Il cacciatore di vini rari (e buoni)
Il regno di Pietro Sangiorgio, neo Miglior Sommelier della Lombardia, è uno scrigno di perle rare, di bottiglie ricercate e custodite con cura, pronte per essere vendute a collezionisti ma anche a semplici appassionati. L’importante è che amino il bello, e il buono naturalmente
di ALESSANDRO FRANCESCHINI
Migliaia di bottiglie, cercate un po’ ovunque lungo lo Stivale e all’estero, nascoste nelle cantine di appassionati o direttamente in quelle di produttori. Non solo vini, ma anche distillati e persino vecchi amari con svariati lustri sulle spalle, ma ancora in forma e pronti a stupire chi si avvicina con curiosità e apertura mentale. Va a caccia di tutto questo, ogni giorno, Pietro Sangiorgio, classe 1995 e da qualche mese Miglior Sommelier di Lombardia. Ci ha aperto la sua “creatura”, un ufficio-caveau inaugurato qualche anno fa in quel di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, con l’orgoglio e la passione che ha solo chi ama profondamente quello che fa.
«C’è troppa cultura della performance. Il vino va inserito nel contesto storico, abbracciando la sua totalità, a prescindere dal giudizio sulla singola bottiglia» ci spiega mentre adagiamo il microfono sul tavolo e lui apre un Madeira del 1977, giusto per rendere la chiacchierata ancora più piacevole e farci capire cosa lo ha spinto a dedicare anima e cuore al mondo del vino.
Nato e cresciuto a Merate, in provincia di Lecco, dopo il liceo scientifico e una grande passione per la letteratura e la poesia, rimane folgorato dal mondo enogastronomico a 16 anni. I suoi genitori, a causa della sua anima un po’ indisciplinata, lo mandano in punizione in Valle d’Aosta a fare la stagione estiva come cameriere. «Mi divertii come un matto e scoprii un mondo che mi piaceva moltissimo perché vedevo la possibilità di comunicare della bellezza, diversa nella forma dalla letteratura, ma nella sostanza identica, poiché si trattava sempre di comunicare un’emozione».
I corsi per diventare sommelier – il primo a Lecco, il secondo e il terzo a Milano – li porta avanti e li conclude giovanissimo. Poi, ormai definitivamente innamorato del vino, si iscrive a enologia a Milano in Statale, anche se capisce subito che la vita produttiva non è forse proprio la sua strada. Ma la soluzione arriverà poco dopo. Insieme a Giacomo Satta, figlio di Michele Satta, noto produttore bolgherese, fa un viaggio con altri vigneron nostrani in giro per cantine in Francia prima di andare al Winexpo di Bordeaux. Tante visite, tante verticali, poi l’assaggio di uno Chevalier-Montrachet Grand Cru 2000 di Jean Chartron. «Un’epifania. È stata la prima esperienza nella quale ho colto l’importanza del fattore tempo nel vino. Sono tornato a casa con l’idea che dovevo capirne di più».