“Come Chagall, vorrei cogliere questa terra
Dentro l’immobile occhio del bue.
Non un lento carosello di immagini,
Una raggiera di nostalgie: soltanto
Queste nuvole accagliate,
I corvi che discendono lenti;
E le stoppie bruciate, i radi alberi,
Che s’incidono come filigrane.
Un miope specchio di pena, un greve destino
Di piogge: tanto lontana è l’estate
Che qui distese la sua calda nudità
Squamosa di luce – e tanto diverso
L’annuncio dell’autunno,
Senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose.
S’incrina, se il flauto di canna
Tenta vena di suono: e una fonda paura dirama
Gli antichi a questa luce non risero,
Strozzata dalle nuvole, che geme
Sui prati stenti, sui greti aspri,
Nell’occhio melmoso delle fonti;
Le ninfe inseguite
Qui non si nascosero agli dèi; gli alberi
Non nutrirono frutti agli eroi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita”
Leonardo Sciascia scriveva così della sua Sicilia.
Utilizzerò spesso dipinti scritti dei maestri Siciliani per delineare con pochi tratti l’immagine statica ed estatica di questo meraviglioso angolo di mondo. Prendere in prestito le parole dei grandi poeti, da un lato può sicuramente risultare un’abile furberia ma il motivo per cui è importante per me attingere dai loro scritti è duplice: in primis, iverenza nei confronti di un territorio dove forse “troppo” è termine assolutistico capace di descriverlo, troppo bello, troppo graffiante, troppo violento, troppo contraddittorio, troppo profumato, troppo generoso, troppo brutale, troppo ricco…
La poesia allora mi sarà d’aiuto a ricercare il dono della sintesi senza perderne gocce di significato.
Il secondo motivo è che citare l’incredibile moltitudine di penne siciliane rafforza e sottolinea l’estrema passione che permea le sue terre, in ogni sua forma.