Difficile immaginare un piatto più caliente e mediterraneo della paella spagnola. Ricetta iconica e musicale grazie alle sue prelibate spezie, artistica per le sue tonalità sgargianti ma anche ritmata e assolata per i suoi continui cambi d’abito con bocconi sempre diversi e originali, in grado di solleticare l’animo stesso, stuzzicando anzitutto i desideri più impronunciabili, e successivamente le papille. La padellaccia stessa, ripiena dell’estate allo zafferano, ci ricorda un sole e nel suo calore ardente cercheremo appagamento con alcune delle migliori e dissetanti ricette dei Mastri Birrai.
Nata nella Comunità Valenciana, come ogni grande successo ha visto susseguirsi negli anni innumerevoli omaggi, tanto da creare nel tempo una sottocultura estremamente colorata e variegata. Le varianti di questa perla spagnola sono tante, tutte degne di attenzione e piene di carattere, alcune particolarmente coraggiose come quella al nero di seppia che spinge sull’acceleratore, spodestando addirittura la classica tonalità base della ricetta originale e il suo aroma, altre golose e ambiziose in grado di mettere in dubbio anche la presenza stessa del riso (el arroz) come denominatore comune della portata.
A base di pesce, mista con pollo, con riso o senza, si delinea nel tempo ciò che davvero rappresenta questo piatto: l’idea del calore e del colore, il rispetto del tempo e del vento, lo stupore del sapore per un cambio d’umore. La paella è una cosa seria, tradizionale ma innovativa, coerente a se stessa ma attenta ai cambiamenti che il Mediterraneo sussurra. Impossibile con queste caratteristiche non trovare un nesso calzante con il movimento brassicolo europeo degli ultimi anni in grado di shakerare gli animi, esaltando e celebrando le antiche ricette, ma al tempo stesso scardinando e innovando un settore intero. Nata per utilizzare ingredienti di recupero da tradizione contadina, la paella valenciana probabilmente affonda le sue origini tra il XV e il XVI secolo. L’intrigante ed eterogeneo mix d’ingredienti parrebbe infatti essere nato dall’ingegno della servitù nel voler recuperare gli scarti delle tavole nobiliari per preparare un pasto sostanzioso da portare nei campi e consumare nelle pause dal duro lavoro.