LA STORIA Dal garage di Ivan alla cantina dei record di , foto di (pag 10) Marco Ballico Fabrice Gallina All’alba di questa storia, quarant’anni fa, quella che adesso è una cantina monumento era il garage di Ivan. Sandro Uanetto inforcava la bicicletta, pedalava dal ristorante in direzione casa del fratello, prendeva in quell’autorimessa la bottiglia appena ordinata dal cliente e gliela serviva a tavola, , Medio Friuli. Primi anni Ottanta. Un altro mondo, ma serve partire da lì per capire l’evoluzione di una passione di famiglia. Anzi, facciamo retromarcia al 1960, quando Nando Uanetto al bancone e la moglie Isolina ai fornelli avviano l’attività. Ivan e Sandro entrano in campo nel 1980 e guidano una ristrutturazione rustico-moderna che negli anni Novanta lancia un locale destinato a diventare portabandiera della cucina friulana. E che, nello specifico della cantina, indiscutibilmente in testa in Friuli Venezia Giulia, si piazza nella top ten dei wine bar d’Italia, quelli premiati dal Gambero Rosso con il riconoscimento delle Tre Bottiglie: la prima volta nel 2019 e poi consecutivamente fino al 2024. Da Nando a Mortegliano A ritirare il premio a Roma, lo scorso ottobre, il figlio di Sandro, Stefano, che ci descrive assieme alla cugina Giulia, la figlia di Ivan, come si custodisce, cura, gestisce una cantina di 120-140mila bottiglie. Impossibile fissare la quantità con precisione perché la rotazione è frequente, il consumo costante, le bottiglie entrano ed escono quotidianamente, come conferma il controllo digitale delle operazioni. «I canali sono diversi – spiega Giulia –. Le bottiglie si bevono, si vendono, si riacquistano. I vini si aprono al ristorante, ma ci sono anche il bar, il servizio catering, i clienti che si riforniscono da noi. Ogni anno sono in uscita 60mila bottiglie». La certezza è che sotto le 100mila non si va mai, lo zoccolo duro della zona invecchiamento è costituito da 50mila bottiglie, le etichette sono 7-8mila. I numeri fotografano la crescita esponenziale da quell’immagine romantica dell’oste che custodisce i suoi tesori in un garage. «La prima svolta nel 2000 – ricostruisce Giulia –: il primo, piccolo spazio dedicato all’interno del ristorante, oggi trasformato in una saletta degustazione». Un passo alla volta, si è scesi prima di un piano e poi di due, nel 2005 (anno in cui la famiglia ha inaugurato anche l’albergo), con un collegamento con un ulteriore spazio in cui trovano posto le bollicine, e infine, nel 2018, di nuovo al primo piano sotto terra, si è aggiunta «un’altra stanza di lavoro, con bottiglie che riserviamo in particolare alla banchettistica, al catering, agli eventi». 60mila bottiglie in movimento Si trova al “meno 2” la culla delle bottiglie di lunga durata, «statiche solo sulla carta, perché quando ce le chiedono diventano mobilissime», osserva Giulia. La cantina monumento è riempita da tanto territorio. «Non potrebbe essere altrimenti», dicono a una voce sola i due cugini. «Il 5% sta in quello che abbiamo chiamato lo zoccolo duro, da Gravner a Miani, da Ronco del Gnemiz a Vignai da Duline, ma la nostra terra emerge soprattutto nelle decine di migliaia di bottiglie in rotazione». I calici dell’anima? Sono tutti lì. «Puoi esaltarti per un Borgogna, un Monfortino, un Cervaro della Sala, ma è un amore relativo se non conosci chi ha fatto quel prodotto – spiega Giulia –. Ed è per questo che sono patriottica: mi piacciono i bianchi di Miani, i rossi delle Due Terre, il Fosarin e il Cjarandon di Ronco dei Tassi, ma anche vini che non hanno un nome altisonante, come possono essere quelli di Alberto Pelos e Renata Pizzulin, di cui apprezzi non solo quello che trovi nel bicchiere, ma pure la filosofia che lo accompagna. Perché tutti i vini sono buoni relativamente alla storia che hanno dietro». Conoscere e arricchirsi di informazioni, ma con le radici in testa. Stefano, che in azienda si occupa proprio della parte enologica, la pensa allo stesso modo: «Sono nato qui, da piccolo mi affascinava la struttura della cantina, ho imparato sul campo. E ora mi tengo aggiornato viaggiando, entrando a contatto con i produttori in casa loro». L’ultima missione è stata in Champagne. «I miei preferiti? Chardonnay per il bianco, Nebbiolo per il rosso. Da noi, ammiro il cuore di Vignai da Duline». Questione di gusti, dicono Giulia e Stefano, ma insistiamo su una classifica. «I bianchi friulani primeggiano, alla pari con alcuni francesi. Tra i rossi, Piemonte e Francia superano la Toscana» Ma come sono cambiati il mondo del vino e il consumatore negli ultimi anni? «È calata la domanda di vini come Amarone e rossi toscani – osserva Stefano –, ci chiedono di più Pinot Nero e piemontesi. Meno struttura, più eleganza; gli orange sembrano destinati a rimanere di nicchia». Il piano “meno 2”