La Champagne dei vitigni rari Riscoperta di un patrimonio dimenticato
Pinot bianco, fromenteau, petit meslier e arbane oggi rappresentano una quota infinitesimale nel vigneto della Champagne, ma non sempre è stato così. Chi sono, quanto e perché stanno aumentando
di SAMUEL COGLIATI GORLIER
In Francia li chiamano “cépages rares” o “cépages oubliés”. Entrambe le definizioni calzano a pennello, perché questi vitigni sono statisticamente assai poco diffusi e di certo sono stati relegati nell’oblio per lungo tempo.
Non inganniamoci, però: le cultivar rare della Champagne non sono una trovata di marketing del XXI secolo, né un’eccezione insignificante. Al contrario, hanno radici ben piantate nella storia della regione più spumeggiante del mondo, e una concreta rilevanza qualitativa. Vediamo come e perché.
UNA RISERVA INDIANA AMPELOGRAFICA
Sappiamo tutti che lo Champagne si ottiene da un “trittico delle meraviglie”: pinot noir, chardonnay e meunier. Pochi sanno però che altre varietà di vite sono esplicitamente ammesse dalla normativa. L’unica di queste uve che ha una minima rilevanza statistica è il pinot blanc. Le altre tre sono invece ridotte a superfici a due o una sola cifra. Definirle rare è dunque appropriato, anche se non sono sempre state così infrequenti in passato. Il pinot bianco, in particolare, un tempo era assai diffuso (e volentieri confuso con lo chardonnay). Sommati, questi quattro moschettieri dell’originalità rappresentano oggi appena 158 ettari complessivi, ossia circa lo 0,4% di tutta la superficie vitata della Champagne.