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Il mito del vino

Un compito tutt’altro che facile, quasi rischioso, quello che Michele A. Fino, ‒ professore all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e co-autore di “Gastronazionalismo” ‒, si assegna con “Non me la bevo ‒ Godersi il vino consapevolmente senza marketing né mode”

di CÉLINE DISSARD LAROCHE

In questo libro, l’autore, con certosina pazienza e solida competenza, si applica a destrutturare i discorsi sul vino, con una precisa opera di demistificazione delle parti più “tossiche” delle narrazioni, quelle che inquinano la consapevolezza del consumatore attraverso un misto di semplificazioni, manipolazioni, omissioni. Il mondo del vino, proprio per il capitale storico e valoriale enorme che porta con sé, si presta particolarmente alle distorsioni introdotte da questi “racconti tossici”, alle “tradizioni inventate” che si pretendono antiche ma che hanno recente origine e che, più verosimili che vere, tentano di affermare la propria continuità con il passato, per legittimare scelte politiche, industriali e commerciali contemporanee.
In una decina di precisi ed esaustivi capitoli, Fino smonta alcuni dei miti più clamorosi legati al mondo del vino, tra cui: “Il vino si è sempre fatto così…”.
Altra certezza: il vino “fa sangue”, contrasta il diabete, ha una funzione cardioprotettiva: se i danni provocati dal consumo di alcool non sono più da dimostrare scientificamente, solo una reale conoscenza dei rischi sulla salute induce un bere consapevole e il consumatore ha il diritto di essere messo in guardia rispetto a quei rischi.
E ancora: il vino prodotto secondo la tradizione contadina è migliore, non è corrotto dalle manipolazioni e dall’interventismo della moderna industria. Questo pensiero nostalgico è attribuito dall’autore a due giganti del la cultura enologica, Mario Soldati, che ha sempre assegnato una primazia ai “vini contadini” – prodotti senza interventi – e Luigi Veronelli, che ha rafforzato l’ideologia del vino “genuino” sul vino industriale. La, peraltro, presunta superiorità del vino “genuino” si salda con le attuali tendenze di mercato. Il libro evidenzia poi come il consumatore ‒ slegato dalle necessità alimentari ‒ vuole, attraverso il consumo di vino, accedere a esperienze estetiche ed esclusive. A partire da queste condizioni di mercato, l’autore ripercorre storia e motivazioni e chiarisce le differenze tra vini biodinamici, biologici e “naturali” nell’ottica di responsabilizzare il consumatore.
Interessante anche l’analisi delle modalità di costruzione e diffusione della conoscenza sul vino. Le identità territoriali e le relative scelte di marketing, la legislazione da cui dipendono le denominazioni e le modalità di etichettatura sono storicamente e culturalmente determinate ‒ spesso dipendono da conflitti commerciali e industriali. Il discorso di Fino al riguardo è dettagliato e didascalico. Conduce ed induce il “consumatore generico medio” a scelte di acquisto più consapevoli e informate.
“Non me la bevo”, insomma, non è solo un titolo ironico e azzeccato; letto come un racconto sulla cultura del vino diventa uno slogan programmatico, un consapevole piano d’azione, quasi un urlo di resistenza da pronunciare da soli ‒ o meglio insieme ‒, da chi vuole bere bene e meglio, ma soprattutto, consapevolmente.


NON ME LA BEVO
Godersi il vino consapevolmente senza marketing né mode
Michele A. Fino

© 2024 Mondadori Libri - 202 pagine
ISBN 9788804787594
19 €