I vini dolci non sono più al centro dei pensieri di molti vignaioli e ristoratori. Hanno perso centralità per diversi produttori che inalcuni casi ne stanno riducendo quantità e tipologie e, spesso, anche nelle carte dei vini occupano posizioni defilate. È possibile invertire questa tendenza?
C’è un futuro per i vini dolci? Sì, ma bisogna cambiare la loro proposta
di LEONARDO VALENTI
Siamo un Paese che produce vini dolci, in tutte le loro molteplici varianti, da nord a sud, e che vanta anche un’affascinante tradizione, in alcuni casi ultra secolare, legata a questi meravigliosi nettari, spesso dotati di profumi quasi inebrianti e ricchi di mille sfaccettature. Però, è inutile girarci intorno o far finta di niente: questa tipologia, purtroppo, è in crisi. E lo è anche da tempo. Non a caso molte delle varietà che una volta venivano utilizzate per la produzione di vini dolci, passiti o anche liquorosi, in molti areali è stata riconvertita anche per dare origine a vini bianchi secchi. Pensiamo al grillo, vitigno principe per la produzione di Marsala: ormai è stato dirottato, con un certo successo in molti casi, anche alla realizzazione di vini secchi, che vengono bevuti quindi in altri contesti e, soprattutto, che si rivolgono a fasce di mercato totalmente differenti da quelle alle quali invece va incontro questo storico e nobile liquoroso siciliano.
Attenzione, però: non dobbiamo pensare che questa crisi riguardi solo l’Italia. Anche in un territorio iconico e famoso in tutto il mondo come quello di Sauternes, il cui nome è indissolubilmente legato nell’immaginario collettivo, anche dei non esperti, alla produzione dei più famosi vini dolci del mondo, stanno cominciando a fare vini secchi, partendo dalla stessa base ampelografica, vale a dire sémillon e sauvignon blanc. E, anche nel caso dei Sauternes dolci, si sperimentano soluzioni differenti, come quella di utilizzarli per creare cocktail. Insomma, i produttori di vini dolci, appartenenti anche a storici distretti che hanno sempre avuto in questa tipologia il loro vino più importante e di punta, stanno cercando nuove strade: il lancio dell’Asti DOCG Secco qualche anno fa, in mezzo a mille polemiche, è forse uno degli esempi più eclatanti ai quali abbiamo assistito in Italia negli ultimi anni.
C’è poi da considerare un aspetto legato alla gestione del vigneto: certamente la ricerca di maggior concentrazione e maturità dei grappoli già in pianta, quando si coltiva una varietà che darà poi origine a un vino dolce o passito, è più onerosa, nonché rischiosa, sotto ogni punto di vista: un aspetto che aumenta ancor di più nel caso di uve che devono essere attaccate dalla botrytis cinerea. Se la domanda da parte del mercato diminuisce, viene quindi da chiedersi perché continuare a investire forze, energie e risorse come un tempo nella produzione di questi vini.
C’è però ancora un futuro, ma ad una condizione: bisogna essere in grado di cambiare la loro proposta. Intendo il servizio e quindi l’abbinamento a tavola. Nessuno mette in discussione il matrimonio tra un vino dolce e i dessert o quello con certi formaggi. Però è possibile sdoganare altre occasioni di consumo e, in questo caso, serve un nuovo racconto, sia da parte dei produttori che dei comunicatori, a partire dai sommelier.