Come Franciscus Sylvius de le Boë sia finito protagonista della storia del gin che fino a qualche anno fa si raccontava, rimane a tutt’oggi un mistero. L’esimio professore tedesco, accademico del più antico ateneo dei Paesi Bassi, svolgeva presso l’Università di Leiden studi legati alla sua fama di medico naturalista e sperimentatore pioniere della iatrochimica nel XVII secolo. Che egli conoscesse il jenever è probabile, altrettanto che nel tempo abbia sostituito nell’immaginario collettivo il quasi omonimo dott. Sylvius de le Boe (vissuto quasi un secolo prima), di certo l’aqua vitae a base cerealicola aromatizzata con bacche di ginepro si distillava in quei luoghi già da tempo.
Non stiamo qui a ripercorrere con metodo filologico tutte le fasi che hanno portato il gin a essere indispensabile protagonista odierno sul bancone dei bar mondiali, ci interessano essenzialmente due aspetti: chiudere definitivamente con la storiella del dottore ancora troppe volte divulgata e ripercorrere nelle fasi salienti questa sorta di “ritorno alle origini” che vede oggi l’Italia come terra di assoluto riferimento qualitativo e creatività, vuoi per natura, vuoi per espressività geografiche estremamente circoscritte, vuoi per genio.
Non ci concentreremo quindi sulla diffusione che ebbe grazie alla Compagnia olandese delle Indie orientali, nemmeno su quel “Dutch courage” che fece innamorare gli inglesi nella Guerra degli ottant’anni, neppure su Guglielmo III d’Orange re d’Inghilterra e il Distilling Act del 1690 che lo lanciarono verso l’evoluzione, la consacrazione europea e l’era moderna.