COTEAUX-CHAMPENOIS La Champagne tra storia, nostalgia e futuro Oggi rappresentano una nicchia di mercato portata avanti più per tradizione che per business, ma fino a metà Ottocento i vini tranquilli erano ancora i più prodotti SAMUEL COGLIATI Sì, la Champagne produce vini fermi. Certo, è grazie ai suoi spumanti metodo classico che la più settentrionale delle regioni viticole francesi è osannata nel mondo intero e rappresenta uno dei sogni più bramosamente custoditi di ogni appassionato di vino. Un patrimonio effervescente da 300 milioni di bottiglie vendute e 4,2 miliardi di euro di giro d’affari ogni anno, cifre che dànno il capogiro. Un patrimonio così consolidato da travalicare, nell’immaginario collettivo, il legame tra origine geografica, tipologia e denominazione vinicola. L’equazione non avviene infatti tra il nome più altisonante del pianeta-vino e un metodo produttivo né un luogo di provenienza; semmai tra un marchio e l’idea stessa del lusso fattosi bevanda. L’antica provincia di Reims, Troyes ed Épernay non possiede tuttavia una storia solo spumantistica. Anzi, proprio come altre regioni, a iniziare dalla vicina Borgogna, per secoli ha prodotto essenzialmente vini tranquilli, soprattutto rossi. Di questo passato glorioso – per quanto ignoto ai più – la Champagne conserva una traccia anche nella sua enografia contemporanea, con una riservata a bianchi, rosati e rossi: Coteaux-Champenois (all’incirca “Colli della Champagne”). Si tratta di una denominazione d’origine quasi sconosciuta e assai poco utilizzata, ma molto significativa da vari punti di vista. Sul piano storico è la testimonianza di prestigiosi trascorsi e di una continuità produttiva. Sul piano gustativo è la prova tangibile di una peculiare espressività dei suoi vini, oltre che la cartina di tornasole della spumantistica. Sul piano produttivo è una vera sfida tecnica, un motivo di distinzione e di orgoglio, nonché una scommessa per il presente e per il futuro. Ripercorriamo tutti questi aspetti. appellation d’origine contrôlée Teoricamente la medesima area geografica dell’Aoc Champagne, vale a dire 34.000 ettari, potrebbe essere utilizzata per produrre anche vini fermi dell’Aoc Coteaux- Champenois UNA STORIA BLASONATA Nel Medioevo la Champagne era già nota per i suoi vini detti della Montagne e della Rivière, pressappoco le attuali Montagne de Reims e Vallée de la Marne. Non erano però spumanti. Fino al Seicento inoltrato la produzione riguardava vini rossi; solo a partire appunto da quel secolo iniziarono a circolare alcuni bianchi, i più apprezzati dei quali erano ottenuti da uve nere, antenate degli attuali pinot noir e meunier. Se i vini che oggi chiamiamo blancs de noirs incarnarono una svolta nello sviluppo della spumantizzazione – fenomeno ancora poco più che casuale fino al Settecento –, quelli rossi continuarono a rappresentare a lungo il grosso della produzione regionale. Erano così quotati negli ambienti d’élite da prevalere nella tenzone che li oppose ai cugini borgognoni, quanto meno stando alle fonti dell’epoca. A metà Ottocento la produzione pendeva ancora a favore di circa il 60% di vini fermi, contro una crescente minoranza – seppur altamente significativa, specie sul piano reddituale – di champagne. Fu l’industrializzazione della spumantistica a invertire in quei decenni i rapporti di forza, imponendo una volta per tutte l’effervescenza quale marcatore culturale e identitario della Champagne. Le innovazioni tecniche, economiche e sociali del Secondo Impero napoleonico segnarono il declino definitivo dei vini tranquilli, che non riuscivano più a contrastare la concorrenza di altre regioni più favorite dal clima. Nondimeno, forse per onore, forse per tradizionalismo, la Champagne non abbandona mai del tutto questa nicchia di mercato. Quando nel 1936 nascono le prime appellations d’origine contrôlée, accanto alla Aoc Champagne vede la luce anche una Aoc “Vin Originaire de la Champagne Viticole”, destinata ai vini non effervescenti. Nel 1953 il suo nome è modificato in “Vin Nature de la Champagne”; nel 1974 una nuova variazione, con la nascita dell’attuale denominazione Coteaux-Champenois. A dispetto di una moda passeggera che, tra anni Settanta e Ottanta, ritaglia qualche sprazzo di notorietà a favore dei rossi (specie quelli di Bouzy, Grand cru della Montagne de Reims), la produzione non decolla mai. Si stima che i volumi non abbiano mai superato le 100.000 bottiglie l’anno! LA DENOMINAZIONE si estende sulla medesima area geografica dell’Aoc Champagne, vale a dire teoricamente oltre 34.000 ettari. Di fatto però solo una manciata di ettari è rivendicata ogni anno. Quando le uve provengono da un singolo comune è possibile indicarne il nome in etichetta, aggiungendolo a quello dell’ L’Aoc Coteaux-Champenois appellation. Tre le possibilità cromatiche: vino rosso, vino bianco, vino rosato. Per tutte e tre queste varianti è possibile utilizzare e combinare ad libitum tutti i vitigni regionali: pinot noir, chardonnay, meunier, pinot gris, arbanne, pinot blanc, petit meslier. Le rese massime autorizzate sono di 12.400 kg/ha e, in deroga, di 15.500 kg/ha. La vendemmia è obbligatoriamente manuale. È obbligatorio un affinamento minimo fino al 15 agosto seguente la vendemmia e non è consentita la commercializzazione prima del 15 ottobre. Il tenore alcolico naturale minimo è di 9%. I vini devono essere secchi (zuccheri residui < 3 g/l). Vigneti a Baroville, comune nel dipartimento dell’Aube Il Rosé-des-Riceys Nel comune dei Riceys (Côte des Bar, Aube), che vanta il vigneto più esteso di tutta la Champagne, i produttori godono di uno speciale privilegio: poter rivendicare non due, bensì tre appellations d’origine contrôlée. Oltre alle denominazioni Champagne e Coteaux-Champenois è infatti possibile produrre il rosé-des-riceys, vino rosato fermo dalle antiche vicende. Qui la vite era certamente presente già nel VIII secolo, quando i Riceys sottostavano al dominio dei signori di Tonnerre, vassalli del duca di Borgogna. Un millennio più tardi i vini locali erano ampiamente esportati verso le Fiandre, il nord della Francia, la regione di Parigi. La fillossera, le guerre, l’esodo rurale, il declino economico dell’Aube, le difficili condizioni climatiche sono tutti fattori che, tra Otto e Novecento, hanno però intralciato la produzione, relegando il rosé locale nel dimenticatoio. Per fortuna un tenace manipolo di vignerons si è battuto per tutelare quest’eredità, riuscendo a guadagnarsi nel 1947 l’appellation contrôlée. Oggi la produzione del rosé-desriceys è teoricamente possibile su circa 350 ettari vitati del comune (solo la parte migliore del terroir), ma ogni anno soltanto qualche decina di ettari è effettivamente utilizzata. La produzione media dell’ultimo decennio è infatti di appena 41.075 bottiglie annue, valore stabile anche se consideriamo il decennio precedente, a riprova di una caparbia volontà di difendere una denominazione minuscola ma orgogliosa e originale. In compenso questo dato oscilla sensibilmente da una vendemmia all’altra (solo 10.349 bottiglie nel 2016, ben 71.402 nel 2005), a dimostrazione delle condizioni climatiche “limite” nelle quali nasce questo vino. Diversamente dai coteaux-champenois, il rosé-desriceys è infatti obbligatoriamente millesimato, il che impedisce l’assemblaggio di annate diverse per ovviare ad asperità meteorologiche. I vini sono secchi (zuccheri residui < 3 g/l) e affinati quanto meno fino al 1° luglio dopo la vendemmia. L’alcol naturale è almeno il 10%. Il terroir prevalente è di tipo argilloso-calcareo, con un sottosuolo di marne kimmeridgiane. L’unico vitigno autorizzato è il pinot nero, vinificato per breve macerazione (pochi giorni). Una degustazione orizzontale dell’Aoc mostra una produzione tanto interessante quanto frustrante. In ogni rosé-des-riceys si coglie infatti in maniera nitida il potenziale che deriva da un illuminante incontro tra un vitigno d’eccezione, un terroir idoneo e una tipologia insidiosa ma affascinante. Quando la combinazione tra questi elementi è valorizzata da una mano sapiente e sensibile il risultato è commovente. Vari rosé sono tuttavia palesemente frenati da un approccio titubante o inconsistente, ostaggio della preoccupazione che classicamente attanaglia i “rosatisti”: individuare una materia prima adeguata e cogliere l’istante chiave nell’estrazione, quel breve momento esatto in cui il rapporto tra colore, aroma e struttura raggiunge un equilibrio magico. È sicuramente un mandato improbo, forse la più complicata tra tutte le vinificazioni, anche perché i sotterfugi correttivi enologici, tentazione sempre in agguato, anziché aiutare in genere intralciano l’espressione del potenziale. Nondimeno i Riceys hanno l’onere di preservare e coltivare questo vero e proprio privilegio: aver salvato un cerasuolo storicamente e gustativamente molto significativo. Alcuni produttori ci riescono con maestria. Tra tutti svettano Marie e Olivier Horiot, i cui vini di classe, finezza e sostanza, sono tagliati per l’invecchiamento: una vera gioia. Fra gli altri produttori meritevoli di una citazione anche ad esempio i domaines Bauser, Guy de Forez, Morel père et fils, Morize père et fils. UN PRESENTE CHE GUARDA AVANTI Quando quasi vent’anni fa iniziai a scandagliare il mondo della Champagne i coteaux-champenois erano una rarità assoluta, e soprattutto erano tenuti in scarsissima considerazione. Nello sguardo dei vignaioli stessi si leggeva chiaramente un sentimento di distanza da questa tipologia, un misto di sfiducia, perplessità e talora quasi di sufficienza. Complici probabilmente i mutamenti climatici, che hanno portato vendemmie anticipate con maturazioni più convincenti e meno travagliate delle uve, il quadro e le prospettive sono andati mutando. Non che i volumi vinificati siano cresciuti di molto – gli ultimi dati stimano la produzione in meno di 150.000 bottiglie, ossia lo 0,05% della produzione complessiva della Champagne! –, ma la considerazione del pubblico e di conseguenza dei vignerons si è evoluta. Nella gamma di numerose aziende che prima non sembravano neanche voler vagliarne l’ipotesi si sono affacciate una o più cuvée di coteaux-champenois. Oggi la quota relativa ai vini bianchi pare aumentare, sradicando la storica prevalenza dei rossi. rosati rimangono invece una realtà talmente marginale da risultare pressoché trascurabile (eccezion fatta per il Rosédes- Riceys – vedi riquadro). È dunque probabilmente cambiata la percezione interna di questa tipologia. Per quanto certi domaines, soprattutto alcuni piccoli , si stiano spesso sforzando di declinare una parte della propria produzione di champagne su scala più locale, di cru o addirittura di vigneto, un vino fermo ricalca e restituisce ancor meglio l’aspettativa di tanta parte del mondo enoico contemporaneo di valorizzare un’interpretazione enografica precisa, quasi chirurgica, molto territoriale. Tanto più che il modello di riferimento è la vicinissima Borgogna, che ragiona in termini di cru e , e che condivide con la Champagne alcuni vitigni: pinot noir e chardonnay su tutti. I coteaux-champenois diventano dunque lo strumento élitario ma elettivo di una lettura territoriale del vino, in una regione ancorata da secoli al concetto di grande marca. Produrre un buon vino tranquillo in Champagne è però difficile e meno redditizio. Non gode della stessa notorietà di uno champagne, cui basta il nome per imporsi sul mercato. Richiede terroir di alto valore e più lavoro in vigna, per ottenere uve di qualità superiore. Al contrario, poiché si basa sulla leggerezza e sull’acidità, per lo spumante si possono infatti utilizzare uve più diluite, provenienti da rese maggiori. Quindi produrre di più. In pratica i coteaux hanno quasi solo svantaggi. Perché allora un vignaiolo dovrebbe sacrificare tempo, energie e quantitativi per ottenere un vino meno quotato, meno abbondante, e che difficilmente potrà vendere a un prezzo più alto? Forse per marketing e per immagine, ma soprattutto per tradizione, passione e orgoglio. récoltants climats Alcuni produttori La produzione dei coteaux-champenois è più affare dei piccoli che delle grandi . Tra queste ultime solo Bollinger può rivendicare un rosso prodotto con continuità, la celebre “Côte aux Enfants” di Aÿ. Moët & Chandon ha smesso da tempo di produrre il suo “Saran” blanc de blancs. Di recente, invece, Louis Roederer e Charles Heidsieck hanno iniziato a misurarsi con questa sfida, producendo delle micro-cuvée. Assai diverso e più significativo il panorama tra i piccoli . L’etichetta più celebre – e ricercata – è la “Cuvée des Grands Côtés” di , 100% pinot noir da vigne di Ambonnay. Un rosso profondo, potente, strutturato, ambizioso e levigato, da fare invecchiare, di palese ispirazione borgognona (e di statura coerente con essa). Nella Montagne de Reims occorre segnalare quanto meno altri quattro produttori. Benoît Lahaye è il punto di riferimento a Bouzy. Il suo rosso (100% pinot noir) delicato e ficcante ha la stessa matrice stilistica degli champagne: minimalismo al servizio di una raffinata asciuttezza. Nello stesso comune si distingue per un rosso floreale e varietale, nonché per un introvabile bouzy rosé “Clos Barnaut”, speziato e originale. I fratelli (Ludes, versante nord) propongono un rosso di Ormes “Les Montées” tannico e robusto, assai incisivo e un po’ legnoso, da lasciare maturare. L’episodico ludes bianco è più irregolare. a Trépail si è fatto notare sin dai tardi anni Novanta per il suo rosso schietto e verace, di espressione selvaggia. Oggi produce soprattutto un bianco puro e goloso, tutto chardonnay, marcato dal rovere. Spostandosi nella Vallée de la Marne, l’attenzione va concentrata su , che da qualche anno sta producendo a Baslieuxsous- Châtillon un rosso e un bianco (de noirs), entrambi denominati “Confiance”, raffinati, dotati personalità e definizione. Incoraggianti anche le prove di Mélanie e Benoît (OEuilly), con il loro “Les Crayons”, ottenuto da pinot noir in bianco: brioso, vivo, fresco e gustosamente esile. Il vicino domaine (Mareuille- Port) si concentra sul meunier per produrre il rosso “La Croix Joly”; il 2018 è aromatico e intenso, benché legnoso; va atteso alcuni anni affinché esprima maggiore armonia. Il bianco “Les Vignes de Mizy” (chardonnay) ha con l’annata 2015 un timbro classico e accurato, croccante e molto preciso, di evocazione borgognona, ma con una tensione tutta champenoise. All’estremità occidentale della Champagne Jérôme (Crouttes-sur- Marne) assembla meunier e pinot noir nella cuvée “BD’LP”, rosso franco e rugoso, molto libero e saporito, che illustra bene l’acida agilità champenoise. Tra le nuove leve, da seguire (Essômessur- Marne), il cui blanc de noirs “Cuvée Composition #1” è un felice esordio: gusto molto libero e spontaneo nonostante la presenza decisa del rovere, in una bocca tesa, assai fine e saporita. Perlomeno quattro i produttori da segnalare nell’Aube. a Ville-sur-Arce propone due varianti del suo rosso “Largillier”, pinot noir dall’omonimo vigneto. La versione diraspata è più vellutata e sinuosa; quella da uve intere è incisiva, terragna, a tratti quasi scorbutica. Marie e Olivier Horiot (Les Riceys) sfoderano una gamma seducente. Oltre al rosé-desriceys (vedi riquadro), sia il coteaux-champenois rosso sia quello bianco sono molto soavi, raffinati, territoriali e naturali nella beva. récoltants maisons vignerons Égly-Ouriet Barnaut Bérêche David Léclapart Franck Pascal Tarlant Dehours Bourgeois-Diaz Jérôme Lefèvre Jérôme Coessens La raccomandabile maison (Courteron) ha preso a confezionare coteaux di tre colori. Hanno in comune una nitida veracità, senza compromessi, e un’evidente padronanza stilistica fatta di leggerezza e spontaneità espressiva. Convincenti! Fleury Chiudiamo con la maison (Urville), rarissimo esempio di négoce della Côte des Bar, che propone ottimi coteaux da uve di proprietà: il rosso “Permission” è autentico, squillante, varietale senza fronzoli; il bianco “Perpétuité” (assemblaggio di varie annate) è preciso, gustoso, fine e delicato. Da segnalare anche l’unicità della cuvée “Trop m’en faut”, ottenuta da pinot grigio (detto “fromenteau”) 100%. Drappier Égly-Ouriet Barnaut Bourgeois-Diaz Jérôme Coessens UN GUSTO SINGOLARE Dal punto di vista dell’acquirente e del degustatore, quali possono essere le motivazioni per acquistare un coteaux-champenois, tenuto conto anche del fatto che si tratta quasi sempre di bottiglie costose? Per curiosità e cultura enoica, naturalmente, ma anche per motivi meno speculativi. I coteaux-champenois mostrano in effetti una fisionomia gusto-olfattiva peculiare, costruita sulla leggiadria, una virtù troppo spesso trascurata o sottovalutata nel mondo del vino. Possiedono una gradazione alcolica contenuta, dunque una spiccata bevibilità, e in genere un profilo acido rilevante. Quando a questo binomio si aggiungono una mineralità apprezzabile e un’elegante dotazione aromatica, i vini assurgono a una minuta ma ben fondata complessità. Questo li rende per un verso raffinati, per altro verso capaci di un’insospettabile evoluzione. Diversamente da quanto si potrebbe credere, infatti, la stragrande maggioranza dei coteaux-champenois va lasciata invecchiare alcuni anni prima di raggiungere il suo espressivo. Infine, degustare un coteaux aiuta a comprendere meglio lo champagne, ovvero le motivazioni storiche che hanno indotto la regione a scommettere in modo vincente sulla spumantizzazione. optimum La produzione annuale di vini fermi in Champagne è meno di 150.000 bottiglie, ossia lo 0,05% della produzione complessiva