EDITORIALE


La centralità misconosciuta dell’agroalimentare italiano

“L’agroalimentare dovrebbe essere studiato dalle primarie sino alle università, perché significa studiare cosa siamo stati, cosa siamo e cosa potremmo essere”. Durante la chiacchierata che Giovanna Prandini ci ha concesso qualche tempo fa a “casa sua”, tra i vigneti della Lugana che cingono l’azienda di famiglia, per l’intervista che apre il nostro speciale di questo numero, dedicato a Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, più volte si è soffermata sul ruolo centrale che l’agroalimentare dovrebbe recitare nel nostro Paese, e che invece non riesce a conquistare. L’imprenditrice, in questo momento al timone anche di Ascovilo, ha sottolineato l’assenza di questo comparto da praticamente tutti i programmi didattici presenti nelle scuole, nonostante l’incredibile ruolo culturale che si porta in dote, in un paese come il nostro dove la biodiversità in ambito agricolo è uno degli aspetti più evidenti appena si esce di casa o si percorre qualche chilometro in autostrada. Neanche il peso economico che ha ormai raggiunto questo comparto – è bene ricordare come la somma di tutte le componenti della filiera agroalimentare supera di slancio un valore pari al 15% del PIL – riesce a fargli strappare qualche prima pagina o quanto meno una rubrica fissa tra le pagine economiche dei più importanti quotidiani nazionali, se non nel caso di scandali. Eppure, durante il periodo più duro del Covid, nel 2020, l’agroalimentare è stata l’unica voce ad aver continuato a guadagnare punti percentuali, tanto che l’anno scorso ha persino stabilito un record storico superando i 60 miliardi di euro, con il vino tra le voci più importanti. Evidentemente non è sufficiente, tanto che, come ci ha spiegato ancora Giovanna Prandini, non è stato così immediato far includere anche l’enogastronomia tra i programmi culturali che le due città lombarde si accingevano a preparare quest’anno all’interno del calendario degli eventi del progetto Capitale Italiana della Cultura.
C’è ancora, evidentemente, molto da fare, nelle scuole così come all’interno di un po’ tutti gli ambiti nevralgici della cultura italiana, per cercare di tenere sempre accesi i riflettori su un patrimonio di inestimabile valore non solo economico, quanto culturale. E non si tratta tanto di sventolare la bandiera del “made in Italy” agroalimentare ad ogni occasione propizia, quanto di cominciare a comprenderne per bene i meccanismi e la centralità di questo settore all’interno del tessuto sociale italiano.


Alessandro Franceschini

Direttore Responsabile