Rotte felici quelle dei Fenici.

Roberto Bellini

Nel Mediterraneo i popoli che si affacciano oggi e quelli che vi hanno vissuto in passato hanno sempre avuto un feeling con alcuni prodotti della terra, anche se non facevano propriamente parte della loro cultura. I più ricercati erano chiaramente l’olio e il vino. Questo ha generato nei secoli, addirittura fin da prima della nascita di Cristo, un viaggio marittimo molto meno complicato di quello via terra, che ha lasciato impronte culturali così profonde che sono rintracciabili ancor oggi. La Fenicia, l’attuale Libano, custodiva una radicata tradizione di fare vigna e vino, originata dalla cultura vitivinicola della confinante Mesopotamia, i cui fasti – chiamiamoli enoici – furono celebrati e da lì proiettati nei secoli a venire dal poeta Gilgalmesh di Uruk (circa 2600 a.C.). I Fenici furono esperti e impavidi navigatori, disegnarono delle precise rotte per navigare il mare Mediterraneo e commercializzare vari prodotti, come in una specie d’import ed export.
In Fenicia c’era vino, e c’è ancora, nonostante le traversie sociali, politiche e guerresche che l’odierno Libano ha in seno da tempo. Eppure, il vino di lì è un vino d’eccellenza, che sta riscoprendo il suo antico spirito ampelografico, rinverdendo, se non dissotterrando, antichi e nobili vitigni, in specie a bacca bianca, come il merwah e l’obaideh. È del 2017 il lancio da parte di Château Ksara di un vino bianco ottenuto da merwah. Nell’antichità era usato per produrre l’arak, un distillato al favor di anice, oggi è un vino bianco che esce da quei canoni che possono essere accostati a una viticoltura del “caldo”, infatti, a 1500 metri di altitudine straripa di profumi fragrantissimi di freschissimi limoni e lime, e fiori primaverili accompagnati da un fruttato che rimanda alla carambola e al passion fruit.