Ora il whisky parla anche italiano

Non solo Scozia, Irlanda, Giappone o Stati Uniti. L’Italia muove i suoi primi passi nell’affascinante mondo del whisky con la forza di una passione antica e tutto l’entusiasmo dei pionieri. È un fenomeno recente, che ha mosso i primi passi in Alto Adige ma che oggi sta facendo capolino anche in altre regioni della penisola

di MAURIZIO MAESTRELLI
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Quella degli italiani, per il whisky, è una storia d’amore che dura da decenni. Grandi collezionisti, come Valentino Zagatti la cui collezione è finita oggi in un museo di Amsterdam, grandi selezionatori, come Silvano Samaroli solo per fare il nome sicuramente più famoso, rinomati importatori, come Armando Giovinetti i cui Macallan oggi strappano prezzi da capogiro. Alcuni autorevoli esperti affermano che il “single malt”, ovvero il whisky prodotto da una singola distilleria e da una distillazione discontinua, sia praticamente una “invenzione” tricolore, nata cioè dal desiderio, da parte di alcuni preveggenti importatori italiani, di imbottigliare il contenuto di una singola botte. Sia come sia, quello per il whisky è, come dicevamo, un amore vero e duraturo. Tuttavia in pochi avrebbero scommesso, quindici o vent’anni fa, che saremmo un giorno arrivati a parlare di whisky italiano nel senso di prodotto in Italia. Invece, sull’onda di analisi di mercato per le quali i volumi di whisky sono cresciuti dell’8% nel biennio 2021-2022, su previsioni future tutte orientate a un ulteriore trend di crescita, sulle notizie di nuove aperture e anche di riaccensione di alambicchi in Scozia e sulla rinnovata popolarità del whisky irlandese, ecco che alcuni italiani si sono lanciati nell’impresa. Potendo contare su materia prima − cereali di qualità − e know how − molti produttori di whisky tricolore sono infatti esperti distillatori di grappa potevano tardare ancora troppo ad arrivare sul mercato.