L’aglianico del Vulture tra storia e re-generation

Con il suo carattere nobile e fortemente identitario, l’Aglianico del Vulture è un perfetto viatico per superare lo scoglio ancora pionieristico verso lo “scrigno” Basilicata, che racchiude un patrimonio enogastronomico, culturale e naturalistico di enorme valore

ANITA CROCI

Potremmo serenamente abdicare l’epiteto di Barolo del sud, tra l’altro attribuito all’aglianico indistintamente dal Vulture al Taurasi al Taburno, perché il paragone non piace a nessuno dei rispettivi campanilismi, giustamente fieri ciascuno della propria identità. Lo evochiamo solo di sfuggita, al solo fine di evidenziare da subito anche ai meno pratici della materia aglianico, quale nobile argomento andiamo ad affrontare. Perché, se il riferimento piemontese ha fama e profilo consolidati ovunque nel mondo si parli di vino, più confusione si fa con l’aglianico e con le sue produzioni campane e lucana, significativamente diverse tra loro per aspetti ambientali e culturali. Le denominazioni di riferimento per il vitigno sono infatti tre: in Campania, le Docg Taurasi e Aglianico del Taburno, rispettivamente in Irpinia e nel beneventano; in Basilicata, la Doc Aglianico del Vulture, che nella versione Superiore si avvale della Docg.