Uno dei miti identitari, forse il più noto, sul quale si sono fondate le fortune di Venezia, era quello legato al vino. Venezia intuisce che è necessario trasformare il vino da un genere alimentare in un oggetto di culto, in un’icona e per questo carica i vini del Mediterraneo orientale di valori laici, trasformandoli in una moda, in un rimedio per il corpo e per lo spirito in un’Europa afflitta dalle carestie e dalla peste nera per le conseguenze della “piccola glaciazione”. Adotta i più efficaci metodi della comunicazione contemporanea, valorizza il senso dell’origine, usando il nome del luogo per commercializzarlo, novità assoluta in un’epoca nella quale i vini erano designati con indicazioni molto generiche. Offre ai consumatori una tipologia di vino allora sconosciuta in Occidente, dolce e aromatico. Venezia coglie le opportunità che gli sono offerte da alcuni aspetti di quella fase del Medioevo: lo sviluppo delle città (dove era concentrato il consumo di vino), soprattutto nel nord Europa, e la crescente domanda di vino, di un particolare tipo di vino. Aspetti questi drammaticamente posti all’attenzione dell’Europa, dal raffreddamento del clima che non consentiva il raggiungimento di un livello di maturità delle uve necessario per garantire la durata dei vini europei. Le fortune mercantili della malvasia subiscono un tracollo quando Venezia sottovaluta le ricadute sull’economia europea della scoperta dell’America e della conseguente apertura dei porti atlantici al commercio olandese e inglese. Ma non solo, anche il quadro politico era in forte evoluzione, con la nascita di nuovi assetti istituzionali e nuove alleanze. La caduta di Candia, avvenuta nel 1669, comportò per Venezia un’ulteriore perdita nel traffico commerciale con il Levante, dove la concorrenza inglese e olandese cominciava farsi massiccia in particolare sul mercato della malvasia e delle spezie. Questo costringe i veneziani a spostare la produzione della malvasia in luoghi più vicini, rappresentati dai territori posti sui due lati del grande fiordo adriatico, ma comunque la produzione e il commercio dei vini dolci si sposta dal Mediterraneo all’Atlantico e Venezia perde i mercati dell’Europa settentrionale. Inoltre, sottovalutò alle soglie della “rivoluzione delle bevande”, il ruolo che avrebbe avuto lo “spirito di vino”, l’alcol prodotto dalla distillazione del vino, nella creazione dei vini fortificati e dei mosti mutizzati. Ai vini prodotti “alla moda di Venezia” nelle regioni orientali del Mediterraneo si sostituiscono quelli prodotti “alla moda inglese”, frutto dell’alcolizzazione dei mosti-vini. La crisi di Venezia e il successo mercantile dei vini atlantici favorisce la produzione di vini dolci anche in molte regioni continentali. Le date dei primi riscontri documentati (contratti commerciali, citazioni letterarie, etichette, presenza nei menu) sono tutte riferite tra il 1600 ed il 1700: Malaga 1618, Tokaji 1641, Porto 1675, in Renania a partire dal 1687, Sauternes 1774 e nell’Anjou, con le uve di chenin dal 1782. Il 17 ottobre del 1797 Venezia perde la sua indipendenza per opera delle truppe francesi di Napoleone, che entrano a San Marco e termina così la storia della Repubblica.
