I soffi del Mediterraneo. Roberto Bellini Il Mediterraneo è luce e sole da cui nascono le “visioni solari” dei paesaggi greci. In questo mare il vento non ha patria, mentre il sole dà linfa a ogni essenza della terra. Diventa un mare senz’acqua, nutrendo della sua azzurra presenza oliveti e vigne, assolando le pietre per rinfrescarle con il vento. Il vento è un viaggiatore del Mediterraneo fino ad appartenervi profondamente, fino ad assorbirsi nei raggi del sole e insieme staccarsi dalle onde color smeraldo per fuggire oltre le coste, per schiarire le colline dalle nuvole, rinfrescare l’uva che matura in vigna e far brillare di argento le foglie degli ulivi. Ci sono sole e vento nelle vigne del Mediterraneo, con il sole che egemonizza i valori climatici, però al vento non si può disconoscergli una funzione essenziale, ancorché sottovalutata, per il ruolo che interpreta nel comporre e definire il mesoclima viticolo. Dialogando con i vigneron che hanno vigne nel crinale sud del Mont Ventoux (Monte Ventoso), il ruolo del vento, il Mistral, diventa strategico per rinfrescare l’acino, dare fragranza alle espressività fruttate e floreali del profumo, e custodire una parte d’energia di acidità per sostanzializzare di saporosità il sorso. Ne sono testimonianza i vini della AOC Ventoux, che nella versione in rosso trattengono una graziosa nervosità di freschezza al gusto e una sorprendente vigoria selvatica nel fruttato (prugnolo), nel floreale (ciclamino rosso) in un mix di fragranze di macchia provenzale. Ancor più sorprendenti sono i rosati, dove i frutti del bosco offrono al naso la deliziante rusticità del lampone e del ribes rosso, mentre il flavor della sua liquidità si fa salino e terroso. Poco più a sud, anzi a sud-ovest, è il Marin che soffia nelle vigne del Banyuls il suo forte odore di salsedine, a scaldare le uve di grenache noir fino quasi a seccarle, infiamma di luccicante granato il colore del “Rancio”, asciuga le botti e le damigiane che si maderizzano al sole, penetrando fin nella rugosità del tannino rendendolo salineggiante. Più a Sud sono le brezze che avvolgono l’isola di Maiorca a dare refrigerio alla rigogliosità delle viti autoctone, come il callet, il manto negro e il prensal blanc. Di rilievo è il rosso Callet della 4 Kilos Vinicola, traboccante di succosità fruttata, con aromi che il vento sembra sottrarre ai campi di fiori selvatici e ai cespugli costieri per permearne in essenza la complessità del profumo. Una volta uscito dalla Valle del Rodano, e dalla Provenza, il Mistral si dirige a sud, diventa Maestrale e nei secoli ha modulato le rocce di granito della Gallura e piegato i legnosi arbusti della macchia mediterranea. Il suo spirito “freddo” agita le foglie del vermentino, le tonifica dalla calura, penetra nell’anima dell’acino per salvare l’energia dell’acidità, ciò consente di combinare nel Vermentino la granitica sapidità con quell’essenza deliziosamente acidula che richiama alla pompia, creando talvolta una misteriosa personalità gusto-olfattiva. Il vento regna a Pantelleria, o meglio i venti regnano: il Maestro e lo Scirocco. L’isola si sente abbracciata, talvolta con veemenza, talaltra con insolenza, tanto da costringere lo zibibbo a strisciare sinuoso nell’incavo della sabbia, accalorandosi così delicatamente da concentrare quella magia zuccherina che rende il Passito di Pantelleria un elisir aromatico in vestigia arabeggiante. Un po’ più a Nord Ovest il Libeccio plana sulla costa antistante all’areale del Vittoria e del Cerasuolo di Vittoria, si fa brezza incuneandosi tra i filari di nero d’Avola, dialogando tra mare e Monti Iblei stilizza nel Contesa dei Venti, Vittoria DOC Nero d’Avola, tutta la florealità della lavanda, la succulenza della susina rossa, si fa balsamico e alleggerisce la tensione tannica, offrendogli rinfrescante fluidità liquida. Lo Scirocco, insieme all’Ostro, può farsi tempesta in Calabria, si calma nella costa Est, accarezzando i vigneti di greco bianco, asciugando gli acini mentre appassiscono e cesellano quel vino boutique che risponde al nome Greco di Bianco, dai profumati effluvi di zagara, uva sultanina, bergamotto e fico bianco, vellutato quel tanto da scivolare sinuoso al palato come dolcissime anse d’acqua sospinte dallo Scirocco. Il viaggio verso l’Est vede un Mediterraneo “bianco e azzurro sei / con le isole che stanno lì / le rocce e il mare / coi gabbiani / Mediterraneo da vedere”, così Giulio Rapetti e Giuseppe Mango spingono le loro liriche attraverso le onde a incontrare nuovamente lo Scirocco e le isole Greche, lasciandosi a contorno Creta con l’antico vitigno a bacca nera liatiko, che offre vino cromaticamente chiaro nel rubino, con inconsueto aroma di tabacco fresco, alloro, origano secco e finocchietto selvatico, mediamente strutturato con altalenante dicotomia tannico/fresca. A nord la rustica secchezza del Meltemi rende immuni da malattie le vigne che accolgono il moscato bianco a bacca piccola nell’isola di Samos, lo sanificano in maturazione, trattengono i valori terpenici, concentrano il fruttosio e rendono il Moscato una delizia aromatica di confettura di albicocche, gelatina di arancia, gelsomino e caramella al burro. Al gusto trattiene un certo vigore in freschezza, accarezzando in avvolgenza il palato fino a comporre una oleosità balsamica. E ancora più a Nord è sempre il Meltemi, a sud della Tracia, che nelle vigne dell’isola di Lemno offre gioiosa e costante ventilazione, spirando da est a nord, disegnando un’escursione termica quasi estrema; qui il vitigno autoctonissimo limniò è coltivato dalla Winery Anatolikos ad Adbera, a soli due chilometri dal mare, e ne fa un vino lontano da quei caratteri meridionali che spesso tratteggiano l’enologia greca, nonostante abbia bisogno in tutto e per tutto di mare, sole e vento. È un vino che si offre rinfrescante di acidità fruttata e una tannicità ammansita da una solarità adeguatamente alcolica, anticipata da spunti olfattivi fragranti di giacinto e ciliegia Regina, sfumando in quell’Oriente speziato e d’incenso. Siamo in quel mare in cui dominò la Repubblica di Venezia, e da quelle isole le vele delle navi della Serenissima si facevano sospingere dai venti di Levante per risalire verso la Laguna, vento e navi approdavano a Zante e qui c’era vino, e ancora c’è. È un rosso ottenuto dall’autoctono avgoustiatis, ancora coltivato a piede franco; ha appeal varietale agli aromi di mora di gelso e fragola che si mixano con fragranze fronde di pini di foscoliana poetica, mentre il gusto si rende subito equilibrato distinguendosi per soffusa tannicità, dosata alcolicità e idilliaca morbidezza. A bordo dell’immaginaria galea veneziana sospinta dall’Ostro o dal Maestrale, oppure dal Levante o in assenza dai remi, ecco a tribordo la sagoma delle coste dell’Albania con la sua millenaria storia di vite e di vino. A soli due chilometri dalla costa di Valona ci sono le vigne del shesh i bardhë che si crogiolano nella freschezza dei venti per offrire al marinaio un calice luminoso e dorato, effluvi di ginestra e mimosa, salinità addolcita dalla solarità dell’alcol e un che di freschezza al flavor di susina che rende invitante il brindisi. A babordo della galea la veduta delle coste italiche è punteggiata di vigne. Sono lo Scirocco e il Garbino, che d’estate s’infiltrano nelle valli trasformandosi in brezze, che rinfrescano la verdolina cromaticità dell’Offida Passerina, accentuano l’escursione termica, dando vigore alle fragranti profumazioni di biancospino e acacia, mela annurca e pesca di vigna, e talvolta la sapidità è così salina che offre retro-aroma di una ventilata brezza carica di salgemma. Ancora alcune miglia nautiche verso nord e il “rumore sibilante e artico” della Bora increspa il mare e il cielo, si fa tensione tra le onde e si fa vino in quell’immagine del Molo Audace di Trieste, frastornato dal vento che personifica La Bora di Kante. È un vino, anzi è un’intuitività enologica dello chardonnay che solo la carsica genialità di Edi Kante poteva interpretare, associandola alle sue furiose raffiche senza che quella veemenza di naturalità si trasferisse nella personalità del vino. È un vino che cristallizza una tinta paglierina argentata, il profumo è una brezza verace intrisa di fioriti prati primaverili e finissima polvere salina; il gusto si fa davvero una sostanza immaterica di vento che amplia il senso di una complessità che stratifica un volume liquido succosamente agrumato di pompelmo, calcareo e salino, e si fa identità pura con la lirica del premio Nobel Ghiorgos Seferis: “Il mare si unisce al tramonto con una catena di montagne. A sinistra soffia il vento australe e ci fa impazzire”. Eccolo il Mediterraneo, ci fa impazzire e gioire nel vino, e ci dà anche dell’amarezza in quella “legge rischiosa” dell’acqua declamata da Eugenio Montale, che fa naufragare le disperate speranze di popoli in involontario movimento. Al vento non si può disconoscergli una funzione essenziale, ancorché sottovalutata, per il ruolo che interpreta nel comporre e definire il mesoclima viticolo.