La massa viene poi trasferita in caratelli di legno, botti di piccole dimensioni, aventi capacità media intorno a 50 litri, disposte per tradizione nei granai, negli essiccatoi del tabacco o nelle soffitte. In questi ambienti, infatti, la notevole escursione termica tra estate e inverno determina un andamento particolare della fermentazione alcolica, che subisce interruzioni durante la stagione più fredda, per poi riprendere al rialzo delle temperature. Nei caratelli, che con il passare del tempo e l’alternarsi delle stagioni tendono a scolmarsi, la lentissima fermentazione attuata da lieviti selvaggi, detti anche «madre», è contestuale all’invecchiamento, durante il quale s’inducono fenomeni ossidativi a carico del vino. L’ossidazione nel vin santo è un processo attivato dai lieviti che, sottoposti a stress di natura termica e osmotica, si trovano a operare in un contesto ostile e, come conseguenza diretta, indirizzano il loro metabolismo verso la produzione di sostanze volatili, quali l’acido acetico e l’acetaldeide. La presenza intenzionale di queste molecole, se gestita in maniera corretta, è indispensabile per lo sviluppo del profilo olfattivo del vino, che acquisisce aromi di frutta essiccata e disidratata, caramello, miele e spezie pungenti. Inoltre, nelle botti scolme, l’ingresso dell’ossigeno provoca una modificazione profonda del colore: quando le uve di partenza sono bianche, il vino di risulta mostra una tonalità dorato-ambrata brillante e opulenta, che vira al mogano allorquando l’invecchiamento si protrae per più dei 3 anni minimi ammessi per legge.
I vini prodotti da varietà a bacca nera, invece, hanno una tonalità che si muove tra il granato e una particolare sfumatura aranciata. Il riferimento «occhio di pernice» che identifica questi vini non è casuale, ma vuole proprio evidenziare la loro peculiarità cromatica, che richiama il colore dell’iride di questo uccello.