fortemente calcarei, nella DOC Carso: Vitosvka, Terrano, Malvasia istriana e Glera, quest'ultima coltivata maggiormente in passato. Le ribolle nel Collio, assieme ai Pinot, ai Sauvignon e al Tocai, ai rossi Merlot, Refosco dal peduncolo rosso e Ribolla nera-Schioppettino, nella zona centrale dell'arco collinare. Infine, nella zona più fresca e piovosa, distante dal mare, le varietà per eccellenza adatte agli appassimenti, alle vendemmie tardive o con botrite nobile: il Picolit e il Verduzzo Friulano da cui nasce il vino Ramandolo. Abbiamo citato solo alcune delle numerose varietà storicamente coltivate o più recentemente introdotte con l’efficace intento di far esprimere al meglio il potenziale produttivo e qualitativo di ogni singolo appezzamento, in un territorio per sua natura straordinariamente complesso, dislocato lungo un arco collinare vocato alla viticoltura per oltre 100 chilometri. Una via estremamente interessante, tracciata in passato, per realizzare produzioni eccellenti lungo tutto il territorio vitato. Bibliografia – Brotton 2019 = Jerry Brotton, , Feltrinelli, Universale Economica La storia del mondo in dodici mappe – Saggi, Milano. – Carulli 2006 = Carulli Giovanni Battista, . Carta Geologica del Friuli Venezia Giulia 1:150000 – Castagno 2020 = Armando Castagno, Borgogna – , Paolo B. Buongiorno Editore, Roma. Le vigne della Côte d'Or – Cogliati 2014 = Samuel Cogliati (a cura di), a cura del Comitato d'Agricoltura dell'arrondissement di Beaune; tradotta, curata e introdotta da Samuel Cogliati, Possibilia Editore, Sesto San Giovanni. Mappatura statistica dei vigneti che producono i Grandi vini di Borgogna, – Costantini 2017 = Enos Costantini (a cura di), Forum, Udine. – Harley e Woodward 1987= J.B.Harley e David Woodward (a cura di), The History of Cartography, Chicago. Storia della vite e del vino in Friuli e a Trieste, – Lorigliola 2017 = Simonetta Lorigliola, DeriveApprodi, Habitus, Roma. È un vino paesaggio. Pratiche e teorie di un vignaiolo planetario in Friuli, – Panzera 2007 = Giovanni Battista Panzera, ”, ERSA, Pozzuolo del Friuli, 2007. Collio: terra di castelli, di vini e di ciliegi, in “Suoli e vigneti. Collio. Clima e suolo all’origine della qualità del vino. Zonazione e manuale d’uso del territorio viticolo : le mappe riportate nel presente lavoro sono state realizzate con QGIS ( , ) e successivamente modificate con software di elaborazione immagini. : Arpa-Osmer per la condivisione dei dati storici termopluviometrici regionali 2000-2019. Mappe Sistema di Informazione Geografica Libero e Open Source www.qgis.org Ringraziamenti