Liguria
Per Vincenzo Cardarelli, poeta, è “una terra leggiadra”. Per Fabrizio De André è “Ombre di facce di marinai” (Umbre de muri muri de mainé…). Ci vuole Faber per capire i piatti dei pescatori di questa ascella d’Italia. Il ritornello è suppergiù lo stesso in tutti i mari italiani, e, crediamo, in tutto il Mediterraneo: le povere, grandi, tradizionali ricette della gente che da sempre guadagna da campare per sé e per la famiglia, nascono dal pescato invenduto. È così anche a Genova, a Oneglia, a Sestri Levante e negli altri porti liguri che ospitano pescherecci. In questi porti si vendono branzini, spigole, polpi, calamari, aragoste, astici, triglie di scoglio e triglie di sabbia, pesce azzurro. Pesce ricco e pesce povero. Anche in fondo al mar ci sono differenze di classe. Meno male ci pensano i pescatori, a innalzare in pentola lo status dei pesci proletari. Le appetitose ricette storiche italiane sono nate con quel che restava nelle cassette sui banchi o nelle sciabiche: acciughe, sardine, triglie, ghiozzi, boghe e resti di pesce rovinati dalle reti.
Il mercato del pesce di piazza Cavour a Genova non c’è più, ma nell’aria echeggiano ancora le voci dei pescivendoli registrati da Fabrizio De André per Creuza de mä: “Mia che bella robb-a, le bughe, le anciuve…”. Guardate che bei pesci, le boghe, le acciughe… Come si preparano? Il procedimento è suppergiù lo stesso dei vari brodetti adriatici e del cacciucco toscano. In un pentolone si aggiungono al pesce modesto verdure, erbette, aromi e pane vecchio per nascondere i difetti, esaltare il gusto e amalgamarlo. Il risultato? Una gioia per il palato. Grande piatto dei pescatori liguri è il bagnun de anciue, la zuppa di acciughe con aglio, olio e gallette. Si preparava a bordo dei leudi, le imbarcazioni a vela latina usate per il cabotaggio.