Erminio Alajmo TRE VERE STELLE AL DIRETTORE DI RISTORANTI CHE HA ANTICIPATO I TEMPI A PADOVA -- Anche lui ha tre stelle – afferma – come suo figlio Massimiliano, perché ne ha ottenuta una in ciascuno dei tre locali che ha gestito dal 1966 a oggi: ha iniziato a 22 anni a “Le Padovanelle” a Ponte di Brenta (con 44 dipendenti, mica scherzi), nel 1981 ha aperto “Le Calandre” a Sarmeola di Rubano e dal 1994 gestisce “La Montecchia” a Selvazzano Dentro. Sempre assieme alla moglie Rita, anima della cucina e della pasticceria, con cui da 52 anni trascorre vita familiare e professionale. Hanno avuto tre figli: Raffaele, Laura e Massimiliano. Se il gruppo Alajmo oggi ha 12 locali e 15 milioni di fatturato, lui ne resta l’anima silenziosa. Originario di Porto Empedocle, il paese di Andrea Camilleri, come il commissario Montalbano Erminio Alajmo è preciso, rigoroso ma anche intuitivo e di mente aperta. Guarda al futuro con i piedi ben piantati a terra, sa scrutare l’orizzonte ma non perde di vista quello che gli sta attorno. Ha un talento naturale per l’organizzazione e la direzione dei locali. Talento che ha affinato nel tempo: “Bisogna saper imparare anche dagli errori”, afferma. I suoi locali hanno fatto scuola, i colleghi spesso hanno preso spunto dalle sue scelte gestionali e di menu. Moltissimi suoi allievi e dipendenti hanno aperto loro locali. Erminio è una bandiera, tant’è che in questi quindici anni è diventato presidente provinciale, regionale e vicepresidente nazionale della FIPE. Lui l’AIS l’ha vista nascere nel Veneto: era la fine degli anni Sessanta, quando Treviso era un faro per l’enogastronomia e i riferimenti si chiamavano Dino Boscarato e Angelo Serafin. Erano i tempi in cui le cene avevano dieci portate e altrettanti erano i vini serviti. Ma in tavola il vino era solo sfuso ed Erminio, come sempre anticipatore, alle Padovanelle presentava le prime carte. Andavano di moda le mezze bottiglie, che adesso fanno un po’ sorridere. Essere innovativi negli anni Settanta, quando Gino Veronelli frequentava il suo locale, voleva dire organizzare le prime serate a tema, puntare sulle cucine regionali, saper abbinare i cibi ai vini. Oggi sono concetti scontati, ma c’è sempre qualcuno che ha fatto da apripista. Battezzò le Calandre con un motto: “I vini e la cucina dei veneti”. Spopolavano i rigatoni alla campagnola, le carni alla brace, i risotti, anche se il piatto che in oltre mezzo secolo lo ha reso famoso è uno solo: la tartare. Ma lui è la stessa persona che ha dato una svolta vegetariana alla “Montecchia”, seguendo le scelte di Rita. Ha un mantra, Erminio: “Non ho mai servito piatti che non mi piacessero e che non fossero salutari”. Ed è un imprenditore coraggioso perché sa valutare le persone. A 48 anni ha lasciato un locale stellato e lo ha messo in mano a un giovane di 26 anni e al figlio minore di 20. Che nel giro di otto anni è diventato il più giovane cuoco al mondo a ricevere le tre stelle Michelin, battezzato “il Mozart dei fornelli”. Quando parlate di passaggio generazionale nelle aziende, pensate a Erminio Alajmo. // Villa Rosa Braga - Tramonte