Si può essere Berlucchi a modo proprio: quando nasci in una famiglia numerosa è il destino a scegliere per te la strada giusta. Pia Donata Berlucchi è
figlia di Antonio: suo nonno era quel Francesco che si innamorò perdutamente di Giustina, figlia del Conte Ignazio de Terzi Lana, proprietario della
Tenuta di Borgonato di Corte Franca, nel cuore della Franciacorta. Alla morte del Conte, Antonio, che era diventato un ingegnere esperto in dighe e
condotte per centrali idroelettriche, ricevette in eredità una parte dell’azienda. Oggi la Cantina è di proprietà di Pia Donata, Francesco, Gabriella,
Marcello e Roberto, che proseguono l’attività del padre Antonio. Rimasta orfana di papà ancora bambina (Antonio morì all’età di 57 anni), Pia Donata
cresce con la mamma, vedova a quarant’anni con cinque figli. Una famiglia numerosa, da mandare avanti con l’aiuto del figlio maggiore Francesco, già
allievo del Politecnico di Milano, senza accantonare la passione per la musica come pianista. «Erano gli anni in cui cadde la mezzadria» ci racconta Pia
Donata, «in quel momento si dovette decidere se vendere i terreni o se passare a una gestione imprenditoriale con operai agricoli. Mia mamma e mio
fratello maggiore tentarono l’impresa, e tutti i mezzadri rimasero con noi, trasformati in dipendenti con stipendio e contributi. Questa è la bellezza
della grande famiglia: non abbiamo licenziato nessuno, e nessuno è andato via. Ognuno faceva la sua parte».
C’è un grande senso di appartenenza alla comunità di Franciacorta nelle sue parole, un legame fortissimo che si è tradotto negli anni anche in sostegno
e aiuti concreti. Pia Donata parla della mamma con un amore profondo che gli anni non hanno scalfito, e la ricorda come un grande esempio di onestà,
educazione, gentilezza e cortesia. Sul concetto di gentilezza tornerà più volte nel corso del nostro incontro, sottolineando quanto possa rappresentare
per lei e per la sua famiglia un elemento portante. È dalla mamma che ha imparato che il valore non ha sesso. «È solo l’articolo a essere maschile»,
dice sorridendo. Pia Donata sembra non avere età, e quando ti aspetti risposte scontate, lei cambia sempre ritmo e prospettiva: «il segreto per non
invecchiare è stato l’amore per lo sci. Le mie rughe sul viso altro non sono che le valli delle mie discese sulle nevi dell’Alto Adige». Occhi azzurro
cielo di primavera, si muove con grazia ed eleganza nella Tenuta: veloce, perché è da una vita che non ha tempo da perdere: «credo nel rigore,
nell’educazione e nella puntualità. Prima di pretendere, dai, e non dimenticare di mettere sempre l’uomo al centro dell’universo». Gli occhi guizzano,
lo sguardo è attento, ama raccontarsi. È dotata di rara bellezza, eppure non smette di ironizzare sul profilo del suo naso: verrebbe da dire
aristocratico, così da ricordare il volto di tante donne famose, da Meryl Streep a Barbra Streisand. Quello che i più scambiano per un difetto estetico,
per Pia Donata è un punto di forza: una Cleopatra dei giorni nostri, fiera e consapevole del suo grande fascino. Equilibrio nelle sue parole e nei suoi
gesti, come la sua capacità di essere pragmatica e, al tempo stesso, visionaria e amante dell’arte e della letteratura. Tutto un gioco di proporzioni
che torna nella storia di famiglia, in quel loro essere “agricoli”, legati alla terra, e ingegneri: natura e razionalità, fuori e dentro il controllo.
Ammirazione e affetto sono i primi sentimenti che Pia Donata suscita: è sempre in azienda, la sua vita è lì. Age quod agis, le ripeteva la mamma: se non
vuoi fare qualcosa adesso, cambia il momento, vivi il tuo presente al meglio: e consigliava di mettere su l’acqua per il tè e di mangiare una fettina di
torta. Dolcezza come antidoto per le asperità della vita, dalla versione di greco alla grandine in vigna. Pia Donata di momenti ne ha cambiati tanti:
doveva fare il medico, ma poi ne ha sposato uno. Si è trovata immersa nella realtà aziendale forte di grande entusiasmo, formandosi sul campo anche
negli aspetti legati alla gestione economica. Metteva l’orgoglio da parte e cercava di imparare il più possibile, chiedendo e osservando: carta
assorbente degli eventi, dei ritmi delle stagioni, delle sensazioni dei vini. Nel vino c’è la sua storia: «la mia più grande soddisfazione è voltarmi
indietro e vedere cosa ho fatto. Non sono i premi, che non ricordo più, ma le persone ad aver fatto la differenza. Ho vissuto onestamente, e intorno
alla nostra azienda ho sviluppato una comunità che oggi ci è vicino con affetto e stima. Per me l’azienda è un coacervo di terra, stagioni, meraviglie
della natura, anime, affetti, sentimenti: un luogo dove, se c’è un dispiacere, tutti piangono, ma se c’è una gioia, tutti ridono».