Ormai lo sappiamo: i “paralleli del vino” esplorati fino a oggi o che ci accingiamo a scoprire sono molto più che asettici riferimenti o algidi anelli immaginari che ci dicono dove ci troviamo sulla terra. E a ogni viaggio ci sorprendiamo ad ammirare delle sorte di puzzle complessi e colorati: volti e anime, parcelle di suolo e vitigni, progetti e storie. Il nostro obiettivo manifesto è quello di capire quanto le vicende di uomini e vini siano influenzate dall’appartenenza alla medesima latitudine, e quanto essa riesca a segnarle nel profondo; in realtà però, a volte finiamo per credere che questo sia solo un pretesto per conoscere mondi affascinanti, scoprire aneddoti nuovi, lasciarci andare con curiosità e meraviglia cullati dalle onde più generose, o spronati nel cammino dai più inebrianti profili di monti, valli e colline. Di certo, questa volta non resteremo delusi.
Il protagonista di oggi è il Parallelo 47, ed è intanto il limite nord per la Vitis vinifera, ovvero la latitudine oltre la quale – salvo microclimi legati a circostanze particolari o possibili futuri scenari connessi al riscaldamento climatico – la vite riesce a portare a maturazione completa il frutto, e a far sì che esso produca seme fertile. Le uve che utilizziamo per lo Champagne, all’altezza del 49° parallelo nord, non sono invero in contraddizione con quanto stiamo affermando: in quel caso parliamo infatti di “vini speciali”, la cui produzione è legata ad acini raccolti quando la maturazione non è completata, e la gradazione zuccherina corrisponde a un alcol potenziale di circa 10° da arricchire successivamente, con l’aggiunta di zuccheri per la seconda fermentazione. In vitivinicoltura, infatti, la maturazione “fisiologica” di solito non coincide esattamente con la maturazione “tecnologica”, che precede generalmente la prima ed è costituita dall’equilibrio ottimale tra acidi, zuccheri e composti fenolici rispetto al prodotto enologico che vogliamo ottenere.