L’indomabile.

Massimo Zanichelli

Il segreto è nel terreno: in quelle “grave” del Piave, cioè in quei terreni ghiaiosi, in quegli antichi greti, in quelle golene tra il fiume e i suoi argini, dove si coltivano le vigne, e dove maturano le uve sotto un sole ardente, nell’aria del mare vicino.
Mario Soldati, Vino al vino

Scende dalle Alpi Carniche, attraversa il Cadore e la Val Belluna, fa un’ampia ansa dopo Ponte nelle Alpi aggirando le colline valdobbiadenesi per scorrere lungo la pianura trevigiana e terminare la sua corsa nell’Adriatico all’altezza di Cortellazzo. È il Piave, il fiume Sacro alla Patria (dopo la Grande Guerra il suo nome perse il genere femminile – la Piave – a vantaggio di quello maschile), che dà i natali a una vasta denominazione d’origine nata nel 1971: cinquanta comuni della provincia trevigiana e dodici di quella veneziana che dal Montello arrivano ai confini con il Friuli e dalla zona di Conegliano alla laguna veneziana. È una fertile pianura vitata che si estende per più di 7600 ettari e alterna suoli sciolti e drenanti di natura ghiaioso-sabbiosa e terreni più argillosi e strutturati. Il mormorio “calmo e placido” del fiume mal però si attaglia al carattere pugnace dell’autoctono Raboso, un rosso indomito dal tannino feroce e dall’acidità tagliente. Proviene dal vitigno raboso Piave, da non confondere con il raboso veronese, peraltro presente sul territorio, più spargolo e meno irruento (ha poco a che spartire con la provincia di Verona, pare che la sua origine si debba a un tale di nome Veronesi): gli ettari del primo sono 464, quelli del secondo 174 per totale di 638 (nel 1970 erano dieci volte tanto), meno di un decimo della superficie complessiva. L’etimo dialettale rabioso tradisce tutto il temperamento (una volta si diceva che per bere un bicchiere di Raboso bisognava essere in tre: il primo convinceva il secondo a berlo mentre il terzo lo doveva sorreggere) di un vitigno tra i più tardivi (si vendemmia tra la fine di ottobre e la metà di novembre) ed eclettici (genera vini spumanti, rossi e passiti, prerogativa rara per un’uva nera). Il suo terroir d’elezione è nei terreni alluvionali, ciottolosi e siccitosi dei greti dell’alto Piave e il suo sistema di allevamento ideale è nelle storiche, maestose bellussere che ancora sopravvivono nel territorio (80 ettari, di cui 76 a raboso Piave, dei 600 totali), ovvero quegli impianti a raggiera, ideati nel 1882 dai fratelli Antonio e Girolamo Bellussi a Tezze di Piave, che hanno resistito alle “quattro” guerre (la fillossera, la Prima, la Seconda e gli espianti degli anni Ottanta), che un tempo venivano maritate alle piante di gelso per la bachicoltura e che preservano le uve dalle gelate e dalla peronospora. Oltre alla Doc Piave Raboso esiste dal 2010 la Docg Malanotte del Piave, dal nome del borgo storico di Tezze di Piave, che non limita l’area di produzione né il taglio con il raboso veronese (fino a massimo del 30%), ma impone l’appassimento delle uve (dal 15% a 30%) per temperare il carattere irruento di un vino localmente soprannominato “l’indomabile”.

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