La celebre frase “Nessun uomo è un’isola” è tratta da un verso del poeta inglese John Donne (1572 – 1631). Con la metafora dell’isola, sola in mezzo al mare, il poeta descrive la sensazione di solitudine che si avverte di fronte alle avversità. E dove, se non a Santorini, possiamo vedere in modo così chiaro il rapporto difficile tra uomo e isola? Rinomata nel secolo scorso per la produzione di pomodori – una varietà tipica dal frutto grosso poco più di una ciliegia – e per la produzione vitivinicola, l’isola è stata oggetto di uno sviluppo selvaggio del turismo a discapito di una tradizione agricola millenaria, a cui si sono sommati gli effetti del cambiamento climatico. La cartolina l’abbiamo vista tutti: mare blu cobalto, case bianche con le finestre azzurre arroccate sulla caldera del vulcano e tramonti indimenticabili.
Originariamente di forma circolare, costruita attorno al bordo calderico del vulcano omonimo, Santorini è l’isola più a sud delle Cicladi e si trova nel Mar Egeo, a nord di Creta. Nei secoli, il nome originale Thira – che si narra essere stata ispiratrice di Platone nella sua descrizione del mito di Atlantide – si è evoluto in Kallistē, la più bella, per poi essere ribattezzata Santorini dai Veneziani, in onore di Sant’Irene. Durante l’età del bronzo, il vulcano eruttò drammaticamente scatenando uno tsunami e seppellendo la città sotto la cenere, contribuendo così alla fine della civiltà minoica.
In alcune parti dell’isola il materiale vulcanico è profondo fino a 60 metri. L’ultima eruzione è stata nel 1950, ma la caldera è ancora attiva e la natura vulcanica di Santorini è cruciale per capire l’isola e il suo vino. Nel 1967 furono espiantati dei vigneti per effettuare degli scavi archeologici che portarono alla luce Akrotiri, la città più vecchia d’Europa, risalente al periodo neolitico, 1.700 anni più antica di Pompei. Sono stati trovati reperti inerenti al mondo del vino e della viticoltura, non soltanto un torchio ma anche una banca dove il vino poteva essere impegnato come deposito.
Questi ritrovamenti ci fanno capire che Santorini era un centro prosperoso e cosmopolita famoso per il vino e il commercio già 4.000 anni fa.
Santorini è una terra vulcanica, arida e battuta dai venti. Il suolo – chiamato localmente aspa – è composto da un misto di basalto, cenere vulcanica, sabbia, pomice e altre formazioni laviche. Teniamo sempre presente che i territori d’origine vulcanica rappresentano solo l’1% della superficie terrestre, ma essi sono spesso aree di eccellenza per la viticoltura. Rimanendo sul nostro stivale, pensiamo all’Etna, alle Isole Eolie, al Vesuvio, ai Campi Flegrei, Ischia, il Vulture, Soave.
Le precipitazioni medie annuali si aggirano attorno ai 300 mm, ma ci sono state annate in cui hanno raggiunto a malapena i 100 mm. I venti sono frequenti e forti, tanto che i vigneti si coltivano con un particolare metodo di allevamento a canestro, a formare un caratteristico cesto chiamato koulura e kadeftiko per proteggere i grappoli dalle angherie di vento e sole, oltre che per trattenere la preziosa rugiada mattutina. La gestione di questi strani nidi fatti di tralci lunghi fino a 100 metri comporta delicate operazioni di potatura che richiedono esperienza profonda e tempi lunghissimi. La scarsità di materiale organico nel suolo vucanico, la porosità, unita ad un pH elevato e alla scarsa presenza di calcio, rendono le viti immuni alla fillossera aumentandone a dismisura la longevità. L’intero territorio è considerato uno dei vigneti più antichi del pianeta, chiamato dai produttori stessi il “Jurassic Park” della vite e incontrare viti a piede franco ultracentenarie è assai comune. L’isola è meta di circa 2,5 milioni di visitatori all’anno. Il turismo minaccia la viticoltura che si distingue per la difficoltà operativa e per i risicati margini di guadagno. Il terreno edificabile è inevitabilmente limitato e le offerte da parte del ramo alberghiero per chi vuole convertire le vigne in alberghi sono molto appetibili. La superficie vitata è in declino: dimezzata dagli anni Ottanta, scesa del 30% dal 2005 al 2022 agli attuali 1.200 ettari suddivisi tra circa 2300 vignaioli. Le rese sono bassissime. La densità a ettaro si aggira attorno ai 2.500 ceppi, la resa in vino da 15 a 25 hl a ettaro. Nel 2019 ci sono stati venti a oltre 70 km all’ora – per tre volte nella stessa annata – che hanno portato a un ulteriore abbassamento delle rese. Nel 2023 una grandinata ha rovinato il 60% della raccolta.