LA DEGUSTAZIONE

Castello di Cacchiano produce, a oggi, sei vini. Tre sono Chianti Classico: quello d’annata, la Riserva e la Gran Selezione ora battezzata “Millennio” (nome che in passato ha identificato talora vini delle altre tipologie). I restanti tre sono: un Merlot da singola vigna (“Fontemerlano”), cui tutto si può dire meno che sia un vino facile, come fama planetaria del Merlot suggerirebbe; un Brut Rosé millesimato; uno straordinario Vin Santo del Chianti Classico, il primo vino aziendale a diventare famoso, grazie all’innamoramento ‒ e alla conseguente entusiastica comunicazione ‒ di Luigi Veronelli.

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La nostra degustazione, però, ha preso in esame soltanto le tre tipologie di Chianti Classico, alternandone l’assaggio in una sequenza il più possibile decontratta. La richiesta di non concentrarci su un’unica etichetta può apparire bizzarra; ma il suo intento, assecondato volentieri da Giovanni Ricasoli, era lo stesso perseguito dalla doppia verticale di Valtellina Superiore Ar.Pe.Pe. pubblicata qualche anno fa su questa stessa rivista (n. 14 - marzo 2018). Ossia, misurare alla prova del tempo alcuni vini pensati per durare (in questo caso Riserva e Gran Selezione) a confronto con altri (i Chianti Classico d’annata) concepiti invece per un consumo più pronto e rapido. Anche stavolta, l’assaggio ha mostrato come in tema di longevità (non la generica tenuta nel tempo, ma la capacità di evolvere in maniera virtuosa e interessante) i vini d’annata di grandi terroir, sobriamente interpretati, non chinino il capo davanti ad alcunché, magari raccontandosi a voce più bassa, se ci passate la metafora, ma senza alcuna incertezza.
Partiamo proprio dalle sei annate degustate del “semplice” Chianti Classico, ottenuto da Sangiovese e Colorino vendemmiati e vinificati insieme, con un saldo di Malvasia Nera che segue un percorso a parte e viene poi assemblata. La fermentazione è svolta in acciaio a temperatura controllata, e con due settimane di macerazione; dopo la malolattica e l’assemblaggio delle diverse partite, il vino passa in botti di rovere di Slavonia da 20-25 hl, dove matura per 12 mesi. Una sosta di un ulteriore anno in bottiglia ha preceduto la messa in commercio. Con le sole eccezioni del 2021, senz’altro troppo giovane per una valutazione accurata, eppure assai elegante nelle premesse, e del 2005 ‒ compatto e tenace nell’insieme ed esente da decadimenti ossidativi, ma impersonale e impreciso negli aromi, con in evidenza il “petricore” (acqua piovana, asfalto bagnato, ecc.) dei Sangiovese toscani del millesimo ‒ le altre cinque bottiglie aperte erano di tempra e complessità notevoli. Energico, sebbene ancora chiuso e riservato, il Chianti Classico 2020, dalla forza controllata e dal frutto assai puro, a ricordare il profumo fresco e sottile insieme dei sorbetti o delle gelatine. Più comunicativo, in quanto più ampio, estroverso e complesso, il 2016, floreale ai profumi e capace di una significativa accelerazione al sorso, ricco e persistente. Lo stato evolutivo di questo vino, a otto anni dalla vendemmia, lascia presagire almeno un decennio di positiva evoluzione.
Il 2004 ha una nota mentolata che domina l’intero spettro olfattivo. C’è bisogno di attenderlo un’ora per iniziare ad annotare l’emergere di timide nuance di ciliegia, tè fermentato, tamarindo e iodio, in un insieme che nel bicchiere guadagna grazia. La bocca, invece, è da subito espressiva, fresca e potente, di perfetta coordinazione e con uscita di classe su note floreali e minerali. Il 1995, uscito con la dicitura “Millennio” ‒ a ricordare i mille anni dalla fondazione del castello – è, semplicemente, un 1995 toscano che più tipico non si può. Ovvero, un rosso arcigno e reticente, duro come una pigna, integro in modo incredibile (è granato acceso con bagliori rubino, a trent’anni dalla raccolta) e destinato a vita lunga ma, per così dire, eremitica. I profumi, raggrumati attorno a un nucleo cupo di prugna e liquirizia, preludono all’assaggio di un liquido innervato di acidità, denso di sapore, affidato più alla rude trama tattile che a distinguibili ritorni aromatici. Una specie di guerriero in armatura, che dubitiamo si apra mai a una silhouette più concessiva e gentile. Infine, il 1990 “annata” ‒ clamorosamente superiore alla Riserva della stessa, memorabile vendemmia per la persistenza del frutto, qui integro e soave; ha un profilo aperto a suggestioni di viola e di felce, con una vena dolce e acidula di miele grezzo e una distensione gustativa portentosa, dovuta al sostanziale discioglimento della grana tannica nella struttura.