VIAGGIO IN BORGOGNA Côte de Beaune meridionale l’archetipo del bianco di , foto di Armando Castagno Andrea Federici Abbiamo lasciato, con le ultime case del comune di Volnay, anche il regno del vero, grande Pinot Noir, e lo abbiamo lasciato definitivamente. Da qui in poi, procedendo verso Sud, il vitigno rosso borgognone saprà ancora esprimersi in maniera ispirata e persino classicheggiante (nella Côte Chalonnaise, ad esempio, ma anche in qualche zona d’Italia), ma mai più con quella sua meravigliosa stravaganza aromatica. Qui inizia invece il principato del bianco, che accanto a luoghi quasi sacri come Meursault, Puligny e Chassagne schiera una serie di sottovalutati avamposti, tutti da scoprire: quel che faremo. Lasciata Volnay, dunque, si approda a Meursault, e se il colore del vino, salvo sporadiche eccezioni, vira dal rosso al bianco, la sua qualità rimane intoccata. Siamo infatti in una vera e propria capitale mondiale del bianco, oltre che in uno dei rari agglomerati urbani della Côte d’Or per definire il quale forse “villaggio” è riduttivo: è un paesino di tremila anime. Approdo a Meursault A un primo sguardo, il luogo ha qualcosa in comune con il suo stesso vino: il chiarore. Le facciate delle case, i muri che le orlano – più alti del consueto, noterebbe chiunque – e ancora le pietre disseminate nella campagna e il tipico calice di un Meursault giovane condividono un tono d’oro chiaro di lucore madreperlaceo che nelle giornate di sole sembra illuminare quel che ha intorno piuttosto che il contrario. Meursault, come molti sanno, è un luogo-chiave del bianco mondiale; si potrebbe dire che qui ne sia addirittura nata una certa ipotesi, una parafrasi grassa, strutturata e generosa, capace di sfidare i decenni aumentando non solo la sua complessità (un po’ scontrosa nei bianchi borgognoni, fino a rammentare, con il passare degli anni, aromi agliacei, di tartufo o di metano), ma anche, e soprattutto, la sua dolcezza, o meglio la sua morbidezza. Questo vale soprattutto per i Meursault prodotti fino a trent’anni fa, che erano veramente vini opulenti, orgogliosi di esserlo; oggi questa fisionomia rimane appannaggio dei vigneti ubicati a nord e a est del centro abitato, quasi tutti inseriti, nel 1935, nella mappa della denominazione “Meursault”, senza ulteriori specificazioni. Le vigne migliori di tale denominazione (AOC Meursault) si trovano però pacificamente non sotto, ma sopra il paese, svettanti su una collina chiamata Montmélian, che ha versanti ripidi e ricoperti da una coltre di sassi bianchi dal profilo acuminato, resti della fratturazione di banchi di calcare: sono le parcelle Les Narvaux, Les Clous, Les Tillets e Les Vireuils. I vari Premiers Crus del comune, dal canto loro, offrono profili di Meursault quasi tutti avvincenti, ma molto differenziati; hanno contribuito alla gloria dell’ (cioè la AOC Meursault Premier Cru) ciascuno secondo la propria modalità. Ce n’è per tutti i gusti; a seconda delle inclinazioni personali, ci si può appassionare alla calibrata ampiezza del Gouttes d’Or, alla cupa, misteriosa mineralità del Poruzots, al garbo e all’essenzialità del Bouchères. Oppure, secondo una linea più , all’avvenenza floreale del Genèvrières, alla vigorosa concretezza dello Charmes, all’austerità gessosa del Perrières o alla principesca perfezione formale del Clos des Perrières, che ad avviso di non pochi osservatori dovrebbe venir designato 34° Grand Cru di Borgogna per acclamazione. appellation contrôlée mainstream Già, perché nonostante secoli di storia, decine di migliaia di bottiglie di qualità clamorosa, e una mappatura millenaria delle vocazioni e dei luoghi, a Meursault non ne sono mai stati individuati dei veri e propri Grands Crus. In compenso, i prezzi continuano a salire senza sosta, perché laddove non arriva l’intervento del ministero, il mercato, come spesso accade, è di solito già arrivato da tempo, prontissimo a seguire le dinamiche che dettano la legge della domanda e dell’offerta.