Bertagna: una questione di terra, famiglia e caparbietà

Il Montevolpe rosso è uno dei vini più premiati nella storia delle Rose Camune Oro. Genuino e immediato, ricco e complesso, come Gianfranco Bertagna

PAOLO VALENTE

Sono dolci le colline moreniche create dall’antico ghiacciaio che ha scavato il lago di Garda e che formano la cintura, ad anfiteatro, che cinge le terre subito sotto il bacino, a cavallo tra le province di Brescia, Mantova e Verona. Sono dolci e intervallate da piccoli pianori; rendono vario e rilassante il paesaggio.
Qui la viticoltura ha origini antiche, forse una decina di secoli. Fino agli anni ’70 del Novecento in questa area trovavano dimora praticamente solo vigneti. La zona è sempre stata siccitosa, le piogge sono limitate e in estate nemmeno l’erba riesce a essere verde. La vite, con la sua capacità di resistenza alla carenza di acqua ha sfamato per decenni, le popolazioni. Si coltivava il vigneto e si portavano le uve alla cantina sociale di Ponte sul Mincio.
Poi, nel 1973, arriva l’irrigazione. E la coltivazione della vite viene soppiantata da quella cerealicola cui si affianca l’allevamento, di mucche in particolare. La vigna rimane solo nelle zone più alte delle colline dove è difficile coltivare altro. I nuovi contadini-allevatori riescono a sostenere le famiglie, anche con solo una decina di ettari e qualche mucca nella stalla. Ma poi, si sa, le cose cambiano ancora e le bestie e la poca terra non bastano più. Il contadino deve decidere, deve specializzarsi: vigna o vacche? Era la fine degli anni ’80 e avere gli animali significava anche fare tanti sacrifici, non avere mai un giorno libero, seguire il loro calendario e i loro orari. La vigna, quindi, ritorna come una buona alternativa. E si riprende lo spazio che aveva abbandonato; grazie anche al cambio generazionale si passa da una logica di produzione di quantità a una produzione di qualità.