I Romani lo consideravano il loro mare, di loro proprietà: “Mare nostrum”. Oggi il Mare Mediterraneo non può essere considerato così, è diventato un’interiorizzazione di pensiero, che agita anche dubbi, disagi e preoccupazioni, diventa, come scrive la Professoressa Marina Geat, dell’Università Roma Tre, il “mare textum, un oggetto spaziale per definizione complesso, ricco di fili che si intrecciano”. Questo intreccio, inteso anche come ponte tra l’antichità e la modernità, per traguardare non solo la storia e le storie a esso ascrivibili, ma ampliarlo in una simbologia culturale che abbraccia tutti gli elementi che hanno forgiato le civiltà che vi si affacciano, passando per arte e letteratura, canzoni e poesia, narrazioni e immagini.
Gli attori culturali che hanno tessuto il senso metaforico della mediterraneità, sono poeti, artisti, chansonnier e in loro stessi, nei loro lavori e nelle loro opere, non è mai mancato il riferimento a quel mare che si chiama vino che abbraccia, affacciandovisi, il “mare in mezzo alle terre”. Paul Valéry ebbe il suo spirito culturale completamente forgiato, nella sua gioventù, tra Sète e Genova e nell’opera Il Cimitero Marino (1920) interpreta il mare quasi come una confluenza organolettica, a sembrare burrascosa, di un vino. “Come il frutto si scioglie in godimento, / Come in delizia cambia la sua assenza, / Dentro una bocca in cui la forma muore, / Così qui annuso il mio futuro fumo, / E il cielo canta all’anima consunta, Le rive che si cambiano in rumore”. E quel frutto che si scioglie in godimento è l’essenza profumata di mora di gelso e di gelatina di cassis, dal carattere fumé di tabacco biondo e di garrigue, con sottofondo di lavanda e pepe in grani, che cesella la deliziosa complessità del Pic Saint Loup Les Glorieuses di Clos Marie. In bocca la potenza “burrascosa” del syrah e del grenache, la loro “forma liquida”, muore, estinguendosi in un’eutanasia tannicamente vellutata con ricamo finemente fresco e chiusura durevole per spezie e frutta nera.