La chiamano citizen science, un’espressione che si può tradurre in italiano con scienza collaborativa, scienza partecipativa, scienza diffusa, scienza di tutti, ed è uno dei pilastri della scienza aperta, promossa dall’Unione europea nell’ambito di Horizon Europe con l’obiettivo di costruire conoscenza condivisa e democratica. La costruzione partecipata della conoscenza può essere un processo entusiasmante, sia per chi la ricerca è abituato a guardarla da lontano – magari con un po’ di riverenza, se non di sospetto – sia per chi ne ha fatto la propria professione, e rischia di scoprirsi, presto o tardi, in una bolla che rende via via più ovattati gli scambi con la realtà e con la comunità civile. Entusiasmante non tanto per gli esiti, che pure possono essere sorprendenti, quanto perché la conoscenza è resa accessibile, comunicata e condivisa sin dalla sua genesi. L’inclusione non è un suo pregio, è il suo punto di forza.
“La citizen science è la partecipazione volontaria di scienziati non professionisti alla ricerca e all’innovazione”.
Anche… di un sommelier?
Perché no?
Raccontiamo qui un’esperienza (che ha prodotto tra l’altro due tesi di laurea), che ha visto operare fianco a fianco l’Università del Salento, con il suo corso di laurea in Viticoltura ed Enologia, e AIS Puglia, con l’obiettivo di condividere un percorso parziale e senz’altro migliorabile di scienza partecipativa e restituire il gruzzolo di conoscenza racimolata, che chiede di essere condivisa.